Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34442 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34442 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 gennaio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza della stessa città il 9 gennaio 2023 che aveva respinto la richiesta di riduzione della pena per detenzione degradante ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen. asseritamente sofferta presso la casa di reclusione di Roma Rebibbia.
A fondamento della richiesta era stata posta la circostanza della presenza, nella camera detentiva, di un bagno alla turca, privo di effettiva separazione dal resto dell’ambiente.
Con valutazione concorde il Magistrato e il Tribunale di sorveglianza hanno richiamato la comunicazione della Direzione che ha segnalato come il bagno fosse separato da un muro piastrellato e da una porta anteriore in plexiglas e che, in ogni caso, non fosse configurabile alcuna lesione della riservatezza, tenuto conto che il detenuto era l’unico occupante della camera di detenzione.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando un motivo con il quale ha eccepito il vizio di violazione dell’art. 35-ter ord. pen in relazione agli artt. 27 Cost. e 3 CEDU.
A supporto ha rilevato come la presenza del muro piastrellato e della porta in plexiglas potevano servire per tutelare la riservatezza, ma non anche la salubrità dell’ambiente.
Il Tribunale avrebbe, inoltre, omesso di considerare la specificità del regime detentivo al quale era sottoposto COGNOME, ossia quello speciale di cui all’art. 41bis ord. pen. che prevede la permanenza nella camera detentiva per ventidue ore al giorno.
Sul punto ha richiamato numerosi precedenti decisioni di questa Corte.
Peraltro, analoghi reclami proposti da detenuti ospitati nel medesimo reparto dello stesso istituto penitenziario erano stati accolti e sul punto il Tribunale nul ha motivato.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va doverosamente premesso che, in materia di rimedi risarcitori ex art. 35-ter ord. pen., il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge e che in tale nozione è ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento.
Tal evenienza ricorre nel caso in cui l’atto ometta del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio.
E’ pertanto esclusa, in sede di legittimità, la sindacabilità del vizio manifesta illogicità della motivazione, potendo il ricorrente denunciare il vizio di motivazione apparente che determina la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone sempre l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Il vizio ricorre in «tutti i casi nei quali essa appaia priva dei requisiti min di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare soltanto apparente o, comunque, non idonea – per evidenti carenze di coordinazione e per oscurità del discorso – a rendere comprensibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di merito» (Sez..1, n. 48494 del 09/11/2004, Santapaola, Rv. 230303) oppure si riveli «assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione» (Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, dep. 2004, Ganci, Rv. 226628).
Si tratta della concreta applicazione del principio AVV_NOTAIO secondo cui «qualora il ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, è comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali» (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611).
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, una situazione non conforme all’art. 3 CEDU, che legittima il ricorso ai rimedi di cui all’art. 35 ter ord. pen, deve concretizzarsi in un “fatto” che denoti un livello di gravità tale da poterlo recuperare ad una afflittività assolutamente non giustificata e che risulta non tollerabile nel comune sentire e in una condizione “civile” di vita de detenuto (così, in motivazione, Sez. U, n. 6551 del 24/9/2020, dep. 2021, Commisso; tra le altre, in termini generali, Sez. 1, n. 20985 del 23/6/2020,
COGNOME, Rv. 279220; Sez. 1, n. 14258 del 23/1/2020, Inserra, Rv. 278898).
Pertanto, non ogni lesione astrattamente tutelabile con l’azione inibitoria di cui all’art. 35-bis ord. pen., può costituire la base giuridica per il riconoscimento dello speciale rimedio compensativo di cui all’art. 35-ter ord. pen.
Occorre, infatti, che le modalità di esecuzione della restrizione in carcere provochino nel condannato uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione, superando la cd. “soglia minima di gravità” richiamata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per selezionare le condotte messe vietate dall’art. 3 CEDU (Corte EDU, 8/02/2006, Alver c. Estonia, § 49; COGNOME v. INDIRIZZO, 24/07/2001, § 101; COGNOME c. Italia, 5/03/2013, § 47.) avendo cura di limitare le violazioni rilevanti solo al forme più gravi di mistreatments, onde evitare una banalizzazione delle stesse (Corte EDU, 22/04/2010, Sevastyanov c. Russia; Corte EDU, 25/03/2010, Mutlag c. Germania).
La valutazione della soglia minima è, senz’altro, per sua natura relativa, in quanto dipende dall’insieme delle circostanze della fattispecie (tra le tante, Corte EDU, GC, 22/05/2012, Idalov c. Russia, § 91; Corte EDU, GC, 11/07/2006 Jalloh c. Germania, § 67; Corte EDU, Kalachnikov c. Russia, 15/20/ 2002, § 95; Corte EDU, 10/07/2001, Price c. Regno Unito, § 24; Corte EDU, Selmouni c. Francia 28/07/1999; Corte EDU, Tekin c. Turchia 9/06/1998; Corte EDU, GC, 18/01/1978, Irlanda c. Regno Unito, § 162), e, pertanto, l’apprezzamento di un determinato comportamento e della sua portata lesivo-afflittiva verso i diritti del detenuto e verso i divieti di trattamenti inumani e degradanti, si può apprezzare soltanto attraverso una valutazione concreta della complessiva condizione di detenzione.
I principi sin qui illustrati sono patrimonio della giurisprudenza di questa Corte e sul punto si richiama testualmente, fra le altre, Sez. 1, n. 11109 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284181, in motivazione.
Per rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 3 CEDU, quindi, la valutazione della soglia anzidetta è relativa, in quanto dipende dall’insieme delle circostanze della fattispecie e, in particolare, dalle specificità delle condizioni detenzione del condannato che aziona la relativa pretesa.
Più precisamente, deve essere ribadito che l’eventuale presenza di fattori compensativi della violazione dell’art. 3 CEDU esclude la ricorrenza delle condizioni che giustificano la configurabilità della detenzione inumana e degradante.
In tal senso, tra le recenti, Sez. 1, n. 16515 del 23/02/2024, COGNOME, n.m. e, più esplicitamente, il principio di diritto secondo cui «in tema di rimed
risarcitori nei confronti di detenuti o internati di cui all’art. 35-ter ord. costituiscono fattori compensativi della presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU, derivante dalla allocazione all’interno di una cella singola di servizi igienici non adeguatamente separati dal locale di pernottamento e privi di autonoma areazione, la disponibilità, in via esclusiva, di uno spazio superiore a quello minimo (pari a nove metri quadrati) e la partecipazione ad attività trattamentali limitanti sensibilmente la permanenza in cella del detenuto » (Sez. 1, n. 11109 del 2022, dep. 2023, cit.).
E’ possibile, pertanto, che ricorrano, nella fattispecie, condizioni specifiche della detenzione che siano in grado di “compensare” l’astratta lesività della condizione dedotta.
Nel caso di specie, quindi, nel valutare le complessive condizioni di detenzione del ricorrente, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha esattamente applicato il principio sin qui richiamato e, con valutazione priva dei vizi mancanza o apparenza, ha desunto dalla presenza di un muro piastrellato e da una porta in plexiglas l’esclusione della natura inumana e degradante della detenzione.
Ciò allo scopo di negare la ricorrenza di qualsiasi ipotesi di compromissione della salubrità dell’ambiente.
A ciò si aggiunga che, con affermazione non smentita in alcun modo, giudici di merito hanno anche valorizzato la circostanza che il detenuto era l’unico occupante la camera di detenzione, con conseguente impossibile configurabilità di profili di lesività del diritto alla riservatezza.
Né, a fronte di tali considerazioni, la mancata disamina dei profili relativi all dimensioni della cella ovvero del tempo di permanenza del detenuto al suo interno, integrano profili deducibili in termini di “violazione di legge”.
Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/05/2024