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Detenzione a fini di spaccio: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per detenzione a fini di spaccio. La difesa sosteneva l’uso personale, ma la presenza di undici dosi di cocaina, bilancini di precisione e materiale per il confezionamento è stata ritenuta prova sufficiente dell’intento di vendita. La Corte ha ribadito di non poter riesaminare i fatti, ma solo la corretta applicazione della legge, confermando la decisione precedente.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione a fini di spaccio: quando il ricorso in Cassazione è inutile

La distinzione tra uso personale di sostanze stupefacenti e la detenzione a fini di spaccio è una delle questioni più delicate e frequenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità, stabilendo quando gli indizi raccolti sono sufficienti a configurare l’intento di vendita e perché non è possibile chiedere ai giudici supremi una nuova valutazione delle prove. Analizziamo il caso e le conclusioni della Corte.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato nei gradi di merito per detenzione di sostanze stupefacenti finalizzata allo spaccio. Durante una perquisizione, le forze dell’ordine rinvenivano undici dosi di cocaina, custodite in un contenitore che l’imputato aveva tentato di gettare dalla finestra. Oltre alla sostanza, venivano sequestrati anche elementi considerati tipici dell’attività di spaccio: due bilancini elettronici di precisione perfettamente funzionanti e una busta di plastica da cui erano stati ritagliati pezzi circolari, identici a quelli usati per confezionare le dosi.

L’imputato, inoltre, risultava privo di un’occupazione lecita, circostanza che rendeva poco plausibile la capacità economica di acquistare lo stupefacente per mero uso personale. La difesa presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che la detenzione fosse per uso strettamente personale e lamentando un vizio di motivazione nella sentenza d’appello.

La Decisione della Corte sulla detenzione a fini di spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il ricorso non contestava una violazione di legge, ma mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e una ricostruzione dei fatti, un’attività che esula completamente dalle competenze della Corte di legittimità.

Il ruolo della Cassazione non è quello di essere un “terzo grado di giudizio” sul merito, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze impugnate.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello non fosse né mancante né manifestamente illogica. Al contrario, i giudici di merito avevano correttamente individuato una serie di profili univoci che convergevano nel dimostrare la detenzione a fini di spaccio. Nello specifico, gli elementi decisivi sono stati:

1. Il quantitativo e la suddivisione: La presenza di undici dosi già confezionate indicava una predisposizione alla vendita.
2. Il materiale per il confezionamento: Il ritrovamento di bilancini di precisione e di materiale per il packaging identico a quello utilizzato per le dosi è un classico indizio dell’attività di spaccio.
3. La condotta dell’imputato: Il tentativo di disfarsi della droga all’arrivo della polizia è stato interpretato come un comportamento volto a nascondere non solo il possesso, ma l’attività illecita.
4. La situazione economica: L’assenza di un lavoro lecito è stata considerata un elemento ulteriore, rendendo improbabile l’acquisto di tale quantità di stupefacente per solo consumo personale.

La Corte ha inoltre ribadito un principio consolidato: la qualità di assuntore di sostanze stupefacenti non è affatto incompatibile con quella di venditore.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma che per contestare una condanna per detenzione a fini di spaccio in Cassazione, non è sufficiente proporre una lettura alternativa dei fatti. È necessario dimostrare una palese illogicità nel ragionamento del giudice di merito o una chiara violazione di legge. Quando la decisione si basa su una valutazione coerente di plurimi indizi gravi, precisi e concordanti (come il numero di dosi, la presenza di bilancini e le modalità di confezionamento), il ricorso che si limita a contestare tale valutazione è destinato all’inammissibilità. La conseguenza, come in questo caso, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a causa dell’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Quando un ricorso in Cassazione per detenzione a fini di spaccio è inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando non denuncia una violazione di legge o un vizio logico palese nella motivazione, ma si limita a chiedere una nuova valutazione delle prove e una diversa ricostruzione dei fatti, attività che non compete alla Corte di Cassazione.

Quali elementi distinguono la detenzione a fini di spaccio dall’uso personale secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, elementi come il numero di dosi già confezionate (undici in questo caso), il rinvenimento di materiale tipico per il confezionamento (due bilancini di precisione e ritagli di plastica), e la mancanza di un’occupazione lecita sono indizi convergenti che provano l’intento di spaccio, superando la tesi dell’uso personale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, in quanto si ritiene che il ricorso sia stato proposto senza che vi fossero i presupposti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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