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Detenzione abusiva munizioni: ricorso inammissibile

Due soggetti sono stati condannati per detenzione abusiva di munizioni. Il loro ricorso in Cassazione, basato su presunta insussistenza del reato, applicazione della particolare tenuità del fatto e intervenuta prescrizione, è stato dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha ritenuto i motivi del ricorso manifestamente infondati e generici, in quanto non contestavano specificamente le argomentazioni della sentenza impugnata e proponevano calcoli errati sulla prescrizione.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione abusiva munizioni: quando un ricorso è inammissibile?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38178/2024, ha ribadito importanti principi in materia di detenzione abusiva munizioni e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi. La pronuncia sottolinea come la genericità e la manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione conducano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese per i ricorrenti. Analizziamo nel dettaglio la vicenda processuale e le ragioni della decisione.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Enna aveva condannato due persone, padre e figlio, a una pena di duecento euro di ammenda per il reato di cui all’art. 697 c.p. Durante una perquisizione, i Carabinieri avevano rinvenuto ventinove munizioni (calibro 16 e 12) sopra l’armadio della camera da letto di uno degli imputati, in un immobile da lui abitato e frequentato anche dal padre.

Avverso la condanna, gli imputati avevano proposto appello, che la Corte d’appello di Caltanissetta ha correttamente riqualificato in ricorso per Cassazione. La legge, infatti, prevede che le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda non siano appellabili.

I Motivi del Ricorso e la Detenzione Abusiva Munizioni

Il ricorso presentato alla Suprema Corte si fondava su tre motivi principali:
1. Insussistenza del reato: Si contestava la mancanza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato. In particolare, si invocava il principio del ne bis in idem per uno degli imputati, il quale aveva già patteggiato per un fatto analogo nel 2011. Per l’altro imputato, si negava che vivesse stabilmente nell’immobile.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Si lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., data la lieve entità del fatto.
3. Intervenuta prescrizione: Si sosteneva che il reato si fosse estinto per il decorso del tempo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive.

Inammissibilità per Genericità e Mancanza di Correlazione

Il primo e il secondo motivo sono stati giudicati inammissibili per assenza di specificità. La Corte ha ricordato che un ricorso non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, ma deve confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata. Nel caso specifico, la difesa si era limitata a contestare genericamente la responsabilità, senza addurre elementi concreti a smentita di quanto accertato in primo grado, ovvero la disponibilità dell’immobile da parte di entrambi gli imputati.

Per quanto riguarda l’elemento psicologico, la Cassazione ha ribadito che per la contravvenzione di detenzione abusiva munizioni è sufficiente il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di avere materialmente a disposizione le munizioni. Anzi, la giurisprudenza ammette che la responsabilità possa derivare anche da una condotta colposa, come un atteggiamento negligente nell’omettere la denuncia.

Anche il motivo relativo alla particolare tenuità del fatto è stato ritenuto generico, poiché la difesa non aveva argomentato sulla non abitualità del comportamento, requisito essenziale per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Reiezione del ‘Ne Bis in Idem’ e della Prescrizione

La Corte ha facilmente escluso la violazione del principio del ne bis in idem. Le munizioni sequestrate nel 2019 erano evidentemente diverse da quelle oggetto del procedimento del 2011, integrando quindi un reato nuovo e distinto.

Infine, il motivo sulla prescrizione è stato definito manifestamente infondato. Il termine ordinario per le contravvenzioni è di quattro anni. Tale termine, in presenza di atti interruttivi come il decreto di citazione a giudizio (emesso nel 2021), si estende a un massimo di cinque anni. Poiché il reato era stato accertato il 5 novembre 2019, il termine massimo di prescrizione sarebbe maturato solo il 4 novembre 2024, ben oltre la data dell’udienza in Cassazione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione sulla tecnica di redazione dei ricorsi in Cassazione. Non è sufficiente contestare genericamente una condanna; è necessario che i motivi di impugnazione siano specifici, pertinenti e che si confrontino puntualmente con le ragioni esposte dal giudice del merito. In assenza di tali requisiti, il ricorso è destinato a un’inevitabile declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

Quando un ricorso in Cassazione per detenzione di munizioni è considerato generico?
Un ricorso è considerato generico quando non si confronta specificamente con le motivazioni della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre argomentazioni vaghe, come la semplice negazione della responsabilità, senza fornire elementi concreti a supporto.

Il principio del ‘ne bis in idem’ si applica se una persona viene trovata con munizioni dello stesso calibro di un reato precedente?
No. La Corte ha chiarito che se le munizioni sono materialmente diverse da quelle oggetto di un procedimento penale precedente, anche se dello stesso calibro, si tratta di un reato nuovo e distinto. Il principio del ‘ne bis in idem’ non può quindi essere invocato.

Come si calcola la prescrizione per il reato di detenzione abusiva di munizioni?
Essendo una contravvenzione, il termine di prescrizione ordinario è di quattro anni. Tuttavia, in presenza di atti interruttivi (come il decreto di citazione a giudizio), questo termine viene esteso fino a un massimo di cinque anni dalla data di commissione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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