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Detenzione animali pericolosi: la Cassazione conferma

Un soggetto condannato per la detenzione di animali pericolosi (due scimmie) ha presentato ricorso sostenendo che la legge fosse cambiata. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha chiarito che, nonostante l’abrogazione della norma originaria, la condotta resta penalmente rilevante grazie al principio di ‘continuità normativa’, essendo prevista da una nuova legge. La condanna è stata quindi confermata.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione animali pericolosi: la Cassazione fa chiarezza sulla continuità normativa

La detenzione di animali pericolosi è una questione che interseca la sicurezza pubblica e la tutela della fauna. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sulla rilevanza penale di tale condotta, anche a fronte di modifiche legislative. La Corte ha stabilito che, nonostante l’abrogazione della norma incriminatrice originaria, il fatto continua a costituire reato in virtù del principio di continuità normativa, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato.

I Fatti: La Detenzione di Due Scimmie

Il caso ha origine dalla condanna inflitta dal Tribunale di Avellino a un individuo per la detenzione di due esemplari vivi di Macaca Sylvanus, una specie di scimmia considerata pericolosa per la salute e l’incolumità pubblica. Il reato contestato e ritenuto in sentenza era quello previsto dall’art. 6 della legge n. 150 del 1992, che punisce appunto la detenzione di mammiferi e rettili selvatici che possono costituire un pericolo.

Il Ricorso in Cassazione e le Motivazioni dell’Imputato

L’imputato ha presentato ricorso, lamentando una violazione di legge. A suo dire, una modifica legislativa intervenuta nel 2013 avrebbe decriminalizzato la mera detenzione di animali selvatici, mantenendo la rilevanza penale solo per la detenzione finalizzata alla vendita. Poiché nel suo caso non era stata provata alcuna intenzione di vendere gli animali, egli chiedeva l’assoluzione.
L’appello originario è stato convertito in ricorso per cassazione, poiché la condanna consisteva nella sola pena dell’ammenda, per cui la legge non prevede un secondo grado di giudizio di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte: la detenzione di animali pericolosi tra inammissibilità e continuità normativa

La Corte di Cassazione ha rigettato le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile per una serie di ragioni giuridicamente fondate.

Il Difetto di Specificità del Ricorso

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato inammissibile per ‘difetto di specificità estrinseca’. L’imputato, infatti, ha basato la sua intera difesa su una norma (relativa alla ‘detenzione per la vendita’) diversa da quella per cui era stato effettivamente condannato (la ‘mera detenzione’ di specie pericolose). In pratica, non si è confrontato con le reali motivazioni della sentenza di primo grado, rendendo il suo ricorso irrilevante rispetto al caso concreto.

L’Abrogazione della Norma e la Successione di Leggi Penali

La Corte ha poi affrontato un punto cruciale: l’art. 6 della legge n. 150 del 1992, base della condanna, è stato effettivamente abrogato dal d.lgs. n. 135 del 2022. Tuttavia, questo non ha portato a un’abolizione del reato. La medesima condotta è stata infatti sussunta in una nuova disposizione, l’art. 4 dello stesso d.lgs. 135/2022, che continua a punire la detenzione di animali vivi di specie selvatiche pericolose. Si è quindi verificato un fenomeno di ‘continuità normativa’, dove il precetto penale sopravvive al cambio della fonte legislativa.

Il Principio della ‘Lex Mitior’

Pur confermando la rilevanza penale del fatto, la Corte ha specificato che, in base al principio della lex mitior (art. 2 del codice penale), non si può applicare la nuova sanzione se più severa di quella previgente. Poiché il trattamento sanzionatorio del nuovo decreto legislativo è potenzialmente più afflittivo, la condanna originaria, basata sulla vecchia e più mite normativa, rimane valida e corretta.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la detenzione di animali pericolosi è una condotta illecita la cui gravità non viene meno a seguito di un’abrogazione meramente formale della norma, se il legislatore manifesta la volontà di continuare a punirla attraverso una nuova disposizione. La decisione del Tribunale di Avellino è stata quindi ritenuta corretta, e la condanna per la detenzione delle due scimmie è divenuta definitiva.

La semplice detenzione di animali pericolosi è un reato, anche se non sono destinati alla vendita?
Sì. La sentenza chiarisce che il reato, ai sensi dell’art. 6 della L. 150/1992 (ora art. 4 D.Lgs. 135/2022), consiste nella detenzione di per sé di animali considerati pericolosi per la salute e l’incolumità pubblica, a prescindere da qualsiasi finalità di commercio o vendita.

Se la legge che punisce un reato viene abrogata, l’imputato viene automaticamente assolto?
No, non necessariamente. Se la condotta, pur non più prevista dalla norma abrogata, è punita da una nuova disposizione legislativa, si verifica il fenomeno della ‘continuità normativa’. In questo caso, il fatto resta penalmente rilevante e l’imputato non viene assolto.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente per ‘difetto di specificità’. Il ricorrente ha basato le sue argomentazioni su una norma diversa da quella per cui era stato condannato, non confrontandosi con le effettive ragioni della decisione del giudice di primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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