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Detenzione degradante: quando non spetta il risarcimento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un detenuto che lamentava una detenzione degradante a causa della presenza di un bagno non adeguatamente separato nella sua cella. Secondo la Corte, la presenza di un muro divisorio e di una porta in plexiglas, unita al fatto che il detenuto era l’unico occupante, esclude la violazione della dignità e non integra le condizioni per un risarcimento, in quanto non viene superata la soglia minima di gravità richiesta dalla giurisprudenza.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Degradante: La Cassazione e la Valutazione delle Condizioni in Cella

Il tema della dignità della persona durante l’espiazione della pena è un principio cardine del nostro ordinamento. Ma quando una condizione di reclusione si trasforma in una detenzione degradante tale da giustificare un risarcimento? La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 34442 del 2024, offre importanti chiarimenti, sottolineando la necessità di una valutazione complessiva che vada oltre il singolo elemento di disagio.

Il Caso: Un Reclamo per le Condizioni del Bagno in Cella

La vicenda trae origine dal reclamo di un detenuto, sottoposto al regime speciale del 41-bis, il quale sosteneva di subire un trattamento inumano e degradante. Il motivo della doglianza era la conformazione del bagno all’interno della sua camera di detenzione: un servizio igienico “alla turca” che, a suo dire, era privo di un’effettiva separazione dal resto dell’ambiente.

Sia il Magistrato che il Tribunale di Sorveglianza avevano respinto la sua richiesta. La loro decisione si basava sulla comunicazione della direzione del carcere, la quale attestava che il bagno era separato dal resto della cella da un muretto piastrellato e da una porta in plexiglas. Inoltre, essendo il detenuto l’unico occupante della stanza, i giudici avevano escluso qualsiasi lesione del diritto alla riservatezza.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla detenzione degradante

Investita della questione, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, rigettando il ricorso del detenuto. La Corte ha ribadito che, in materia di rimedi risarcitori previsti dall’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Tale violazione si configura anche in caso di motivazione inesistente o meramente apparente, ma non per una semplice illogicità.

Nel caso specifico, secondo gli Ermellini, la motivazione del Tribunale di Sorveglianza era pienamente valida e logica, in quanto aveva correttamente valutato gli elementi a disposizione per escludere la natura degradante della detenzione.

Valutare la “Soglia Minima di Gravità”

Il punto centrale della sentenza ruota attorno al concetto di “soglia minima di gravità”, elaborato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Non ogni disagio o sofferenza legata alla detenzione costituisce automaticamente una violazione dell’art. 3 CEDU. Affinché si configuri una detenzione degradante, è necessario che le modalità di esecuzione della pena provochino uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da superare l’inevitabile sofferenza legata alla privazione della libertà.

L’Importanza dei Fattori Compensativi

La valutazione non può essere atomistica, cioè non può concentrarsi su un singolo aspetto negativo isolato dal contesto. Al contrario, deve essere complessiva e considerare tutte le circostanze del caso, inclusi eventuali “fattori compensativi”. Nel caso in esame, i giudici hanno ritenuto che la presenza di una separazione fisica (muro piastrellato e porta in plexiglas) e, soprattutto, il fatto che il detenuto fosse l’unico occupante della cella, fossero elementi sufficienti a escludere sia una lesione della salubrità dell’ambiente sia una violazione della privacy.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente applicato i principi consolidati della giurisprudenza. La motivazione del provvedimento impugnato non era né mancante né apparente, ma si basava su una concreta valutazione degli elementi fattuali. I giudici di merito hanno desunto, in modo logico, che la presenza di una barriera fisica, per quanto parziale, e l’assenza di altri detenuti nella cella fossero sufficienti a negare il carattere inumano e degradante della condizione lamentata. Di conseguenza, la mancata analisi di altri profili, come le dimensioni della cella o le ore di permanenza, non integra una violazione di legge, unico vizio deducibile in sede di legittimità per questa tipologia di ricorsi. La decisione del Tribunale, pertanto, si è fondata su un percorso argomentativo comprensibile e coerente.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere un risarcimento per detenzione degradante, non è sufficiente lamentare un singolo aspetto negativo delle condizioni carcerarie. È necessario dimostrare che la situazione complessiva, valutata nel suo insieme e tenendo conto di tutti i fattori, superi quella soglia minima di gravità che rende la sofferenza intollerabile e lesiva della dignità umana. La decisione sottolinea come elementi quali la separazione fisica dei servizi igienici e l’occupazione singola della cella possano agire come fattori compensativi, neutralizzando la potenziale lesività di una specifica condizione e portando al rigetto della richiesta di indennizzo.

La presenza di un bagno “alla turca” in una cella costituisce sempre trattamento degradante?
No. Secondo la sentenza, la valutazione deve essere complessiva e non basarsi su un singolo elemento. Nel caso di specie, la presenza di un muro divisorio e di una porta, unita al fatto che il detenuto fosse l’unico occupante della cella, è stata ritenuta sufficiente per escludere la violazione della dignità e della salubrità.

Quali sono i criteri per stabilire se si ha diritto al risarcimento per detenzione degradante?
È necessario che le condizioni di detenzione superino una “soglia minima di gravità”, causando una sofferenza che eccede il livello inevitabilmente connesso alla privazione della libertà. La valutazione è relativa e deve tenere conto dell’insieme delle circostanze della fattispecie, inclusi eventuali fattori compensativi che possono mitigare gli aspetti negativi.

Perché la Cassazione ha rigettato il ricorso pur non entrando nel merito di aspetti come le dimensioni della cella?
Il ricorso per cassazione in questa materia è ammesso solo per “violazione di legge”, che include la motivazione mancante o meramente apparente. La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza fosse logica e sufficiente, in quanto basata sulla valutazione concreta della separazione del bagno e dell’occupazione singola della cella. Pertanto, la decisione era immune da censure di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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