Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7853 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7853  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito il difensore Trattazione scritta
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17 gennaio 2023, la Corte di appello di Brescia, ha riformato quella pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, e, ritenuta la continuazione tra tutti i reati contestati, ridetermiNOME la pena inflitta in quella di tre anni, due mesi e venti giorni d reclusione e 2.600 euro di multa revocando l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata.
La vicenda trae origine da un controllo antibracconaggio eseguito a carico (fra gli altri) dell’imputato / all’esito del quale era emersa la commissione, da parte dello stesso, di diverse fattispecie di reato, delittuose e contravvenzionali, in materia di armi e di violazione della normativa che disciplina lo svolgimento della caccia.
In particolare, COGNOME è stato tratto a giudizio e ritenuto responsabile, con doppia sentenza di condanna conforme, dei reati di fabbricazione, detenzione e porto in luogo pubblico di arma clandestina, della detenzione di tre fucili, di munizionamento vario, della utilizzazione di anelli identificativi falsificati applica ad esemplari di avifauna viva di specie selvatica da egli detenuta, di ricettazione di venti esemplari di turdidi di provenienza delittuosa, del delitto di furto d quattro esemplari di pettirosso.
In particolare, per quanto ancora rilevante in questa sede, la penale responsabilità per la detenzione dei tre fucili (capo 2) della rubrica imputativa è stata ritenuta per le seguenti ragioni.
I fucili di marca artigianale, cal. 16 matr. 3099 e quello semiautomatico marca Breda, cal.12, matr. 161919 (armi la cui detenzione era stata denunciata dal padre dell’imputato) erano stati rinvenuti all’esito della estensione della perquisizione all’abitazione di COGNOME e all’interno della camera da letto dell’immobile in uso all’imputato e al padre.
La riferibilità della detenzione delle due armi anche a NOME COGNOME è stata motivata con la libera accessibilità al vano, potendosi desumere, da tale circostanza, che l’imputato conoscesse l’esistenza dei fucili e potesse, in ogni momento, averne la disponibilità materiale.
E’ stato ritenuto illogico che i fucili, pur di proprietà del padre dell’imputato non fossero nella disponibilità di quest’ultimo in quanto gli stessi erano custodir all’interno di un armadio e nella camera da letto di COGNOME, ossia in un luogo riservato all’utilizzo di chi fruisce della camera.
La collocazione della armi in un posto riservato all’uso esclusivo
dell’imputato ha giustificato la riferibilità allo stesso della detenzione.
Il terzo fucile marca Falco, cal. 9, matr. 79923 era stato rinvenuto nell’intercapedine creata all’interno di un fabbricato rurale separato e utilizzato dall’imputato come base logistica per la sua attività lavorativa.
Anche in questo caso, la detenzione dell’arma da parte dell’imputato è stata ricavata dalla disponibilità, da parte dello stesso, del locale ove il fucile er custodito e della inverosimiglianza della giustificazione addotta da COGNOME circa la presenza dell’arma.
Nella casetta veniva svolta l’attività lavorativa da parte dell’imputato e vi si trovavano altre munizioni appartenenti allo stesso COGNOME il quale, peraltro, in sede di interrogatorio di convalida dell’arresto aveva dichiarato, in premessa, di «ammettere gli addebiti».
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale ha eccepito violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al solo delitto di detenzione dei tre fucili di cui al capo 2) della rubrica.
Alla luce delle modalità di rinvenimento delle predette armi e delle dichiarazioni rese in sede di udienza di convalida dell’arresto, l’imputato non avrebbe potuto ritenersi «detentore» delle armi in quanto privo della relativa disponibilità.
Non era stata acquisita alcuna dimostrazione dell’utilizzazione delle armi da parte dell’imputato il quale non era stato rinvenuto mentre le deteneva materialmente.
Le spiegazioni rese dalla Corte di appello per giustificare l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sarebbero affette da illogicità.
A nulla rileva, infatti, che i fucili fossero chiusi in un armadio (rispondendo la circostanza a una minima regola prudenziale), mentre non sarebbe condivisibile l’affermazione secondo cui non era logico che il possessore del bene (il padre dell’imputato) collocasse le armi nel luogo in cui era più difficile recuperarli (l’armadio della camera da letto del figlio).
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe potuto valorizzare l’ammissione dell’addebito da parte dell’imputato in chiave accusatoria atteso che, dopo la generica ammissione, COGNOME aveva, comunque, precisato diverse circostanze, fra le quali quelle rilevanti per riferire la disponibilità effettiva delle esclusivamente al padre.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. La deduzione promiscua dei vizi di violazione di legge, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, maschera l’inammissibile istanza di rivalutazione delle acquisizioni indiziarie sollecitandone un riesame precluso in questa sede di legittimità.
Invero, deve essere ribadito quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale è stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento».
Nel caso di specie, la Corte di appello di Brescia ha spiegato, con motivazione priva di evidenti vizi di illogicità e contraddittorietà, come i fuci siano stati rinvenuti nella camera da letto dell’imputato (chiusi in un armadio) e nel luogo dove lo stesso svolgeva la propria attività lavorativa.
Dalla disponibilità dei luoghi nei quali si trovavano le armi, dalla loro destinazione all’utilizzazione esclusiva dell’imputato e dalla presenza di altri oggetti certamente appartenenti a COGNOME, sono stati desunti indizi precisi circa la condotta di codetenzione delle armi da parte dell’imputato che, in sede di convalida dell’arresto, si era limitato a dichiarare che i fucili erano di propriet del padre.
Sulla scorta di tale percorso motivazionale la detenzione delle armi è stata riferita all’imputato e non si ravvisa alcuno dei vizi predicati dal ricorrente attes che questi non ha mai dedotto o eccepito di non essere stato a conoscenza delle armi o di esserne stato a conoscenza e di avere fatto di tutto per liberarsene.
Solo in tale modo, infatti, considerata la situazione di fatto logicamente esaminata dai giudici di merito e tenuto conto che le armi sono state rinvenute in luoghi di pertinenza dell’imputato, avrebbe potuto essere affermata l’esistenza di un dubbio ragionevole sulla ricostruzione della sentenza impugnata, senza, con ciò, determinarsi alcuna inversione dell’onere della prova, contrariamente a quanto paventato dal ricorrente.
Il ricorrente si sofferma, in particolare, sul passaggio della motivazione nel quale la Corte di appello ha assegNOME rilievo all’affermazione dell’imputato, in sede di convalida, con la quale egli ha «ammesso gli addebiti» segnalando come, invece, nel prosieguo dell’interrogatorio lo stesso COGNOME avesse reso ulteriori precisazioni, senza, tuttavia, indicarne il contenuto, allo scopo di potere apprezzare un eventuale difetto di motivazione sul punto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 16/11/2023
Il Consigliere e