Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12218 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POLICORO il 13/11/1983
avverso la sentenza del 03/05/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 maggio 2024, la Corte di appello di Potenza ha confermato quella con cui il Tribunale di Matera, il 18 febbraio 2021, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del delitto di illecita detenzione di materiale esplosivo (una bomba carta del peso di 970 grammi, munita di miccia ed innesco), di una pistola cal. 36, di uno storditore elettrico e di 26 cartucce per fucile, una delle quali priva di piombo, e della contravvenzione di detenzione non autorizzata di materiale esplodente (14 candelotti artigianali, delle dimensioni di cm 10 x cm 3) e, concesse le circostanze attenuanti generiche ed uniti i reati sotto il vincolo della continuazione, lo ha condannato alla pena di un anno di reclusione e 3.000 euro di multa.
Il procedimento nell’ambito del quale sono state emesse le menzionate sentenze è scaturito dal rinvenimento, risalente al 4 marzo 2020, degli oggetti sopra indicati all’interno della camera da letto di un’abitazione di Tursi, località INDIRIZZO la cui disponibilità è stata ascritta a NOME COGNOME il quale in quell’immobile è anagraficamente residente e che, peraltro, è ivi risultato presente in occasione di un successivo accesso delle forze dell’ordine, avvenuto il 15 dicembre 2020.
La Corte di appello, nel respingere l’impugnazione proposta dall’imputato avverso la decisione di primo grado, ha osservato che «Le armi sequestrate sono state rinvenute in una stanza dell’abitazione situata al piano terra ovvero in un ambiente agevolmente accessibile all’imputato, che in quell’immobile era residente ed abitualmente presente, sicché risulta riscontrata la piena disponibilità del materiale sequestrato e l’elemento soggettivo doloso della consapevole detenzione delle suddette armi in assenza di denuncia all’autorità di pubblica sicurezza».
Ha ulteriormente notato, in replica alle obiezioni difensive dedicate alla qualificazione giuridica delle condotte oggetto di addebito:
-che il taser è dispositivo di offesa, produttivo di scariche elettriche capaci di procurare danni, anche gravi, alle persone e, pertanto, equiparabile alle armi comuni da sparo, tanto che il suo utilizzo è consentito alle sole forze di polizia, dotate di specifica formazione;
-che la bomba carta detenuta da COGNOME presenta oggettive caratteristiche di rilevante potenzialità lesiva, desunta dalla quantità di materiale esplosivo utilizzato per il confezionamento, dalla presenza di miccia ed innesco, già inseriti, nonché dalla concreta collocazione dell’ordigno che, se deflagrato, avrebbe messo a serio repentaglio l’incolumità delle persone presenti all’interno dell’abitazione;
che la pistola sequestrata costituisce, del pari, arma comune da sparo «in quanto detenuta in assenza di denuncia all’autorità di pubblica sicurezza».
La Corte di appello, da ultimo, ha stimato l’insussistenza delle condizioni per mitigare la pena, fissata nel minimo edittale, mediante la concessione delle circostanze attenuanti generiche (che, in realtà, il primo giudice aveva, nel solo dispositivo ed in contrasto con quanto indicato nella parte motiva, applicato).
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a tre motivi, dei quali, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., si darà atto nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione per avere i giudici di merito ancorato la sua penale responsabilità ad elementi equivoci, quali la residenza anagrafica nell’immobile al cui interno è stato rinvenuto il materiale in sequestro e la sua presenza, nel medesimo appartamento, in una successiva occasione, in compagnia dei genitori e della compagna,
Rileva, al riguardo, che la Corte di appello non ha chiarito se gli oggetti de quibus agitur erano custoditi in una stanza sita alla prima o alla seconda elevazione fuori terra né chi occupasse stabilmente quella camera né, ancora, tenuto conto del fatto che la pistola ed il taser, riposti dentro un borsone, avrebbero potuto facilmente essere spostati da un luogo ad un altro.
Segnala, ulteriormente, la ridotta valenza indiziaria della sua presenza, in due distinte circostanze, nell’abitazione in cui egli ha fissato la propria residenza anagrafica.
3.2. Con il secondo motivo, NOME COGNOME lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sul postulato, innanzitutto, dell’insufficienza degli elementi acquisiti a dimostrare che egli ha avuto, in concreto, la consapevole disponibilità delle armi, delle munizioni e del materiale esplodente eo esplosivo oggetto di addebito.
Ascrive, in proposito, ai giudici di merito di non avere effettuato il doveroso scrutinio della posizione di tutti i soggetti che abitavano o frequentavano quell’immobile e di non avere verificato, vieppiù, se l’eventuale e non dimostrata conoscenza della presenza di quelle cose si sia tradotta in un concorso, morale o materiale, penalmente rilevante anziché arrestarsi allo stato della mera connivenza non punibile.
Si duole, ulteriormente, delle conclusioni raggiunte dalla Corte di appello in ordine alla natura giuridica: dello storditore elettrico, che costituisce arma comune da sparo solo se idoneo a lanciare dardi contro la persona, caratteristica che, nel
caso di specie non è stata accertata; della bomba carta, la cui micidialità non è stata compiutamente verificata; della pistola, la cui detenzione, per le limitate potenzialità lesive dell’arma, avrebbe giustificato la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 5 legge 2 ottobre 1967, n. 895.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce, ancora, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto dell’appello proposto in punto di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non supportato da adeguate argomentazioni e frutto del fallace apprezzamento del suo curriculum criminale, che consta esclusivamente di un lontano precedente per condotta di limitato allarme sociale, che gli è valso la condanna a pena detentiva assai contenuta.
Evidenzia, sul punto, che i giudici di merito avrebbero potuto e dovuto valorizzare, in vista del contenimento del carico sanzionatorio, la marginalità del ruolo assunto nell’ambito di una vicenda illecita coinvolgente, in ipotesi, una pluralità di soggetti.
Disposta la trattazione scritta, il Procuratore generale, con requisitoria del 26 gennaio 2025, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con memoria di replica del 7 febbraio 2025, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi di ricorso sono fondati e meritano, pertanto, accoglimento.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che «Per la configurazione del delitto di detenzione abusiva di arma comune da sparo è necessaria una relazione stabile del soggetto con la stessa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore ed oggetto detenuto ed un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte dell’agente» (Sez. 1, n. 42886 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 274380 – 01; Sez. F, n. 33609 del 30/08/2012, COGNOME, Rv. 253425 – 01; Sez. 1, n. 20935 del 20/05/2008, COGNOME, Rv. 240287 – 01) e che, per contro, «la mera coabitazione con l’illegittimo detentore dell’arma non è sufficiente a configurare un concorso nella detenzione abusiva» (Sez. 1, n. 31171 del 02/04/2021, COGNOME, Rv. 281645 – 01).
2.1. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto che il materiale rinvenuto all’interno dell’appartamento di Tursi, località INDIRIZZO
rientrasse nella disponibilità di NOME COGNOME in ragione della fissazione in quello stabile della residenza anagrafica dell’imputato e della sua presenza, nel medesimo luogo, in occasione di una perquisizione eseguita a distanza di circa nove mesi dai fatti in contestazione.
La Corte di appello, in proposito, ha tratto argomento dalla contingente collocazione delle armi sottoposte a sequestro (e, deve quindi ragionevolmente desumersi, della pistola e del taser) in una stanza dell’abitazione situata a piano terra, ovvero – si legge nella motivazione della sentenza impugnata – «in un ambiente agevolmente accessibile all’imputato, che in quell’immobile era residente ed abitualmente presente», ciò che la ha indotta a ritenere che egli abbia avuto la piena disponibilità di quegli oggetti e li abbia, pertanto, consapevolmente detenuti.
2.2. Il ragionamento non persuade, perché affetto da una pluralità di falle logiche.
Insufficiente appare, da un canto, la descrizione dell’effettiva collocazione di armi, munizioni e materiale esplodente eo esplosivo.
Al riguardo, occorre notare, in primis, che l’affermazione della Corte di appello – secondo cui gli oggetti de quibus agitur sono stati, almeno in parte, rinvenuti al piano terra dell’abitazione – sembra essere contraddetta da quella contenuta nella sentenza di primo grado, stando alla quale all’interno della camera da letto posta al primo piano (termine che, di solito, indica la seconda elevazione fuori terra, mentre alla prima corrisponde il piano terra) si trovavano la pistola, un pugnale ed un machete, nonché, in altri vani, non compiutamente individuati né, tantomeno, descritti, la bomba carta, gli artifizi pirici e le cartucce.
Non emergendo, con sufficiente precisione, dalle sentenze di merito quali fossero la conformazione della casa e l’ubicazione dei singoli oggetti e, soprattutto, in che modo questi ultimi erano custoditi e, eventualmente, occultati, risulta più arduo sancire – con il coefficiente di certezza «al di là di ogni ragionevole dubbio» che costituisce ineludibile presupposto per l’affermazione della penale responsabilità individuale – che NOME COGNOME fosse certamente a parte della loro presenza all’interno della sua abitazione e ne avesse, dunque, acquisito, con un minimo di stabilità, la disponibilità.
Il processo inferenziale patisce, peraltro, una vera e propria impasse perché condizionato dall’assenza di congrue informazioni in merito all’identità dei soggetti, diversi da NOME COGNOME che vivevano in quell’immobile o, quantomeno, ne avevano la materiale disponibilità, che, lette congiuntamente a quelle sopra indicate, consentirebbero di circoscrivere il numero dei possibili detentori, in via esclusiva o concorsuale, di quanto illecitamente detenuto e di verificare, in concreto, la plausibilità della ricostruzione alternativa, propugnata dal ricorrente, secondo cui egli, pur disponendo dell’immobile di località INDIRIZZO
n. 156, non si sarebbe mai accorto della presenza di armi, munizioni e materiale esplosivo eo esplodente.
Al riguardo, occorre, invero, rimarcare che, pur non emergendo, dalle sentenze di merito, che altri, oltre l’odierno imputato, occupasse l’abitazione di cui si discute, la conferma dell’averne egli avuto la stabile disponibilità è tratta dall’esito di una perquisizione ivi avvenuta alla presenza anche dei genitori e della compagna di NOME COGNOME.
La sentenza impugnata si rivela, sul punto, gravemente carente, in quanto segue un percorso motivazionale imperniato su premesse in fatto non chiaramente delineate e, vieppiù, connotate da un significativo margine di equivocità, che ne impone, al cospetto di una severa frattura razionale, l’annullamento.
3. È fondato anche il secondo motivo di ricorso, nella parte relativa alla qualificazione giuridica della condotta. (
Se, invero, l’assunto secondo cui 211” , di t étiiéstro, marca EAP, cal. 36, con canna rigata, si distinguerebbe per ridotta potenzialità lesiva è sfornito di qualsivoglia supporto probatorio, sicché non vi è ragione di dubitare che la sua detenzione illegale integri il contestato reato di cui agli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n 895, e che non possa lecitamente discorrersi, nel caso in esame, di «lieve entità» del fatto, coglie nel segno, per contro, il ricorrente, nel dolersi delle conclusioni raggiunte dai giudici di merito in ordine alla bomba carta ed allo storditore elettrico.
3.1. Quanto alla prima, occorre ricordare come «Nella categoria delle “materie esplodenti” indicata nell’art. 678 cod. pen. rientrano quelle sostanze prive di potenzialità micidiale sia per la struttura chimica, sia per le modalità di fabbricazione, dovendo invece essere annoverate nella diversa categoria degli “esplosivi” – la cui illegale detenzione è sanzionata dall’art. 10 della legge n. 497 del 1974 – quelle sostanze caratterizzate da elevata potenzialità, le quali, per la loro micidialità, sono idonee a provocare un’esplosione con rilevante effetto distruttivo» (Sez. 1, n. 12767 del 16/02/2021, COGNOME, Rv. 280857 – 01; Sez. 4, n. 32253 del 16/06/2009, COGNOME, Rv. 244630 – 01), sicché «Integra il delitto di illegale detenzione di esplosivi, la condotta avente ad oggetto composti chimici, o miscugli di questi, non specificamente fabbricati e manipolati allo scopo di produrre effetti detonanti, deflagranti o dirompenti per impiego bellico o civile, ma comunque idonei, se tra loro combinati, in determinate condizioni ambientali che possano favorirne l’innesco, di cui il detentore sia consapevole, a cagionare conseguenze devastanti, assumendo nell’insieme la caratteristica della micidialità» (Sez. 5, n. 15642 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279104 – 01; Sez. 1, n. 50925 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 274477 – 01).
Chiamato alla verifica, essenziale al fine dell’inquadramento normativo del fatto, della micidialità delle sostanze detenute da COGNOME, il Tribunale ha affermato che «Nel caso concreto la detenzione di un congegno con circa un chilogrammo di materiale esplodente con miccia avvolta rappresenta condotta idonea a determinare un oggettivo rischio per l’incolumità delle persone, ciò che giustifica la contestazione del delitto previsto dall’art. 2 legge n. 895/1967», in tal modo esprimendo un convincimento pedissequamente mutuato dalla Corte di appello, che ha respinto la doglianza articolata, sul punto, dall’imputato sul postulato che «La bomba carta sequestrata presenta oggettive caratteristiche di rilevante potenzialità lesiva, desumibile dalla quantità di materiale esplosivo utilizzato per il confezionamento (circa un chilogrammo), dalla presenza della miccia ed innesto inseriti e dal luogo in cui l’ordigno era detenuto con oggettivo rischio per la incolumità delle persone presenti nell’abitazione».
Per tale via, i giudici di merito si sono adagiati su considerazioni di matrice esperienziale che, pur plausibili, non sono suffragate da un’attendibile indagine tecnica in ordine alla natura della polvere pirica, alla sua potenzialità lesiva intrinseca ed a quella derivante dal confezionamento con miccia ed innesco e dalla collocazione in ambiente chiuso, ovvero da un approfondimento istruttorio che, pur ritenuto necessario dal personale del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Potenza (cfr. sentenza di primo grado, pag. 1), non risulta essere mai stato effettuato, ciò che introduce un non nninimale margine di incertezza sull’effettiva micidialità dell’ordigno in sequestro.
3.2. Per quanto concerne, poi, il dissuasore elettrico, va rilevato come l’assimilazione di detto strumento alle armi comuni da sparo – la cui illegale detenzione è sanzionata dagli artt. 2 e 7 legge 2 ottobre 1967, n. 895 presuppone, per giurisprudenza consolidata, che il dispositivo abbia il funzionamento tipico di tali armi, costituito dal lancio di piccoli dardi che scaricano energia elettrica a contatto con l’offeso e possono, dunque, recare danno alla persona (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 8991 del 16/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284379 – 01; Sez. 2, n. 49325 del 25/10/2016, Calabrice, Rv. 268364 – 01).
Nella fattispecie, non risultando che l’effettiva presenza di tale caratteristica sia stata concretamente accertata, sussistenza l’ulteriore profilo di illegittimità della decisione censurata che concorre ad imporne l’annullamento.
I precedenti rilievi impongono, in conclusione, l’accoglimento del primo e del secondo motivo, mentre restano assorbite, ma non precluse, le questioni, di natura sanzionatoria, agitate con quello residuo.
All’annullamento segue il rinvio alla Corte di appello di Salerno per nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia emendato dai vizi riscontrati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
Così deciso il 13/02/2025.