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Detenzione a fini di spaccio: quando è reato?

Un individuo condannato per detenzione a fini di spaccio di circa 5 grammi di cocaina ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sostanza fosse per uso personale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando che elementi come la suddivisione della droga in numerose dosi e la sua elevata qualità sono sufficienti a dimostrare l’intento di spacciare, anche a fronte di un quantitativo non ingente.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione a fini di spaccio: non conta solo la quantità

La distinzione tra uso personale di sostanze stupefacenti e la detenzione a fini di spaccio è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per configurare il reato di spaccio non è decisivo solo il peso della sostanza, ma un insieme di indizi che, valutati complessivamente, rivelano l’intenzione di cedere la droga a terzi. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Possessione di Cocaina e la Tesi della Difesa

Il caso riguarda un individuo condannato in appello per il reato di detenzione a fini di spaccio. La persona era stata trovata in possesso di 5,148 grammi di cocaina, sostanza occultata e già suddivisa in diversi pezzi. La difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basando le proprie argomentazioni su due motivi principali.

In primo luogo, si lamentava un vizio di motivazione, sostenendo l’illogicità della decisione dei giudici di merito nel ritenere sussistente la finalità di spaccio a fronte di un quantitativo definito ‘esiguo’. In secondo luogo, si contestava un’errata applicazione della legge penale, poiché, secondo la difesa, non era stata raggiunta la prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. A supporto di questa tesi, venivano portati elementi come il luogo isolato del fermo, l’assenza di un bilancino di precisione e la mancanza di somme di denaro compatibili con un’attività di spaccio.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla detenzione a fini di spaccio

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, ritenendoli entrambi inammissibili. I giudici hanno sottolineato come le argomentazioni difensive non fossero altro che doglianze di fatto, già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

La Valutazione degli Ermellini: Inammissibilità del Ricorso

Secondo la Corte, il giudice di appello aveva fornito una motivazione logica e coerente nel confermare la condanna. Gli elementi valorizzati non lasciavano spazio a dubbi sull’intenzione del soggetto. Il ricorso è stato quindi giudicato un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, non consentito in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha confermato la correttezza del ragionamento del giudice di appello, che ha desunto la finalità di spaccio da una serie di elementi concreti e non dalla sola quantità della sostanza. Gli elementi chiave sono stati:

1. La suddivisione della sostanza: La cocaina era divisa in sette involucri, ritenuti sufficienti per confezionare trentadue dosi. Questa modalità di confezionamento è stata considerata incompatibile con un’ipotesi di consumo puramente personale.
2. L’elevata qualità: La perizia aveva accertato l’alta qualità della cocaina, un altro fattore che, secondo la giurisprudenza, può indicare una destinazione allo spaccio piuttosto che al consumo diretto.
3. La genericità della difesa: L’affermazione del ricorrente di essere un semplice assuntore di sostanze stupefacenti è stata ritenuta generica e non supportata da alcuna prova concreta.

In base a questi elementi, la Corte ha concluso che la destinazione allo spaccio era l’unica spiegazione plausibile, respingendo la tesi dell’uso personale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un’importante conferma dell’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di stupefacenti. La lezione è chiara: per determinare se si tratti di detenzione a fini di spaccio o di uso personale, i giudici devono effettuare una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso. Il quantitativo è solo uno degli indizi. Elementi come le modalità di conservazione, la suddivisione in dosi, la qualità della sostanza e l’eventuale possesso di strumenti per il confezionamento o di ingenti somme di denaro sono tutti fattori decisivi. La decisione ribadisce che un ricorso in Cassazione non può limitarsi a riproporre questioni di fatto, ma deve individuare specifici vizi di legge o di logica nella sentenza impugnata.

Una piccola quantità di droga esclude automaticamente la detenzione a fini di spaccio?
No. La Corte ha chiarito che non è solo la quantità a determinare il reato. Indizi come la suddivisione in dosi, la qualità della sostanza e le altre circostanze del caso sono fondamentali per stabilire l’intenzione di vendere.

Quali elementi ha considerato la Corte per confermare l’intento di spaccio in questo caso?
La Corte ha valorizzato tre elementi principali: la suddivisione della cocaina in sette involucri, sufficienti per trentadue dosi; l’elevata qualità della sostanza detenuta; e la genericità della difesa dell’imputato, che si era limitato a dichiararsi un consumatore senza fornire prove.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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