Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35186 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35186 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME ZONCU EVA COGNOME
NOME COGNOME ZONCU EVA COGNOME
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Montebelluna il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/02/2025 della Corte d’appello di Venezia Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza, pronunciata in data 9 gennaio 2024, con cui il Giudice per le indagini preliminari di Treviso aveva condannato NOME COGNOME per la contravvenzione dicui all’art. 697 cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione di cui all’art. 2 l n. 895 del 1967, con riferimento alla detenzione di una baionetta per carabina.
La Corte territoriale, in particolare, condividendo l’impostazione del primo Giudice, ha ritenuto la sussistenza dell’obbligo di denuncia anche per tale arma ed escluso sia che la condotta potesse essere scusata per ignoranza del precetto, sia la rimessione nei termini per presentare richiesta di oblazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, e denuncia tre motivi.
2.1. Con il primo lamenta l’inosservanza dell’art. 5 cod. pen., in relazione all’art. 697 cod. pen. e dell’art. 38 Tulps, che quest’ultima disposizione richiama.
L’opzione ermeneutica del combinato disposto di tali norme che impone l’obbligatorietà della denuncia per la baionetta sarebbe equivoca a causa di un ambiguo uso della punteggiatura. Tale equivocità sarebbe confermata anche da quanto affermato dal perito, secondo cui la baionetta Ł ormai identificata come cimelio militare, acquistabile liberamente e non subordinata ad alcun titolo di Polizia. Ciò che imporrebbe di ritenere che l’imputato non abbia potuto riconoscere il precetto penale.
2.2. Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in punto di mancanza di motivazione sui presupposti della scusabilità della condotta, alla luce dell’interpretazione dell’art. 5 cod. pen. data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988.
Riprendendo le doglianze del primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta che la Corte di appello, pur a fronte di specifica doglianza dell’imputato, si sarebbe limitata ad affermare apoditticamente che il precetto penale Ł di facile interpretazione, così omettendo di fornire le specifiche ragioni per escludere l’ignoranza scusabile ai sensi dell’art. 5 cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 162 -bis cod. pen e 141, comma 4bis, disp. att. cod. proc. pen. in punto di diniego della rimessione nei termini per presentare domanda di oblazione.
Il ricorrente avversa l’interpretazione data dalle Sez. U. Autolitano del 2006 e dalle Sez. U. COGNOME del 2014, secondo cui la disposizione di cui all’art. 141, comma 4bis, disp. att. cod. proc. pen. non si applica al caso in cui la modifica dell’imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna e osserva che, in assenza di una modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero, l’imputato dovrebbe avere alcun onere di chiedere “cautelativamente” l’ammissione all’oblazione, soprattutto alla presenza di una contestazione che non la consente, in previsione di una possibile derubricazione.
Deduce che la ratio che la giurisprudenza a Sezioni Unite poneva a ragione della suindicata interpretazione della norma – ossia la diversità degli istituti del mutamento della qualificazione giuridica del fatto e del mutamento del fatto storico in tutte le sue articolazioni o della contestazione suppletiva – Ł venuta meno con l’introduzione, con la cd. riforma Cartabia, dell’art. 423, comma 1bis, cod. proc. pen. e del correlato art. 554bis, comma 6, cod. proc. pen.: tali disposizioni hanno infatti introdotto il controllo giudiziale sulla correttezza dell’imputazione e quello conseguente della trasmissione degli atti al pubblico ministero inottemperante alle indicazioni del Giudice. Le conclusioni delle sentenze a Sezioni Unite si fonderebbero, dunque, su una disciplina non piø esistente e, anzi, su una nuova disciplina che consente una maggiore tutela del diritto di difesa, di cui la domanda di oblazione Ł sicura espressione.
Invoca, pertanto, una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni richiamate ovvero, in subordine, chiede che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 162bis cod. pen. e 141 disp. att. cod., proc. pen.e 521 cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 24, 3 11 e 97 Cost. ovvero, ancora, la rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1bis , cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta in data 3 settembre 2025, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deduce censure infondate e, come tale, deve essere rigettato.
Il primo e il secondo motivo – che possono essere trattati congiuntamente attesa la connessione logica delle questioni prospettate – sono privi di pregio.
2.1. Questa Corte (Sez. 1, n. 21303 del 21/09/2016, dep. 2017, Galbiati, Rv. 269953 01) ha già chiarito che «L’omessa denuncia della detenzione della baionetta, costituendo, questa, un’arma in senso proprio e non una parte di arma, integra la contravvenzione di detenzione abusiva di armi. In motivazione la Corte ha precisato che il detentore di una baionetta Ł obbligato a farne denuncia all’ufficio locale di pubblica scurezza, ai sensi dell’art. 38, comma primo, r.d.. 18 giugno 1931, n. 773, anche a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3, comma primo, lett. e), d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, che, con riferimento alle sole parti di armi, come definite dall’art. 1bis , d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527, ha limitato l’obbligo di denuncia a quelle relative ad armi da fuoco».
Ciò si Ł affermato in primo luogo richiamando il consolidato orientamento di questa
Corte (Sez. U, n. 11137 del 24/11/1984 COGNOME, Rv. 16710101; Sez. 1, n. 5045 del 14/02/1986, COGNOME, Rv. 17299801) per cui la baionetta, per la sua autonomia strutturale, costituisce arma (bianca) in senso proprio e non parte di arma (fucile sul quale può essere innestata).
In secondo luogo, si Ł osservato che l’interpretazione dell’art. 38 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 e dell’art. 1-b is d. lgs. del 30 dicembre 1992, n. 527, inserito per effetto dell’art. 2, comma 1 lett. b), d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, conduceva all’inevitabile conclusione che, proprio avuto riguardo alla lettura anche dei segni di interpunzione, l’obbligo di denuncia Ł imposto a chi detiene qualsiasi arma, non solo al detentore di armi da fuoco. Precisamente, la disposizione che pone l’obbligo di denuncia espone una sorta di elencazione riferita: alle armi; alle parti di armi; alle munizioni finite; alle materie esplodenti di qualsiasi genere. Il testo, oltre a far seguire ciascuna categoria da un segno con funzione di distinzione fra le categorie elencate, introduce solo per la seconda categoria – parti di armi – una proposizione finalizzata a individuare, al suo interno, un ambito piø ristretto, per escludere dall’obbligo di denuncia, in base alla costruzione a contrario del precetto, il possesso delle sole parti di armi che non rientrino in quell’ambito, definito mediante il rinvio all’articolo 1-bis, comma 1, lettera b), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527.
NØ vale – come si legge nel ricorso – invocare la natura di cimelio storico della baionetta oggetto d’imputazione, poichØ la sanzione amministrativa prevista dagli artt. 9 e 10 della legge 7 marzo 2001, n. 78 per l’omessa comunicazione al sindaco del possesso di cimeli della Prima guerra mondiale non si applica alle armi, la cui detenzione continua ad essere penalmente sanzionata dalle norme del cod. pen. o dalle leggi speciali in materia (Sez. 1, n. 7094 del 17/01/2012, Bradaschia, Rv. 252074 – 01: nella specie, si Ł ritenuta sussistente la contravvenzione dell’art. 697 cod. pen. per la detenzione di una baionetta TARGA_VEICOLO, in uso alla Wermacht ).
2.2. Neppure può condividersi il richiamo all’art. 5 cod. pen. e il denunciato vizio di motivazione sul punto.
Sulla base dell’indicata consolidata giurisprudenza di legittimità, la contraria affermazione del ricorrente, relativa alla mancanza di necessità di denunciare all’Autorità la detenzione di baionette, si risolve in ignoranza o in errore sulla legge penale.
NØ Ł sostenibile che si versi in un’ipotesi d’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, poichØ – com’Ł stato sinteticamente, ma adeguatamente rilevato dalla Corte territoriale – le norme richiamate non presentano certamente connotati di cripticità tali da potersi ricondurre all’ottica dell’oscurità del precetto, nØ Ł riscontrabile, in materia, una situazione di caos interpretativo o di assoluta estraneità del contenuto precettivo delle norme alla sensibilità del cittadino.
A non miglior sorte Ł destinato il terzo motivo.
3.1. Come ha correttamente ricordato il giudice a quo , secondo l’insegnamento di Sez. U n. 7645 del 28/02/2006, Autolitano, Rv. 233028, la disposizione di cui all’art. 141, comma 4bis disp. att. cod. proc. pen., che prevede la rimessione in termini dell’imputato in caso di modifica dell’originaria contestazione in altra per la quale sia ammissibile l’oblazione, non si applica al caso in cui la modifica dell’imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna.
Sez U. n. 32351 del 26/06/2014, COGNOME, ponendosi nel solco di detto principio, ha chiarito che «nel caso in cui Ł contestato un reato per il quale non Ł consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 cod. pen. nØ quella speciale prevista dall’art. 162bis cod. pen., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che
ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, di formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 cod. proc. pen., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio».
In particolare, tale ultima pronuncia ha svolto, rispetto alla precedente, le seguenti rilevanti precisazioni: i) ha inserito il tema dell’accesso all’oblazione in quello piø «ampio e delicato rappresentato dalle interferenze che scaturiscono dalle modifiche che può subire l’imputazione nel corso del giudizio, rispetto alle scelte difensive e, tra queste, ha svolto specifico riferimento a quelle che si collegano con le opzioni per i riti alternativi, fra i quali non può non essere annoverato proprio il procedimento per oblazione» ed ha rilevato che la giurisprudenza costituzionale su tale tema Ł stata caratterizzata da una progressione verso la garanzia difensiva, attraverso ampliamenti sempre piø sensibili alla prospettiva di assicurare il possibile recupero “postumo” dei procedimenti speciali, in presenza di nuove contestazioni; ii) ha, tuttavia, evidenziato che «una logica sostanzialmente autonoma (si veda, al riguardo, lo specifico distinguo operato nella citata sentenza n. 237 del 2012) ha, invece, ispirato l’unica pronuncia soffermatasi sul tema dei rapporti tra la modifica dell’imputazione e il procedimento di oblazione, vale a dire la sentenza n. 530 del 1995, al cui illegittimità Ł stata limitata all’ipotesi di “novazione” totale del fatto oggetto del giudizio, tale essendo quello scaturito dalla contestazione dibattimentale diverso o nuovo rispetto al fatto dedotto nell’originaria imputazione. E la pronuncia si Ł tradotta nell’intervento legislativo che ha introdotto all’art. 141 disp. att. cod. proc. pen. il comma 4bis ; iii) ha, dunque, posto in risalto la differenza tra il caso in cui il mutamento coinvolga il fatto oggetto del giudizio e quello riguardante la sua qualificazione giuridica, posto che tale ultimo profilo non Ł “patrimonio” del munus contestativo del pubblico ministero, bensì tema di diritto, sul quale le parti – e il giudice – sono chiamati a misurarsi, nell’ambito e nel quadro di una prospettiva eminentemente dialettica. Il giudice ha il potere-dovere di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato nel rispetto dell’identità del fatto storico, pena la violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza come indicato nell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., inserito «all’esplicito scopo di scongiurare il pericolo che, di fronte alla diversità del fatto, il giudice fosse costretto ad emettere una sentenza di proscioglimento, idonea a divenire irrevocabile e, in quanto tale, fonte di possibili preclusioni» (Relazione al progetto preliminare); iv) ha ricordato che le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra imputazione contestata e sentenza – che hanno lo scopo di consentire la necessaria fluidità della accusa assicurando al tempo stesso il contradditorio sul contenuto dell’accusa e, pertanto, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato – devono necessariamente essere interpretate in stretta aderenza alle finalità che nel sistema sono chiamate a perseguire, con la conseguenza che non possono ritenersi violate da qualsiasi modifica rispetto alla imputazione originaria, ma soltanto nel caso in cui la modifica dell’addebito pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato; v) ha chiarito che ciò non accadequando fermo il fatto storico, muta il nomen iuris dello stesso: «nella ipotesi in cui l’imputato, a fronte di una contestazione «in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge» (art. 429, comma 1, lett. c, cod. proc. pen.), il tutto corroborato – ad ulteriore specificazione – dalla «indicazione delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono» (lett. d della disposizione sopra richiamata), ometta di contestare la non
pertinenza del nomen iuris alla fattispecie dedotta in rubrica, assumendo una posizione di nolocontendere su tale qualificante punto della futura decisione, nessun tipo di doglianza potrà essere formulata – circa le preclusioni che ne possono essere derivate per i riti alternativi – ove il giudice, in sede di decisione, abbia ritenuto di dare a quel fatto una diversa qualificazione giuridica» (…) «Il che sta quindi a significare che, ove le parti nulla abbiano domandato o eccepito in punto di nomen iuris , il diritto di difesa che quel tema coinvolge – e con esso il relativo (potenziale) contraddittorio sul punto – può dirsi integralmente soddisfatto, con tutto ciò che ne consegue sul piano dei diritti il cui esercizio si fondi proprio sulla correttezza di quella qualificazione. Ove, quindi, la qualificazione del fatto integri un reato la cui pena edittale non consenta il procedimento per oblazione, Ł onere dell’imputato sindacare la correttezza della qualificazione stessa, investendo il giudice di una richiesta specifica con la quale formuli istanza di oblazione in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto che ritenga corretta: in modo tale da permettere, all’esito del necessario contraddittorio, una decisone altrettanto specifica sul punto, con gli evidenti, naturali riverberi in sede di impugnazione. Solo alla presenza di una effettiva domanda di oblazione Ł infatti possibile soddisfare l’esigenza del contraddittorio e del rispetto delle regole sancite dal procedimento scandito dell’art. 141 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza di permettere al pubblico ministero di interloquire e, al tempo stesso, investire formalmente il giudice della questione» (…) «non si tratta, infatti, di “antevedere” le possibili scelte del giudice in ordine ad una eventuale riqualificazione del fatto: si tratta, piø semplicemente, di esercitare il proprio diritto ad una qualificazione giuridica corretta, con le conseguenze che da ciò possono derivare proprio sul terreno della oblabilità del reato; un diritto che, come si Ł detto, rappresenta al tempo stesso un onere che, se non adempiuto, ben può far insorgere la preclusione temporale connessa alla procedura di oblazione, quale istituto idealmente teso ad evitare, e non a seguire, gli esiti del dibattimento»; vi) ha, infine, sottolineato che tale impostazione non contrasta con i principi espressi dalla giurisprudenza europea, riguardanti casi diversi da quello in esame, ulteriormente chiarendo che, «vertendosi in tema di emendatio libelli migliorativa, la stessa poteva (e doveva) formare oggetto di una domanda, ai fini della attivazione del procedimento di oblazione, che l’imputato stesso e la sua difesa tecnica erano in grado di devolvere al giudice, senza la necessità di chiamare in causa un’ipotetica “sufficiente prevedibilità” della diversa qualificazione giuridica assegnata al fatto dal giudice nella sentenza di condanna».
Il Collegio intende dare continuità a tali principi, peraltro nuovamente affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 192 del 2020 con cui Ł stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 141, comma 4bis , disp. att. cod. proc. pen., in relazione all’art. 162bis del codice penale, «nella parte in cui non prevede che l’imputato Ł rimesso in termini per proporre domanda di oblazione qualora nel corso del dibattimento, su iniziativa del giudice e in mancanza di una modifica formale dell’imputazione da parte del pubblico ministero, emerga la prospettiva concreta di una definizione giuridica del fatto diversa da quella contestata nell’originaria imputazione e per la quale l’oblazione non era ammissibile».
3.2. NØ possono valere, in senso contrario, le argomentazioni svolte dal ricorrente secondo cui le ragioni poste a fondamento della distinzione tra l’ipotesi in cui sia stata la Pubblica accusa, nel contraddittorio tra le parti, a modificare l’imputazione e quella in cui la diversa qualificazione giuridica sia attribuita dal Giudice con la sentenza, dovrebbero intendersi superate con l’introduzione degli artt.423, comma 1bis, cod. proc. pen. e del correlato art. 554bis, comma 6, cod. proc, pen., poichØ con esse il legislatore avrebbe
introdotto un sistema di preventiva verificare, da parte del Giudice, della correttezza della qualificazione giuridica del fatto, prevedendo la restituzione degli atti al Pubblico ministero inottemperante rispetto alle suggerite modifiche.
La tesi non Ł condivisa dal Collegio.
¨ ben vero che, nell’ambito dell’art. 423 cod. proc. pen., in tema di modifica dell’imputazione, il comma 1bis prevede che «Se ( ndr il Giudice) rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non Ł corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni» e che «Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero».
Così come, l’art. 554bis cod. proc. pen., riguardante l’udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta, al comma 6, stabilisce che «Al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero».
E, tuttavia, le disposizioni in parola – che con ogni evidenza perseguono l’obiettivo di una ‘stabilizzazione’ dell’imputazione – sono state introdotte esclusivamente per l’udienza preliminare e per quella cd. predibattimentale. Tali disposizioni, invero, assegnano al Giudice di tali udienze «il compito di definire l’oggetto del giudizio, consentendo al giudice e alle parti di esaminare l’imputazione articolata ai sensi dell’art. 552, comma 1, lettera c), sotto i plurimi profili connessi alla sua corrispondenza, in punto di fatto o di definizione giuridica, agli atti d’indagine» (così la Relazione della Commissione ministeriale).
La disciplina dell’art. 521 cod. proc. pen. Ł, invece, rimasta immutata e con essa la possibilità del Giudice del merito di dare al fatto una diversa definizione giuridica.
Conclusivamente, può affermarsi che – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – le modifiche normative che sollecitano il controllo del giudice sull’imputazione nelle limitate fasi dell’udienza preliminare e predibattimentale sono suscettibili di operare su un piano affatto distinto dall’immutato potere del Giudice di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, sicchØ permangono immutati gli oneri dell’imputato posti in rilievo da Sez. U COGNOME e, prima di esse da Sez. U Autolitano, i cui principi di diritto restano insuperati.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma del disposto di cui all’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 19/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME