Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37179 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37179 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TREVISO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
GLYPH
L.-L7J
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
atto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PrETRO COGNOME ‘ 1 ;-1k1 , -91 -f) 0 i GLYPH · GLYPH ,” GLYPH 1-2che ha concluso chiedendo 2 (2. CA . 422.>2-1.12-+19 ne; GLYPH e 6 · ;;:ri Q.C(2) GLYPH Q) L)t” , >–e-r y 2.., YQ T re’ GLYPH ” GLYPH o GLYPH · o (31 Q-e-C.42-Yz- (c”^ GLYPH bpel-it-e-él-ehferrrSure 2
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza in data 24/05/2023 del G.u.p. del Tribunale di Pordenone, che, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava NOME COGNOME responsabile dei delitti di detenzione di arma clandestina ex art. 23, comma 3, I. n. 110 del 1975, nonché di detenzione di cartucce ex art. 697 cod. pen., di detenzione illecita di stupefacenti di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 cod. pen., e, ritenuta la continuazione, lo condannava alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, disponendo la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, NOME COGNOME.
2.1. Col primo motivo di impugnazione deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte territoriale assolto COGNOME dalla detenzione di arma clandestina perché il fatto non costituisce reato, difettandone, invero, l’elemento soggettivo.
Rileva la difesa che l’arma, non funzionante e a tutti gli effetti reperto storico, era stata ritrovata per caso lungo l’argine del fiume dal ricorrente e portata presso la sua abitazione. Osserva che nessuna volontà di detenere un’arma clandestina, neppure a titolo eventuale, può essere ravvisata nel caso specifico.
2.2. Col secondo motivo di ricorso vengono denunciati violazione di legge per mancata derubricazione della suddetta fattispecie in quella ex art. 697 cod. pen.
Evidenzia a tale riguardo il difensore che COGNOME si è limitato a custodire l’arma in assenza di denuncia ex art. 38 T.U.L.P.S. senza averla mai usata, credendo che all’epoca fosse stata già dichiarata.
2.3. Con il terzo motivo di impugnazione viene rilevata violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per mancata assoluzione previa derubricazione ai sensi dell’art. 75 di detto d.P.R.
Rileva il difensore che la sostanza stupefacente era destinata al consumo personale, che l’imputato si era limitato ad approvvigionarsi di una scorta di stupefacente, pari a 50 grammi, e che, comunque, non sussistevano elementi probatori per ritenere il commercio di sostanza stupefacente.
2.4. Col quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 133 cod. proc. pen. per eccessiva quantificazione della pena inflitta, che non ha tenuto conto del comportamento collaborativo del COGNOME, avendo lo stesso dichiarato di possedere l’arma nella rimessa.
Il difensore, alla luce dei suddetti motivi, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata e per i provvedimenti consequenziali.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; l’AVV_NOTAIO, per COGNOME, insiste per l’annullamento senza rinvio e, in subordine, con rinvio, della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Infondati sono i primi tre motivi di impugnazione.
La Corte di appello di Trieste ha ampiamente e coerentemente motivato sulla responsabilità di COGNOME in ordine sia alla detenzione di arma clandestina che alla detenzione di stupefacente finalizzata alla cessione.
Con riguardo alla prima fattispecie, ha, invero, sottolineato come la doppietta a canne mozze, rinvenuta con numeri di matricola impressi sulla canna e sul castello differenti, non censita in banca dati e quindi clandestina, di indubbia micidialità, risultasse perfettamente funzionante da verifiche effettuate. Ha, inoltre, evidenziato che l’imputato, per sua espressa ammissione, aveva rinvenuto l’arma circa due anni prima in un bosco, aveva, pertanto, avuto tutto il tempo per disfarsene o per denunciarla all’autorità, ma non vi aveva mai provveduto, a suo dire in quanto convinto a tenere l’arma dalla moglie. E che non si comprende in base a quali elementi venga invocata la sua buona fede e la presunta convinzione di una lecita detenzione della stessa, anche considerato che la perquisizione era stata eseguita nell’ambito di un separato procedimento originato da una querela della moglie di COGNOME, la quale aveva riferito di vessazioni fisiche e morali da parte dell’imputato, ivi comprese minacce di morte effettuate con l’uso di un fucile, apparendo
decisamente inverosimile che la donna avesse convinto il marito violento a dotarsi di un’arma da fuoco.
Con riguardo, invece, alla presunta destinazione al consumo personale dello stupefacente, la Corte ha osservato che tale spiegazione è priva di qualsiasi supporto probatorio, in quanto lo stesso imputato, nel corso dell’esame reso in occasione del rito abbreviato, non giustificava la detenzione con l’uso personale, ma ne attribuiva la responsabilità alla moglie, che avrebbe lasciato la droga prima di andarsene via di casa, e che comunque la finalità di cessione quantomeno di parte dello stupefacente emergeva dalla presenza dei ritagli di cellophane, utili al confezionamento di dosi, già rilevata dal primo Giudice.
A tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente oppone rilievi che, proprio in quanto insistenti sulla non funzionalità dell’arma, sulla mancanza di volontà di detenere un’arma clandestina o comunque non denunciata e sul consumo personale dello stupefacente, dimostrano la loro infondatezza, ai limiti dell’inammissibilità.
1.2. Inammissibile, in quanto in fatto ‘e rivalutativo, è, infine, il quarto motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio.
E ciò a fronte di una motivazione che muove proprio dal curriculum criminale dell’imputato, gravato da numerosi precedenti penali anche di rilevante gravità, e dalla sua condotta processuale non collaborativa, per avere invero fornito spiegazioni inverosimili e non avere mostrato alcuna presa di coscienza sulla gravità della sua condotta. Motivazione che, a tale ultimo riguardo, fa leva sul fatto che COGNOME abbia posto in essere il reato di resistenza quando era ristretto agli arresti domiciliari nella propria abitazione in attesa dell’udienza di convalida e non abbia fornito alcuna informazione utile per individuare la provenienza dell’arma e dello stupefacente, violando anche la suddetta misura cautelare. Ed evidenzia che in questo contesto, l’avere indicato il luogo in cui si trovava l’arma, tra l’altro dopo insistite richieste da parte degli operanti, non appare condotta particolarmente rilevante ai fini della concessione delle attenuanti generiche, anche perché la perquisizione era diretta proprio alla ricerca del fucile con cui COGNOME aveva in precedenza minacciato la moglie e pertanto è logico ritenere che gli operanti avrebbero rinvenuto ugualmente l’arma, all’esito delle opportune ricerche. Conclude col ritenere adeguata la pena «alla concreta gravità dei fatti ed alla capacità a delinquere dell’imputato, considerato che la stessa è commisurata al minimo edittale per la detenzione dell’arma clandestina, con l’aumento
per la recidiva ed ulteriori aumenti, contenuti, per la continuazione con gli altri reati».
Va, invero, osservato che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2024.