Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19110 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19110 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in ALBANIA il 29/05/1983
avverso la sentenza del 03/07/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari di Cremona del 14.06.2023, che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di cui all’art.455, in relazione all’art.453, comma 1 n.3), cod. pen., di detenzione, al fine di metterle in circolazione, di n.9 banconote contraffatte del taglio di euro 20,00 cadauna, ha escluso la continuazione, rideterminando la pena, e confermato, nel resto, la sentenza impugnata.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a tre motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di illogicità e di contraddittorietà della motivazione in punto di ritenuta sussistenza del dolo specifico del delitto di cui all’art. 455 cod. pen. Si deduce la mancanza di consapevolezza della falsità del denaro posseduto, e l’assenza di univoci elementi indizianti della volontà di mettere in circolazione le banconote false detenute, e che l’intenzione del ricorrente, avendo scoperto la falsità delle banconote, era quella di custodirle separatamente, per evitare di metterle in circolazione.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta vizio motivazionale con riferimento alla mancata assoluzione per particolare tenuità del fatto e alla omessa motivazione sul punto, in violazione dell’ad 131 bis cod. pen., deducendo la inidoneità della esigua somma di denaro contraffatta a porre in pericolo il bene giuridico tutelato, nonché la risalenza nel tempo dei precedenti penali specifici, relativi a un differente capo del titolo VII (certificati e atti pubblici).
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deducendo il comportamento collaborativo nei confronti della PG, in quanto l’imputato ha fornito ogni spiegazione richiesta, limitandosi soltanto a non indicare il PIN di uno dei cellulari, rinvenuti nella sua disponibilità, neppure sottoposto a sequestro, nonché la risalenza nel tempo dei due precedenti penali specifici, mentre quello più recente è in tema di stupefacenti, in relazione al quale l’esito positivo del disposto affidamento in prova al servizio sociale ha determinato l’estinzione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato.
2.1 II primo motivo di ricorso è infondato.
Le censure mosse si risolvono in una pretesa rilettura degli elementi indiziari ritenuti convergenti dalla Corte d’appello con sentenza di conferma della decisione, riproponendo le medesime censure dell’atto di appello che si risolvono in una prospettazione difensiva che ha trovato puntuale risposta nella motivazione del provvedimento impugnato, secondo canoni di rigorosa logica interpretativa.
Sul punto, deve rilevarsi che il dato di fatto, non contestato dal ricorrente, è la detenzione delle monete false, con la consapevolezza della loro falsità, senza che l’imputato sia stato in grado di indicare, in maniera circostanziata, da chi abbia ricevuto tali banconote da venti euro (nel numero non insignificante di nove), per il complessivo importo di euro 180,00. Ciò consente innanzi tutto di escludere che possa riqualificarsi il fatto nell’ipotesi attenuata dell’art 457 cod. pen., in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di detenzione e spaccio di monete falsificate, i reati di cui agli artt. 453 e 455 cod. pen. si distinguono da quello previsto dall’art. 457 in quanto, nei primi, la consapevolezza della falsità deve sussistere, nell’agente, all’atto della ricezione della moneta falsa, mentre, nell’ultimo, tale consapevolezza è successiva a tale ricezione” (Sez. 5, n. 30927 del 03/06/2010, Rv. 247763 – 01).
Le censure mosse riguardano piuttosto la assenza di una finalità di spendita del possesso incontestato. Sul punto, la motivazione risulta esente da vizi logici, in quanto ha evidenziato convergenti dati circostanziali da cui desumere il dolo specifico della intenzione della spendita, quali: il numero, non esiguo, di banconote, da venti euro, contraffatte, detenute separatamente; le modalità di conservazione, accantonando le banconote false, in luogo separato, dalla rilevante quantità di banconote autentiche, non contraffatte, (oltre 13.000 euro), conservate in rotoli, in vari punti dell’abitazione; la contestuale detenzione di una pluralità di cellulari, di cui uno mantenuto bloccato, nonostante la richiesta degli operanti di fornire il relativo PIN; la non documentata tesi difensiva di una attività commerciale, svolta mediante vendita di prodotti, dietro versamento di denaro contante, (la tesi non risulta neanche coltivata nel ricorso, valorizzando documentazione contabile commerciale o simili, che evidentemente non è stata prodotta alla Corte territoriale e di cui, quindi, non viene proposta doglianza per omessa valutazione); le dichiarazioni rese dall’imputato all’udienza preliminare, amnnissive della consapevolezza della falsità delle banconote.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare la intrinse attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’analis ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano
persuasive, sul piano della conseguenzialità, le conclusioni tratte (S.U. n.47289 del 24.09.2003, COGNOME).
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato lf ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Cass., Sez. Un., 16 dicembre 1999, n. 24, S., Rv. 214794; Sez. 3, 11 gennaio 1999, n. 215, F., Rv. 212091 al cui lungo iter motivazionale si rinvia).
Alla stregua del costante orientamento di questa Corte (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024 Rv. 286406 – 02), la motivazione “per relationem” alla sentenza di primo grado nel giudizio di appello è legittima nel caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità.
Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
2.2 n secondo motivo di ricorso è infondato.
La disposizione in questione, nell’interpretazione fornita da codesta Corte, enuncia, quali indici idonei per la contemplata causa di proscioglimento, vale a dire, la “particolare tenuità” del fatto, la circostanza che la condotta si sia risolt non già in un episodio non particolarmente grave, ma, appunto, tenue, tale da arrecare in misura minima, quasi insignificante, la lesione del bene giuridico protetto dalla norma violata. Ciò ricorre quando sussista l’esiguità del danno o del pericolo, l’occasionalità della condotta antigiuridica ed il modesto grado di colpevolezza: indici, questi, che devono essere congiuntamente considerati in
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riferimento al fatto concreto nelle sue caratteristiche oggettive e soggettive e non all’astratta fattispecie (Sez. 5, n. 29831 del 13/03/2015, La Greca, Rv. 265143; Sez. 5, n. 34227 del 07/05/2009, COGNOME, Rv. 244910).
Nel caso di specie, entrambe le sentenze di merito hanno posto in evidenza come, nella condotta dell’odierno ricorrente, non solo non fosse riscontrabile alcuno degli indici di ‘tenuità’ sopra indicati, ma, addirittura, fossero da apprezzare elementi sintomatici di cospicuo disvalore della condotta in relazione al bene giuridico tutelato, e la non occasionalità del comportamento, quali il numero di banconote contraffatte rinvenute, il contesto del ritrovamento delle banconote, unitamente alla non chiara detenzione di cospicue somme di denaro in contanti, il comportamento assunto dall’imputato, i due precedenti penali per falso documentale, nell’ambito di una valutazione discrezionale, che si mantiene nei limiti di un apprezzamento di fatto, immune da vizi logici e giuridici.
In ordine alle circostanze di fatto che contestualizzano il reato, esse sono argomento, di ferrea logica ed intrinseca correttezza ermeneutica, in nulla scalfito dalle argomentazioni svolte nell’odierno motivo di ricorso, nel quale non vengono prospettate argomentazioni tali da disarticolarlo, né sotto il profilo della sua eventuale erroneità in punto di stretto diritto, né sotto quello della sua possibile illogicità o della insufficienza della sua espressione motivazionale.
Invero non risulta una allegazione di fatti specifici da parte dell’imputato che possano essere letti in segno contrario. In tema di particolare tenuità del fatto, il disposto di cui all’art. 131-bis cod. pen. individua un limite negativo alla punibilità del fatto medesimo la prova della cui ricorrenza è demandata all’imputato, tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici. (Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024 Rv. 286101 – 02).
2.3 II terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Nella specie, l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 5 della sentenza impugnata), quali la personalità delinquenziale dell’imputato, ricavabile sia dal comportamento tenuto in occasione dell’accertamento del reato sia dalle precedenti condanne di cui è gravato, tra cui anche due reati in materia di falso documentale, è altresì manifestamente
infondato poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedi mento.
Invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argonnentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
Lo stesso ricorrente dà atto che la Corte di merito ha fondato la propria negativa valutazione in ordine al beneficio dosinnetrico sul parametro della personalità delinquenziale, ricavabile dal comportamento non collaborativo tenuto in occasione dell’accertamento del reato in sede di perquisizione, dei precedenti penali di cui due anche specifici, in materia di falso documentale, e con espressa motivazione sul punto: la censura origina proprio dall’omessa considerazione di un più ampio ventaglio circostanziale, soprattutto inerente al post factum (comportamento processuale, ecc.), con circostanze tutte potenzialmente meritevoli di positivo apprezzamento e, nondimeno, obliterate dalla Corte.
Ma proprio la prospettiva decisoria come sopra ricostruita – ed espressamente ‘riconosciuta’ nei termini suddetti dalla difesa – risulta esente da censure prospettabili in questa sede. E’ noto infatti il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (v., da ultimo, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
Cosicché la sola valutazione della gravità del reato, dei precedenti specifici e del comportamento in sede di perquisizione (ampiamente argomentata in sentenza) è stata ritenuta assorbente sulle circostanze post factum poste in evidenza dalla difesa: trattasi di apprezzamento del giudice di merito, sufficientemente motivato ed insuscetti bile, pertanto, in questa sede di legittimità, di possibile cassazione.
Quanto alla misura della pena, la Corte territoriale, con valutazione insindacabile in questa sede, confrontandosi con il ricorso, ne ha sottolineato la determinazione nel minimo edittale, elidendo soltanto l’aumento disposto a titolo di continuazione.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 25/03/2025.