Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1661 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1661 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cinquefrondi (RC) il 09/02/1984
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è indagato ed in stato di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui agli artt. 73, comma 1-bis, e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, per concorso nella detenzione di 290 chilogrammi di cocaina.
La sostanza, suddivisa in 266 panetti termosigillati, è stata rinvenuta nei locali del frantoio di proprietà di sua madre e da lui utilizzato, occultata tra sacchi di pellet. Egli era presente sul luogo al momento dell’intervento dei carabinieri, ai quali ha aperto il cancello d’ingresso alla struttura.
Arrestato in flagranza, nel corso dell’interrogatorio svoltosi all’udienza di convalida, si è dichiarato all’oscuro della presenza di tale sostanza, riferendo di aver affittato verbalmente quella porzione di struttura, per la durata di un mese, ad un tale presentatosi probabilmente come NOME, che si esprimeva con inflessione dialettale della zona di Reggio Calabria.
Il Tribunale del riesame, con l’ordinanza impugnata, ne ha confermato la custodia cautelare in carcere, rilevando l’indeterminatezza dei dati del suo racconto e l’impossibilità di una loro effettiva verifica; ritenendo, inoltr implausibile che quei locali potessero essere locati ad uno sconosciuto, tanto più in ragione della presenza in essi di beni di valore e suscettibili di essere trafugati o danneggiati, quali impianti e mezzi agricoli nonché quintali di olio destinato alla vendita. Inoltre, hanno evidenziato quei giudici come, all’atto dell’intervento dei carabinieri, l’attività di estrazione della droga dai sacchi di pellet fosse in corso e come un carico illecito di tale rilevanza non potesse essere trattato all’interno di un luogo cui un estraneo potesse avere libero accesso in qualsiasi momento (secondo quanto lo stesso COGNOME ha riferito essergli possibile).
Il Tribunale ha, poi, escluso la rilevanza della documentazione prodottagli dalla difesa, attestante il trasporto di una partita di pellet, osservando che essa non offriva garanzia di genuinità e che, comunque, la droga ben potesse essere occultata all’interno di un carico lecito, anche all’insaputa del destinatario finale d quest’ultimo.
Infine, in ragione della quantità di sostanza e delle modalità professionali di occultamento, l’ordinanza ha concluso per la riferibilità dell’operazione a contesti organizzati e collegati con le locali cosche di “ndrangheta”, da ciò deducendo concreti pericoli di reiterazione criminosa e di c.d. “inquinamento” probatorio, rilevando, in proposito, come lo COGNOME abbia negato ai carabinieri il codice di sblocco del proprio smartphone, pretestuosamente adducendo le modalità scortesi della relativa richiesta.
Impugna tale decisione l’indagato, per il tramite del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione in punto di gravità indiziaria.
Egli rileva, anzitutto, come il ragionamento del Tribunale si fondi su inferenze logiche per argumentum a contrario e sia calibrato sul parametro della verosimiglianza degli indizi e non su quello, invece corretto, della certezza e della conseguente necessità che essi si fondino su dati fattuali concreti.
Osserva, inoltre, che quei giudici hanno omesso la verifica sulla sussistenza del dolo, non potendo la semplice possibilità d’accesso ai luoghi equivalere a consapevole adesione al proposito criminoso altrui. Evidenzia, in proposito: che,
all’arrivo dei carabinieri, egli era sul piazzale, non all’interno dell’immobile, chius a chiave, dov’era situata la droga; che ha aperto ai militari tutte le porte, senza tradire tensione o preoccupazione; che ha prodotto i documenti relativi all’acquisto del pellet, così offrendo agli investigatori elementi utili all’individuazione dei reali destinatari del carico illegale. Quanto a questi atti, in particolare, il ricorso lament la contraddittorietà del provvedimento impugnato, che, da un lato, censura la superficialità nell’affittare l’immobile ad uno sconosciuto, ma poi, nel momento in cui l’indagato offre documentazione atta ad identificare tale soggetto, conclude per l’irrilevanza della stessa.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è inammissibile, per la manifesta infondatezza del motivo.
La motivazione della decisione non ha trascurato alcuna emergenza investigativa e non solo non presenta alcuna illogicità manifesta, ma anzi si rivela di una logica stringente, essendo del tutto irragionevole ipotizzare che un’operazione illegale di quella rilevanza economica e dall’elevatissimo grado di rischio potesse essere svolta presso un luogo non sicuro, nella disponibilità di persone ignare ed alla presenza di queste, se non altro nell’area immediatamente circostante.
È sufficiente precisare, allora, con riferimento alle obiezioni difensive, in primo luogo, che il ragionamento ipotetico per argumentum a contrario, lungi dall’essere improprio, costituisce piuttosto un ordinario metodo logico di verifica, mediante falsificazione, di tesi alternative.
E, quanto, poi, alla valutazione degli indizi, la difesa confonde le premesse in fatto con le conclusioni. Sono le prime, infatti, nel procedimento ricostruttivo logico-inferenziale, a dover essere certe e concrete, non le conclusioni, che, invece, proprio in quanto frutto di un ragionamento ipotetico di tipo deduttivo, debbono rispondere piuttosto al criterio dell’alta probabilità, dell’elevata credibilit razionale: di quella, cioè, che il ricorso definisce, appunto, la verosimiglianza.
Dunque, poiché i dati di fatto valorizzati dal Tribunale sono incontroversi, e le conclusioni da essi ritratte sono verosimili, cioè del tutto logicamente coerenti rispetto ai primi, la decisione impugnata si sottrae a censura in queste sede.
Le circostanze evidenziate in ricorso, infatti, si presentano marginali e compatibili con l’ipotesi accusatoria, come rilevato già dai giudici di merito: l’avere
il ricorrente aperto i cancelli ai carabinieri, in particolare, non è significati perché sarebbe stato altamente sospetto, semmai, un diverso contegno, il quale avrebbe al più ritardato, ma non comunque impedito, l’accesso dei militari ed il rinvenimento della droga; così come alcuna rilevanza decisiva, quanto meno al fine di escludere il quadro di gravità indiziaria a carico dello COGNOME, può attribuirsi all’individuazione del destinatario della fornitura di pellet, sia che questi fosse anche il terminale della transazione illecita, sia se – come pure non è improbabile – il materiale a lui destinato fosse stato utilizzato da altri a su insaputa per occultarvi la sostanza stupefacente.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024.