Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12620 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12620 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a PALERMO il 17/05/1969
avverso la sentenza del 27/11/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso eederrdo
IJ Proc. Ccn. concludc per l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA, sostituto processuale, come da nomina depositata in udienza, dell’avvocato COGNOME del foro di PALERMO, che si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza in data 19/04/2017 del G.i.p. del Tribunale di Palermo che, all’esito di rito abbreviato, dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato di detenzione di arma comune da sparo ex artt. 2 e 7 I. n.895 del 1967 in relazione al possesso di una pistola Flobert cal. 6 mm. e di sei cartucce cal. 9 x 21, ha ricondotto la condotta relativa alle cartucce al reato di cui all’art. 697 cod. pen. e, ritenutane la continuazione con quella relativa alla detenzione della pistola, ha rideterminato la pena in anni due e mesi sei di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
1.1 La Corte territoriale, confrontandosi col primo motivo di appello (il secondo, accolto, era quello della riconduzione delle cartucce all’ipotesi di cui all’art. 697 cod. pen.), circa il mancato accertamento della effettiva capacità esplodente della pistola, rileva come la perizia balistica svolta dal dott. COGNOME abbia accertato, anche mediante prove di sparo “a banco”, la regolare funzionalità della pistola di cui sopra, occultata nel giardino di pertinenza dell’abitazione dell’imputato, la quale, malgrado le sue mediocri condizioni di manutenzione, era perfettamente idonea all’impiego; e come non incida sulla sussistenza del reato la difficoltà di reperimento delle relative cartucce, comunque acquistabili tenuto conto della “globalizzazione” dei canali di approvvigionamento leciti e illeciti anche in materia di armi. Quanto alle cartucce, rinvenute all’interno di un pacchetto di sigarette riposto in una vetrinetta del soggiorno dell’appartamento di Billetta, i Giudici d’appello osservano che l’attitudine all’uso delle stesse può ricavarsi dalle stesse modalità di conservazione, in ambiente chiuso e protetto rispetto a fonti di compromissione della capacità esplodente. In ordine alle stesse la sentenza di appello riconduce la condotta di detenzione all’autonoma ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 697 cod. pen.. Confrontandosi, infine, con l’ultimo rilievo difensivo, la Corte a qua esclude, con riguardo alla detenzione della pistola, la riconducibilità della stessa all’ipotesi attenuata prevista dall’art. 5 I. n. 895 del 1967, premettendo come la valutazione della ricorrenza di detta attenuante possa prescindere dalla quantità e qualità delle armi e concernere anche componenti oggettive e soggettive del fatto diverse. Rileva come nel caso in esame la condotta sia di non modesta gravità, non solo per l’integrità e la funzionalità della pistola, ma anche per le sue Corte di Cassazione – copia non ufficiale
modalità di occultamento (sotto terra in una busta di cellophane) e per il possesso da parte di COGNOME anche di distinte munizioni, a riprova della disponibilità, quantomeno in passato, anche di altre armi e della finalità dell’arma sequestrata alla commissione di altri reati, a nulla rilevando il documentato ottenimento del porto d’armi, non sostitutivo della regolare denuncia alle autorità di PS.
Passando alla determinazione del trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale esclude che siano ravvisabili elementi positivi per la valutazione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo da solo sufficiente per espressa previsione legislativa lo stato di incensuratezza dell’imputato, rilevando come le parziali ammissioni di quest’ultimo al primo Giudice in sede di spontanee dichiarazioni, a fronte delle implausibili dichiarazioni iniziali circa l’ignoranza dell’esistenza della pistola, siano tardive e necessitate e non sintomatiche di effettiva resipiscenza. Individua, infine, sempre per quanto di interesse in questa sede, la pena base per il delitto di cui agli artt. 2 e 7 I. n. 895 del 1967 in anni tre, mesi sei, giorni quindici di reclusione ed euro 8.500,00 di multa, aumentata ad anni tre e mesi nove di reclusione ed euro 9.000,00 di multa ex art. 81 cpv. cod. pen., ridotta di un terzo per il rito.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, NOME COGNOME
2.1. Col primo motivo di impugnazione si deducono violazione degli artt. 13, 25 e 27 Cost., 125 cod. proc. pen., 2 I. n. 895 del 1967 e vizio di motivazione. La difesa si duole che erroneamente i Giudici del merito abbiano ritenuto l’arma efficiente dal punto di vista balistico, trascurando che la prova del fuoco sia stata fatta con cartucce a salve dal perito e non si sia estesa all’espulsione del proiettile, quindi alla proiezione all’esterno della canna, e che il perito, quanto a quest’ultima, si sia espresso in termini di probabilità e non di certezza; il che non equivale ad accertamento della reale offensività dello strumento. In mancanza di tale accertamento sull’idoneità concreta allo sparo, ‘ secondo la difesa, anche alla luce del d. Igs. n. 204 del 2010, che ha dato attuazione alla direttiva 2008/51/CE in materia di armi, non può parlarsi di “arma da fuoco”.
2.2. Col secondo motivo di ricorso vengono denunciati violazione degli artt. 125 cod. proc. pen. e 5 I. n. 895 del 1967 e vizio di motivazione. La difesa si duole che i Giudici di appello abbiano rigettato la richiesta di applicazione della norma in ultimo menzionata sulla base di un’ipotetica e non dimostrata possibile detenzione in passato di altre
armi, senza nulla osservare in ordine all’incensuratezza dell’odierno ricorrente e alla scarsa attitudine offensiva della stessa arma, connotata secondo il perito da “una piccola potenza con una carica di lancio costituita da una modestissima dose di polvere”. La Corte dà vita, di contro, ad un’apodittica motivazione, in contrasto con gli elementi emergenti dagli atti.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione si deducono violazione di legge e omessa motivazione in relazione agli artt. 697 cod. pen., 125 cod. proc. pen., 133 e 17 cod. pen.. Lamenta la difesa che l’aumento di pena per la continuazione col reato di cui all’art. 697 cod. pen. sia stato individuato nella reclusione (mesi due e giorni quindici di reclusione), mentre andava individuato nell’arresto o nell’ammenda come indicato dallo stesso art. 697. Si duole, inoltre, che la sentenza de qua abbia attribuito valore di munizioni alle cartucce ritrovate, in assenza di una verifica del requisito minimo di efficienza che le renda idonee all’impiego.
2.4. Col quarto motivo di ricorso vengono rilevati violazione degli artt. 63, 68,133 cod. pen. e 125 cod. proc. pen. e omessa motivazione. La difesa lamenta che la pena sia eccessiva senza alcuna motivazione effettiva, se non col riferimento alla negativa personalità di NOMECOGNOME per il solo fatto di avere inizialmente lo stesso reso dichiarazioni implausibili, senza, invece, alcuna considerazione della sua incensuratezza, nonché del piccolo calibro dell’arma, della sua limitata potenza e del cattivo stato di conservazione della pistola. Si duole, sempre la difesa, che in punto di commisurazione della pena base siano stati utilizzati gli stessi elementi usati in punto di negazione delle circostanze attenuanti generiche, in violazione della giurisprudenza di legittimità che non consente una doppia valutazione dello stesso elemento ai fini di dosimetria della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen..
2.5. Col quinto motivo di ricorso vengono lamentati violazione degli artt. 62 bis cod. pen. e 125 cod. proc. pen. e omessa motivazione. Si rileva che la gravità di reato non può di per sé essere posta a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche, come d’altro canto il diniego di responsabilità, il silenzio e la mancanza di collaborazione. Ci si duole che non sia stato preso in alcuna considerazione il comportamento collaborativo di NOME subentrato all’iniziale reticenza e comunque improntato alla lealtà processuale.
Per tutti i motivi sopra riportati il difensore chiede l’annullamento della sentenza impugnata con i provvedimenti consequenziali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Inammissibile è il primo motivo di impugnazione, in quanto manifestamente infondato.
Invero, la Corte di appello di Palermo, con motivazione congrua e immune da vizi logici e giuridici, ha argomentato sulla funzionalità dell’arma oggetto di imputazione, valorizzando l’esito della perizia, documentante l’efficienza della stessa dal punto di vista balistico nonostante le mediocri condizioni estetiche per difetto di recente manutenzione, e giungendo, alla luce delle deduzioni peritali conseguite ad accertamenti in fatto, ad una conclusione corretta. Conclusione, invero, in linea con l’orientamento costante di questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità di un’arma come tale, è necessario che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poiché solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la “rado” della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi; e secondo cui l’arma non perde tale qualità qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio o anche con altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originali (Sez. 1, n. 35648 del 04/07/2008 – dep. 18/09/2008, COGNOME, Rv. 240677).
A fronte dei rilievi della Corte territoriale, come sopra analiticamente riportati, il ricorrente non oppone alcunché di decisivo, se non ipotesi congetturali, senza documentare eventuali travisamenti nei modi di rito.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato, oltre che non consentito e aspecifico, invitando ad una rilettura delle circostanze fattuali, su cui hanno ampiamente ed adeguatamente argomentato, seguendo un iter scevro da vizi logici e giuridici, i Giudici del merito.
La Corte territoriale ha escluso con valutazione compiuta e argomenti immuni dai vizi denunciati, la configurabilità dell’attenuante invocata, nei termini riportati in punto di fatto, perfettamente in linea con l’orientamento di questa Corte, dal quale non ci si intende discostare e per il quale, in materia di reati concernenti le armi, l’attenuante della lieve entità del fatto, di cui all’art. 5 legge 2 ottobre 1967 n.895, dovendo essere commisurata a tutti i parametri di un potere discrezionale, quale quello riconosciuto al giudice di merito al riguardo, può essere negata
anche per le componenti oggettive e soggettive del fatto, diverse da quelle della qualità e quantità delle armi illegalmente gestite (Sez. 1, n. 7927 del 02/07/1997 – dep. 19/08/1997, Martino, Rv. 208266 : nella fattispecie è stata negata l’applicazione dell’attenuante in questione, in considerazione del fatto che l’imputato, dopo aver cagionato lesioni personali ad una giovane con un colpo partito da una pistola che stava maneggiando, non aveva mai consegnato l’arma, occultandola o disfacendosene dopo il fatto).
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente invoca una mera rivalutazione del fatto, non consentita in questa sede, senza confrontarsi con le medesime e limitandosi a ribadire i rilievi già svolti con l’appello.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.
Invero, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’accertamento sulla efficienza o inefficienza di un’arma – ma il principio presenta validità anche con riferimento alle munizioni – non è necessario che il giudice proceda a perizia, potendo trarre il suo convincimento anche aliunde, purché lo corredi di congrua motivazione (Sez. 1, n. 5412 del 09/03/1982 – dep. 29/05/1982, COGNOME, Rv. 154009 : nella specie, la Cassazione, rigettando il ricorso, ha ritenuto che esattamente i giudici di merito avevano desunto la funzionalità dell’arma dalla perfetta lubrificazione, dall’acquisto fattone, dall’avere il percussore battuto quattro proiettili che non erano esplosi per inefficienza delle cartucce, ma non del percussore stesso; e ha stimato tali elementi idonei a integrare una motivazione congrua; in senso conforme Sez. 1, n. 5303 del 09/03/1988 – dep. 30/04/1988, COGNOME, Rv. 178281). Così come è avvenuto nel caso di specie, in cui l’efficienza delle cartucce risulta affermata – si veda sopra – in base alle accurate modalità di custodia delle stesse.
Quanto alla censura riguardante l’aumento di pena per la continuazione con la fattispecie di cui all’art. 697 cod. pen., va osservato che la Corte territoriale ha determinato la sanzione in ottemperanza al principio più volte espresso dalla Corte di legittimità, per cui, ai fini del trattamento sanzionatorio del reato continuato occorre applicare una sola pena, dello stesso genere e della stessa specie di quella del reato più grave, anche quando l’aumento apportato ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. abbia ad oggetto reati satellite appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee o di specie diversa ((Sez. 5, n.
26450 del 13/04/2017 – dep. 26/05/2017, Arena, Rv. 270540 : fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo l’aumento a titolo di continuazione con la pena della reclusione per un reato satellite di competenza del giudice di pace).
1.4. GLYPH Inammissibili, GLYPH in GLYPH quanto GLYPH non GLYPH consentiti, GLYPH oltre GLYPH che manifestamente infondati, sono il quarto e quinto motivo di impugnazione.
E’ da escludersi che, nel caso in esame, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio siano frutto di arbitrio e illogico ragionamento o che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione, avendo i Giudici a quibus specificamente motivato sul punto, oltre che con riferimento alla gravità del fatto desumibile dalle modalità complessive dell’azione ampiamente rimarcata nel corpo motivazionale, con riguardo al comportamento processuale come in punto di fatto descritto – non indicativo di effettiva resipiscenza, e all’insufficienza della mera incensuratezza.
Agli elementi valorizzati dalla sentenza impugnata per la conferma del trattamento sanzionatorio anche con riguardo alla pena base e per il diniego delle circostanze attenuanti generiche la difesa invoca la valorizzazione di circostanze che si assumono trascurate e che vengono individuate nei motivi di ricorso.
Orbene, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Manifestamente infondata è, infine, la doglianza sul bis in idem sostanziale. Invero, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento (nella specie: la negativa personalità di COGNOME e il comportamento processuale necessitato e non espressivo di ravvedimento) che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015 – dep. 16/06/2015, P.G., COGNOME e altri, Rv. 264378).
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2019.