Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20576 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20576 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Catanzaro, nel procedimento a carico di
NOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 06/11/1974, avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte di appello di Catanzaro. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro assolveva per non aver commesso il fatto NOME COGNOME riformando quella con la quale, in data 22 dicembre 2020, il Tribunale di Crotone lo aveva condannato alla pena di anni 4 e mesi 4 di reclusione ed € 6.800 di multa per i reati di cui agli artt. 648 e 697 cod. pen., 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895, 23, comma terzo, legge 18 aprile 1975, n. 110, in relazione alla detenzione di una pistola lanciarazzi cal. 6 mm. completa di serbatoio, e di 80 cartucce del medesimo calibro, rinvenute il 27 febbraio 2013 in Isola Capo Rizzuto, all’interno di una abitazione condotta in locazione da circa tre mesi da NOME COGNOME con la quale il COGNOME aveva all’epoca una relazione sentimentale.
La sentenza di primo grado, evidenziato che l’abitazione della Rosoga si componeva di «tre piani di cui solo il piano terra e il primo piano erano adibiti a civile abitazione, mentre il secondo piano era mansardato», aveva rilevato che l’arma e le cartucce erano state rinvenute «celate all’interno del camino situato al secondo piano, nascoste nella base interna della muratura, avvolte in una busta in cellophane che non risultava coperta di polvere o di fuliggine, segno inequivocabile della collocazione dell’involucro nell’indicato nascondiglio da poco tempo», ed aveva sottolineato che «a domanda del difensore, l’App. scelto COGNOME ha dichiarato che l’immobile, anche nel secondo piano / mansarda, era chiuso e non accessibile a terzi dall’esterno ma solo alle persone che in quell’unico appartamento vivevano e vi accedevano da un’unica porta di ingresso»; l’affermazione di responsabilità del COGNOME si fondava sulla circostanza che «entrambi gli imputati, legati da una relazione sentimentale, coabitavano da alcuni mesi nell’abitazione perquisita, nei pressi della quale era stata frequentemente avvistata l’autovettura di COGNOME», nonchØ sulla circostanza che, al momento dell’accesso dei verbalizzanti poi sfociato nel sequestro dell’arma e delle cartucce, «fu proprio COGNOME NOME ad aprire la porta dell’abitazione agli agenti, presentandosi loro in pigiama».
I giudici distrettuali riformavano la sentenza, quanto alla COGNOME prendendo atto dell’integrale decorso dei termini di prescrizione e della insussistenza di elementi che ne rendessero evidente l’innocenza, e, quanto al COGNOME (per il quale quei termini non erano decorsi, per via della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale contestatagli), rilevando sinteticamente che «i motivi di appello devono trovare accoglimento. ¨ chiaro infatti che la riconducibilità dell’arma al COGNOME Ł stata sostenuta dal Tribunale sulla base di una prova soltanto logica o latamente indiziaria ma sprovvista di dati probatori specifici di riconducibilità della pistola all’appellante. Il COGNOME inoltre non era la persona che stabilmente abitava nell’immobile anche se vi si trovava di frequente per la relazione sentimentale che lo legava alla Rosaga. Ma Ł evidente che difettano elementi specifici di riconducibilità allo stesso della pistola».
Il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Catanzaro ha impugnato l’indicata sentenza assolutoria, articolando un unico motivo con il quale deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.
Il gravame, riportati i passaggi salienti della deposizione resa dall’App. Pistoia, evidenziava che, sulla base di quanto illustrato dal verbalizzante, doveva ritenersi che «al momento del controllo da parte dei militari operanti l’imputato e la COGNOME coabitavano da diverso tempo nella casa in cui Ł stata rinvenuta la pistola», e che «l’occultamento dell’arma e delle munizioni era recente e coevo alla coabitazione dell’imputato con la coimputata NOME In piø l’arma era nella materiale, stabile ed autonoma disponibilità dell’imputato, il quale, in qualsiasi momento ne poteva disporre. Vi era, nel caso di specie, una convivenza certa e stabile tra l’imputato e la COGNOME e non era occasionale e momentaneo il rapporto tra costoro, che erano abitanti della casa, con l’arma e le cartucce ivi presenti».
Il Sostituto Procuratore generale ha oggi insistito per l’accoglimento del ricorso. Nessuna conclusione Ł stata, invece, rassegnata dal difensore del COGNOME che, dopo aver chiesto la trattazione orale del procedimento, vi ha poi rinunciato, non comparendo all’odierna udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Appare opportuno premettere che in relazione a tutti i reati in contestazione, ad eccezione di quello di cui all’art. 648 cod. pen., sono interamente decorsi i termini massimi di prescrizione, e lo erano già al tempo della sentenza di appello: ed invero, considerando che il fatto Ł stato commesso il 27 febbraio 2012, e, dunque, sotto la vigenza della cd. legge ‘ex Cirielli’, e che, conseguenzialmente, non può trovare applicazione il periodo di sospensione della prescrizione previsto dalla cd. legge ‘Orlando’, si deve osservare che per il reato di cui all’art. 23, comma terzo, legge 18 aprile 1975, n. 110 (che pacificamente assorbe quello di detenzione abusiva di arma: cfr. Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902 – 01, secondo cui «I reati di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di un’arma clandestina – in virtø dell’operatività del principio di specialità – non possono concorrere, rispettivamente, con i reati di detenzione e porto illegale, in luogo pubblico o aperto al pubblico, della medesima arma comune da sparo»; come si illustra in motivazione, «L’identità della condotta materiale, sul piano storico-naturalistico, oggetto delle richiamate norme incriminatrici, induce a rilevare che il dato della clandestinità dell’arma integra un elemento specializzante per aggiunta unilaterale. I reati di cui all’art. 23, primo, terzo e quarto comma, legge n. 110 del 1975 costituiscono ipotesi criminose speciali, rispetto a quelle di cui agli artt. 2, 4 e 7, legge n. 895 del 1967, giacchØ contengono tutti gli elementi costitutivi della condotta – detenzione e porto di un’arma comune da sparo – e, in piø, quale elemento specializzante, il dato della clandestinità dell’arma comune da sparo, che risulta non catalogata o sprovvista dei segni identificativi previsti dall’art. 11, legge n. 110 del 1975»), i termini massimi di
prescrizione, in considerazione della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale (che la difesa non ha contestato, e sul cui riconoscimento non vi sono rilievi da muovere, avendo il Maropito riportato, tra le altre, una condanna in materia di armi per fatti commessi nel 2002, e due condanne una del 2007 per un danneggiamento commesso nel 2005, ed una del 2012 per un furto in abitazione commesso nel 2011 – nelle quali Ł stata riconosciuta la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen.) sono pari a dieci anni, termini che, considerando i 61 giorni di sospensione della prescrizione conseguenti al provvedimento di rinvio adottato a causa della pandemia da Covid-19 il 16 aprile 2020 dal Tribunale di Crotone, sono interamente decorsi nell’aprile del 2023; del pari Ł interamente decorso il termine prescrizionale massimo della fattispecie contravvenzionale in contestazione.
In relazione al delitto di ricettazione, invece, i termini massimi di 13 anni e 4 mesi, aumentati di 61 giorni, spireranno il 28 agosto 2026.
Ciò posto, ci si deve limitare ad osservare che il ricorso si esaurisce nella richiesta di rivalutare le evidenze probatorie sulla base delle quali i giudici distrettuali sono pervenuti al giudizio assolutorio, operazione non consentita in sede di legittimità, in cui il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova non consiste nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione alle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori: come statuito, ex plurimis, da Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01, «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
La motivazione dei giudici di appello Ł logica e perfettamente aderente alle emergenze istruttorie, poichØ la sola deposizione del verbalizzante Pistoia non consente di ritenere che il COGNOME convivesse con la COGNOME nell’abitazione al cui interno fu rinvenuta la pistola, avendo il verbalizzante testualmente dichiarato che «si appurava che il COGNOME aveva una relazione con la COGNOME e che spesso e volentieri si trovava in quell’abitazione» (cfr. pag. 4 delle trascrizioni dell’udienza del 21 settembre 2018); com’Ł evidente, si tratta di affermazione che, unitamente a quella secondo cui «spesso» (e, dunque, non sempre) «vi era la macchina parcheggiata fuori del Maropito» (cfr. pag. 6 delle trascrizioni dell’udienza del 21 settembre 2018), non Ł affatto idonea ad inferire la sussistenza di uno stabile rapporto di convivenza tra il Maropito e la Rosoga.
In assenza di una prova adeguata ed affidabile del rapporto di convivenza, appare evidente che, in armonia con le ineccepibili conclusioni alle quali Ł giunta la sentenza impugnata, non può dirsi superata la soglia del ragionevole dubbio della ascrivibilità del reato al Maropito.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, senza la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, trattandosi di parte pubblica (cfr. art. 616, comma 1, cod. proc. pen., nonchØ i principi che possono desumersi dalle motivazioni di Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, Min. Giustizia in proc. COGNOME, Rv. 271650).
Rigetta il ricorso
Così Ł deciso, 20/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME