Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19707 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19707 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME NOME nato a Surbo il 29/09/1983 rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Alcamo il 16/01/1993 rappresentato e difeso dall’avv.
NOME COGNOME, di fiducia
COGNOME NOME nata a Alcamo il 25/05/1972 rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME di fiducia
avverso la sentenza del 19/12/2023 della Corte di appello di Palermo, quarta sezione penale visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta depositata in data 17/03/2025 del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
lette le conclusioni depositate in data 21/03/2025 dal difensore del ricorrente COGNOME COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del 19/12/2019 del Tribunale di Palermo emessa all’esito di rito abbreviato, così statuiva per quanto rileva in questa sede:
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per i reati a lui ascritti, fatta eccezione per gli addebiti di cui ai capi B) ed F) con riferimento ai quali perveniva ad esito assolutorio e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni due mesi dieci giorni venti di reclusione ed euro 1.200,00 di multa; revocava la dichiarazione di delinquenza abituale, la misura di sicurezza della assegnazione ad una casa di lavoro per la durata non inferiore ad anni due e la pena accessoria della interdizione in perpetuo dai pubblici;
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per i reati a lui ascritti, riducendo, tuttavia, la pena in un anno mesi otto di reclusione ed euro 733,00 di multa;
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per i reati a lei ascritti e la pena inflitta nella misura di un anno un mese di reclusione ed euro 2.200,00 di multa.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
2.1. Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati sei motivi.
2.1.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen, la violazione de ll’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 in relazione al reato contestato al capo A).
La Corte di appello ha posto a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità elementi che non costituiscono indici sintomatici della destinazione allo spaccio dello stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell’imputat o, così effettuando valutazioni meramente congetturali, oltre che distoniche rispetto al compendio probatorio.
La parte motiva della sentenza è illogica e contraddittoria laddove, da una parte, esclude la detenzione ai fini di uso personale affermando il non modesto dato ponderale della sostanza (1,3 grammi) e, dall’altr a, afferma, invece, che il
quantitativo rinvenuto era ridotto e mal si conciliava con il consumo in quantità elevate dichiarato dall’imputato.
Il dato ponderale è, invece, di per sé compatibile con l’uso personale; in ogni caso, tale elemento non è idoneo ad assumere rilievo decisivo, dovendo essere corroborato da altri indici di destinazione a terzi che, nel caso di specie, sono assenti: nessuna ‘piazza di spaccio’, nessun contatto con potenziali acquirenti, nessun bilancino di precisione, nessun denaro contante e nessuna suddivisione della sostanza in dosi singole; cioè che invece emerge è che NOME fosse da tempo un assuntore abituale di sostanze stupefacenti, come da certificazione del SERT di Alcamo allegata al ricorso.
2.1.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e), cod. proc. pen , la violazione dell’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 in relazione al reato contestato al capo C).
La sentenza impugnata è viziata da travisamento della prova.
A fondamento di tale addebito (cessione di circa 60 grammi di cocaina a NOME COGNOME che l’imputazione indica come commesso in data 17 febbraio 2018), la Corte di appello ha posto gli esiti di un servizio di osservazione eseguito dalla polizia giudiziaria in data 28 gennaio 2018 e pertanto ha utilizzato nell’apparato argomentativo elementi di prova del tutto estranei al fatto contestato al capo C).
2.1.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione dell’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 648 cod. pen . contestata al capo D).
La Corte di appello ha posto a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità elementi che nulla dimostrano in ordine al concorso dell’imputato nella ricettazione di due teli in PVC provento di furto. In particolare, sono state valorizzate le attività di videoripresa effettuata presso l’abitazione di Cataldo in data 17 febbraio 2018 da cui emerge semplicemente che questi aveva dato al nipote NOME COGNOME e a NOME COGNOME un paio di chiavi con le quali quest’ultimo si era poi recato in un garage in uso alla famiglia COGNOME–COGNOME.
La mera consegna delle chiavi in questione non prova né la condotta materiale del reato di ricettazione, né tantomeno la consapevolezza in capo a NOME della provenienza illecita dei teli custoditi all’interno d el box di cui anche altri avevano la disponibilità.
2.1.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e e), cod. proc. pen, la violazione dell’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 contestata al capo E).
La Corte di appello ha posto a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità per tale addebito (detenzione a fini di spaccio di 21 grammi di marjuana) alcune conversazioni telefoniche captate tra COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che attestano semplicemente l’adoperarsi di COGNOME e NOME COGNOME per rintracciare tale ‘COGNOME‘, nonché contatti tra la COGNOME e COGNOME volti ad organizzare un incontro, senza tuttavia esplicitarne la ragione e senza alcun riferimento, neppure allusivo, allo stupefacente.
Non vi è pertanto prova che la sostanza rinvenuta in data 8 marzo 2018 nella disponibilità di COGNOME fosse destinata a Cataldo.
In ogni caso, non vi sono elementi per escludere che lo stupefacente sequestrato fosse destinato al consumo di gruppo.
2.1.5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. c) cod. proc. pen. l’inutilizzabilità dei filmati di videosorveglianza sui quali è stata esclusivamente fondata la dichiarazione di responsabilità per il reato di evasione contestato al capo G).
Tali riprese attestano la presenza di NOME al di fuori della propria abitazione il giorno 17 marzo 2028 e sono state estrapolate da due telecamere poste nella INDIRIZZO e relative adiacenze (al fine di monitorare l’abitazione di NOME) la cui installazione era stata autorizzata dal Pubblico ministero con provvedimento emesso in data 23 gennaio 2018. L’attività di osservazione aveva avuto inizio il 25 gennaio ed era proseguita sino al 16 marzo 2018, giorno in cui le operazioni di videosorveglianza erano state revocate con apposito decreto, sicchè le immagini registrate il giorno successivo (17 marzo 2018) non potevano essere utilizzate.
2.1.6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e) cod. proc. la violazione di legge con riferimento all’art. 81 cod. pen. per avere la Corte di appello, in sede di rideterminazione della pena inflitta a COGNOME, calcolato anche il quantum di pena irrogato in relazione al capo B) di imputazione con rifermento al quale l’imputato è stato , invece, assolto.
2.2. Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati quattro motivi di ricorso.
2.2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e) cod. proc., la violazione di legge con riferimento all’art. 648 cod. pen. per quanto concerne il reato di cui al capo D).
Rileva il ricorrente che dall ‘ attività di videoripresa effettuata presso l’abitazione di Cataldo in data 17 febbraio 2018 emerge semplicemente che l’imputato, unitamente a INDIRIZZO, aveva prelevato dal garage di INDIRIZZO (in uso a Cataldo e alla di lui madre) due teli in PVC di provenienza furtiva e li aveva trasportati fino alla abitazione dello stesso Cataldo depositandoli, il primo, davanti al terrazzo e, il secondo, sul marciapiede prospicente la casa.
COGNOME pertanto, non ha mai avuto il possesso dei beni in questione e neppure la consapevolezza della loro provenienza furtiva avendoli semplicemente spostati da un luogo ad un altro, su disposizione di Cataldo.
2.2.2 . Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e) cod. proc., la violazione di legge con riferimento all’art. 648 , comma secondo ( rectius , comma quarto) cod. pen. per non avere la Corte di appello riconosciuto, con riferimento al delitto di ricettazione contestato al capo D), l’ipotesi attenuata della particolare tenuità, nonostante il modesto valore dei beni ricettati e le concrete modalità della condotta, consistita nel mero spostamento dei due teli dal garage, su richiesta di NOME.
2.2.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc., la violazione di legge con riferimento agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 per quanto concerne il reato di cui al capo E).
L’addebito contestato a COGNOME è quello di avere materialmente consegnato sostanza stupefacente a Cataldo Emanuele, la Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità valorizzando quanto documentato nei servizi di videosorveglianza registrati il 30 gennaio, il 3 febbraio ed il 16 febbraio 2028 e le conversazioni telefoniche intercettate in data 8 marzo 2018.
Tuttavia, le attività captative non vedono coinvolto l’imputato il quale neppure risulta presente nelle video-riprese.
La Corte territoriale nella parte motiva della sentenza effettua una ricostruzione del fatto con generici riferimenti ai colloqui capati di cui non ha riportato la data ed il numero progressivo; le conversazioni intercettate alle 9.40 e alle 10.59 attestano che COGNOME non ha incontrato COGNOME al fine di ritirare lo stupefacente destinato a Cataldo.
In ogni caso, dalla attività di indagine non emerge alcun elemento da cui ricavare la destinazione allo spaccio della esigua quantità di stupefacente trovata in possesso di COGNOME che, in tesi accusatoria, avrebbe dovuto essere consegnata da COGNOME a Cataldo. Al contrario, come dichiarato dalla coimputata COGNOME, tale sostanza era destinata al consumo di gruppo di tutti i soggetti coinvolti, assuntori di droga.
2.2.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e), cod. proc., la violazione di legge con riferimento agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.p.r. 309 del 1990 per quanto concerne il reato di cui al capo F).
COGNOME è stato fermato dalla polizia giudiziaria a bordo della propria auto Fiat 500 sulla quale viaggiava insieme alla coimputata COGNOME e all’interno del mezzo erano trovati 18 grammi di marijuana.
Alcun elemento depone per la destinazione allo spaccio di tale quantitativo che dalle analisi è risultato avere principio attivo di soli gr. 3,435, del tutto compatibile con un uso personale e, in ogni caso, con un uso di gruppo.
2.3. Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati tre motivi di ricorso.
2.3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) ed e) cod. proc. pen, la violazione dell’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen e 73 d.P.R. n. 309/90 contestata al capo A).
La sentenza impugnata reca difetto assoluto di motivazione in merito al motivo di appello con il quale si era prospettata in capo all’imputata una condotta di connivenza non punibile.
Anche a volere affermare la consapevolezza della COGNOME in ordine al possesso di stupefacente (un involucro contenente gr. 1,3 di cocaina) da parte del compagno NOME che lo custodiva sotto il sedile lato guida della propria vettura, non vi è alcun elemento dimostrativo del contestato concorso nel reato di detenzione a fini di spaccio, a nulla rilevando che la COGNOME, al momento del controllo, in preda al panico, avesse gettato dal finestrino dell’auto un involucro contenente polvere bianca, risultata poi sostanza non psicotropa.
2.3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) e e) cod. proc. pen, la violazione dell’art. 125 codice di rito in ragione della motivazione meramente apparente con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 contestata al capo F).
La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità dell’imputata in ordine a tale addebito sviluppando un ragionamento apodittico che prescinde dalla esistenza di elementi concreti sintomatici di una ricezione di sostanza stupefacente a fini di spaccio e valorizza esclusivamente il dato ponderale (18 grammi di marjuana rinvenuti all’interno della Fiat 500 in uso a Trupiano e sulla quale ella viaggiava come trasportata) da ritenersi compatibile con un uso personale.
2.3.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 , lett. b) cod. proc. pen, la violazione dell’art. 133 cod. pen.
La Corte territoriale ha omesso di rideterminare la pena in misura prossima al minimo edittale come richiesto con il terzo motivo di appello, senza tuttavia fornire motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e il primo motivo di quello nell’interesse di NOME COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto correlati tra loro e relativi al fatto sub A) di imputazione, addebitato ad entrambi gli imputati in forma concorsuale.
Si deduce la violazione dell’art. 125 co d. proc. pen. per motivazione meramente apparente con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 e, quanto all’imputata COGNOME, alla esclusione dell’ipotesi di connivenza non punibile.
Le doglianze sono del tutto generiche perché prive di confronto con la motivazione della sentenza impugnata che non è affatto apparente, laddove per tale si intende quella materialmente esistente ma non idonea a far comprendere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
La Corte di appello (pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata) ha argomentato compiutamente e in aderenza alle risultanze processuali, valorizzando plurimi e convergenti dati fattuali (la cui rilettura non è consentita in sede di legittimità) ritenuti dimostrativi, ove valutati in modo congiunto, della finalità di spaccio della sostanza stupefacente sequestrata.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno valorizzato non solo il dato quantitativo (grammi 1,3) della cocaina trovata nell’auto sulla quale viaggiavano insieme i ricorrenti dal quale erano ricavabili più dosi singole e dunque ben superiore all’esigenza di un consumo personale , ma anche il possesso di ulteriori sostanze notoriamente utilizzabili per il ‘taglio’ di cui la COGNOME si era disfatta precipitosamente alla sola vista delle forze dell’ordine in concomitanza alla condotta di fuga messa in atto da NOME e, altresì, le risultanze investigative che avevano dato vita alle ulteriori imputazione di cessione di droga a terzi contestate ai capi C) ed E), così attestando che entrambi gli imputati erano dediti allo spaccio; sono state anche vagliate le versioni difensive offerte da ciascun imputato e ritenute inattendibili con considerazioni tutt’altro che illogiche e contraddittorie.
Il percorso argomentativo non è dunque affatto privo dei requisiti minimi di coerenze e completezza, necessari per rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito.
Al contrario, il Collegio di secondo grado ha valutato, unitamente al dato ponderale dello stupefacente rinvenuto (che peraltro acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), altre circostanze dell’azione che escludevano la finalità meramente personale della detenzione.
Ha inoltre correttamente ricavato la prova del concorso della COGNOME con NOME nella detenzione illecita dello stupefacente sequestrato valorizzando il comportamento serbato in concreto dall ‘imputata all’atto del controllo e cioè volto a disfarsi di materiale comprovante lo scopo di spaccio, così facendo corretta applicazione del principio secondo cui la differenza tra l’ipotesi concorsuale e la connivenza non punibile risiede nel fatto che nell’una si richiede un consapevole apporto positivo, morale o materiale, all’altrui proposito criminoso, suscettibile di manifestarsi anche in forma agevolatrice e valevole a garantire al correo una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione su cui poter contare, mentre nell’altra è mantenuto, da parte dell’agente, un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un contributo causale alla realizzazione del fatto (Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287403).
2. Inammissibile, in quanto non consentito, è il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME con il quale si deduce in primo luogo il travisamento della prova da parte di entrambi i giudici di merito con riferimento al giudizio di responsabilità in ordine al capo C) a fondamento del quale sono stati posti elementi di prova estranei all’addebito contestato e cioè l’esito d i videoriprese eseguite in data 28/01/2018 e, quindi, in un giorno diverso da quello indicato in imputazione quale tempus commissi delicti (17/02/2018).
Si tratta di doglianza che non è stata dedotta nell’atto di appello , né risultano essere stati presentati motivi aggiunti; il gravame (pagine 6 e 7) è, infatti, privo di qualsivoglia prospettazione sul punto ed è incentrato esclusivamente sulla ritenuta inidoneità delle risultanze investigative emerse la notte del 28 gennaio 2018 e, in particolare sulla inattendibilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, individuato dalla polizia giudiziaria come colui che, quella sera, aveva acquistato sostanza stupefacente da NOME, da tempo suo fornitore.
Rispetto a tale unico profilo di censura, la motivazione della sentenza impugnata (pagine 8 e 9) non è affatto apparente, bensì completa ed aderente alle risultanze processuali in quanto pone in luce gli esiti della attività di osservazione che aveva registrato l’incontro tra l’odierno ricorrente e NOME COGNOME il quale, trovato in possesso di sostanza stupefacente, aveva dichiarato di averla appena prima acquistata, proprio nel luogo ove le videoriprese avevano registrato il contatto visivo con COGNOME
3. Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e il primo e secondo motivo dedotti nell’interesse di NOME COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto correlati tra loro e relativi al giudizio di responsabilità per il delitto di ricettazione sub capo D) di imputazione, addebitato ad entrambi gli imputati in forma concorsuale.
Anche con riferimento a tale addebito il ricorrente COGNOME deduce l’apparenza della motivazione in punto di giudizio di responsabilità, mentre la difesa COGNOME lamenta la violazione dell’art. 648 cod. pen. con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie di ricettazione.
Le doglianze sono del tutto generiche in quanto non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata che non è apparente ma, al contrario, è corredata da un apparato argomentativo con cui viene dato correttamente conto della riconducibilità della condotta di entrambi gli imputati al paradigma legale di cui all’art. 648 cod. pen.
La Corte di appello (pagine 10 e 11) ha dettagliatamente descritto la sequenza dei movimenti di COGNOME e le circostanze fattuali dell’incontro di costui con NOME, emerse dalle attività tecniche di video ripresa, osservando come la consegna da parte di quest’ultimo delle chiavi di un gar age dal quale COGNOME aveva prelevato due teli compendio di furto (commesso alcuni mesi prima) era logicamente interpretabile in termini di comune disponibilità di beni di provenienza delittuosa rispetto ai quali entrambi gli imputati non avevano fornito alcuna giustificazione in ordine al possesso.
E’, infatti, consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, ai fini della integrazione della fattispecie di ricettazione, la ricezione della cosa proveniente da delitto può essere conseguita in qualsivoglia modo e che la mancata o inattendibile giustificazione in ordine a tale materiale disponibilità costituisce prova del dolo del reato (configurabile anche nella forma eventuale), perché rivelatrice di una volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede ( ex multis , Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2010, Tenne, Rv. 248718; Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, Rv. 248265; Sez. 2, n. 50952 del 26/11/2013, COGNOME, Rv. 257983; Sez. 1, n. 13599 del 13/03/2012, COGNOME, Rv. 252285; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 270120).
Tale principio non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell’indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della ” res “, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa (Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713). Non si richiede, in tal modo, all’imputato di provare la provenienza del possesso della cosa, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione
dell’origine di tale disponibilità, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice di merito e comunque valutabili dallo stesso secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, COGNOME, Rv. 236914, in motivazione).
Altrettanto generico è il secondo motivo dedotto nell’interesse di NOME COGNOME con il quale si deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 648 comma secondo ( rectius , comma quarto) cod. pen. per non avere la Corte di appello riconosciuto l’ipotesi attenuata della particolare tenuità .
La sentenza impugnata ha escluso il riconoscimento della invocata attenuante in ragione del valore economico elevato dei beni ricettati (indicati dal derubato nella misura di euro 2.000,00), si tratta di una motivazione aderente alle risultanze fattuali ed in linea con il principio giurisprudenziale affermato da questa Corte che si condivide – secondo cui in tema di ricettazione, se il valore del bene non è esiguo, la tenuità deve essere sempre esclusa, mentre, se è accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, può verificarsi la sussistenza degli ulteriori parametri di apprezzamento della circostanza desumibili all’art. 133 cod. pen., inerenti al profilo obbiettivo del fatto (l’entità del profitto) e a quello soggettivo della capacità a delinquere dell’agente (Sez. 2, n. 29346 del 10/06/2022, Mazza, Rv. 283340; Sez. 2, n. 51818 del 06/12/2013, COGNOME, Rv. 258118; Sez. 1 n. 13600 del 13/03/2012, COGNOME, Rv. 252286).
4. Il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e il terzo motivo interposto nell’interesse di NOME COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto correlati tra loro e relativi al giudizio di responsabilità per il delitto di cessione di sostanza stupefacente sub capo E) di imputazione, addebitato ad entrambi gli imputati in forma concorsuale.
Anche con riferimento a tale addebito la difesa COGNOME deduce l’apparenza della motivazione in punto di giudizio di responsabilità, mentre la difesa COGNOME lamenta la violazione degli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento alla sussistenza degli elementi tipici della fattispecie contestata; entrambi i ricorrenti si dolgono altresì della mancata configurazione dell’ipotesi di ‘uso di gruppo’ di sostanza stupefacente.
Ancora una volta le doglianze sono del tutto generiche in quanto non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata che non è apparente ma, al contrario, è corredata da un congruo apparato argomentativo il quale delinea la condotta concorsuale di entrambi gli imputati sussumibile nel paradigma legale di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte di appello (pagine da 14 a 16) ha dettagliatamente riportato la sequenza ed il tenore di conversazioni intercettate in corso di indagine correlandole con gli esiti delle attività tecniche di videoriprese e l’esito del controllo operato dalla polizia giudiziaria su NOME COGNOME, trovato in possesso di 21 grammi di sostanza stupefacente del tipo marjuana (pari a 137,40 dosi giornaliere); ha quindi affermato che la valutazione congiunta (e, quindi, non parcellizzata) di tali risultanze fattuali portava ad affermare che COGNOME era stato incaricato da NOME di incontrare NOME COGNOME per ritirare stupefacente e, contestualmente, corrispondere il relativo prezzo come previamente concordato; la traditio , tuttavia, non era andata a buon fine a causa del controllo operato dalle forze dell’ordine nei confronti dello stesso COGNOME con contestuale sequestro del quantitativo destinato alla consegna.
Proprio gli esiti di tale intervento -ha rilevato la Corte di appello -consentiva di decodificare il linguaggio chiaramente allusivo (‘macchina’ e ‘medicinali’) utilizzato nelle conversazioni intercettate e di definitivamente ritenere raggiunta la prova che la sostanza psicotropa in possesso di NOME era destinata a NOME e che della consegna materiale a costui era stato incaricato NOME.
Correttamente il Collegio di merito ha affermato che tale quadro probatorio portava ad escludere l’ipotesi di un mandato all’acquisto per un consumo di gruppo.
E’ noto il principio dettato dalla giurisprudenza di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, secondo cui ricorre l’ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, con conseguente irrilevanza penale del fatto, sia nell’ipotesi di acquisto congiunto, che in quella di mandato all’acquisto collettivo ad uno dei consumatori, a condizione che: a) l’acquirente sia uno degli assuntori; b) l’acquisto avvenga per conto degli altri componenti del gruppo; c) sia certa sin dall’inizio l’identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo finanziariamente all’acquisto (Sez. U, n. 25401 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255258; Sez. 4, n. 6782 del 23/01/2014, COGNOME, Rv. 259285; Sez. 4, n. 24102 del 23/03/2018, Verdoscia, Rv. 272961).
La Corte d’appello ha puntualmente applicato tali criteri dando conto dell’elevato quantitativo di stupefacente commissionato da NOME a COGNOME e da ritirare ad opera di COGNOME che escludeva, già di per sé, un uso personale dello stesso e rilevando il difetto di prova della parziale coincidenza soggettiva tra acquirente e assuntore dello stupefacente; della certezza sin dall’origine dell’identità dei componenti il gruppo; della condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale; dell’intesa raggiunta in ordine
al luogo e ai tempi del consumo; dell’immediatezza degli effetti dell’acquisizione in capo agli interessati senza passaggi intermedi.
E’ manifestamente infondato il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME con il quale si deduce – con riferimento all’addebito di evasione contestato al capo G) -l’ inutilizzabilità della videoripresa del 17 marzo 2018 che aveva documentato l’allontanamento – quel giorno dell’imputato dall’abitazione presso la quale era ristretto in regime di arresti domiciliari.
Come correttamente evidenziato dalla Corte di appello (pag. 19 della sentenza impugnata), le telecamere che avevano registrato la condotta di evasione erano collocate sulla pubblica via antistante l’abitazione dell’imputato senza alcuna intrusione nella privata dimora, sicchè le relative riprese, ancorchè sfornite di autorizzazione da parte della autorità giudiziaria, vanno considerate elemento di prova pienamente utilizzabile, essendone consentita l’acquisizione ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, COGNOME, Rv. 234267; Sez. 4, n. 10697 del 24/01/2012, Aidi, non mass.; Sez. 2, n. 28367 del 21/01/2017, COGNOME, Rv. 270362).
E’ invece fondato il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME essendo effettivamente non corretta la rideterminazione della pena operata dalla Corte di appello la quale ha erroneamente conteggiato anche il quantum di sanzione inflitto dal giudice di primo grado in relazione al reato di cui al capo B) per il quale, tuttavia, ha assolto l’imputato per non avere commesso il fatto.
Sul punto la sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, disponendosi l’eliminazione di tale porzione sanzionatoria (pari a mesi due di reclusione ed euro 133,00 di multa, già tenuto conto della diminuente per il rito) con conseguente rideterminazione della pena finale nella misura di anni due, mesi otto, giorni venti di reclusione ed euro 1.067,00 di multa: statuizione consentita a questa Corte non implicando l’operazione di calcolo effettuata alcuna valutazione di carattere discrezionale.
Il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME ed il secondo motivo del ricorso interposto nell’interesse di NOME COGNOME possono essere trattati congiuntamente in quanto correlati tra loro e relativi al fatto sub F) di imputazione, addebitato ad entrambi gli imputati in forma concorsuale.
Si deduce la violazione degli artt. artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con riferimento alla ritenuta sussistenza dei c.d. indici di destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente trovata nella vettura sulla quale viaggiavano entrambi gli imputati e alla mancata configurazione dell’ipotesi del consumo di gruppo; la difesa COGNOME censura altresì il carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata.
Le doglianze sono del tutto generiche non confrontandosi con l ‘apparato argomentativo sviluppato dai giudici di appello che non è affatto apparente.
La Corte di appello (pagg. 17 e 18 della sentenza impugnata) ha argomentato compiutamente e in aderenza alle risultanze processuali, valorizzando plurimi e convergenti dati fattuali (la cui rilettura non è consentita in sede di legittimità) ritenuti dimostrativi, ove valutati in modo congiunto, della finalità di spaccio della sostanza stupefacente trovata nella disponibilità dei ricorrenti e tali da escludere un consumo ‘collettivo’ .
In particolare, i giudici di secondo grado hanno valorizzato non solo il dato quantitativo (18 grammi di marjuana da cui erano ricavabili ben 89,60 dosi, pertanto di gran lunga superiore alle esigenze di un singolo consumatore ma anche ad un uso di gruppo che neppure gli imputati avevano allegato ed altresì incompatibile con la tesi di costoro secondo la quale si era trattato di un regalo ricevuto dalla COGNOME), ma anche l’assenza di elementi dai quali desumere la qualità di assuntori di stupefacente in capo agli imputati e le ulteriori risultanze investigative che attestavano una attività di spaccio da parte di entrambi.
Generico è, infine, il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME con il quale si deduce la violazione dell’art. 133 cod. pen. e l’ assenza di motivazione in punto di dosimetria della pena che, con l’atto di appello, si era chiesto di rideterminare in misura prossima al minimo edittale.
La Corte di merito (pagg. 20 e 21 della sentenza impugnata) ha argomentato al riguardo osservando, con espresso richiamo proprio agli indici di commisurazione indicati nell’art. 133 cod. pen., che la sanzione irrogata dal primo giudice era proporzionata al reale disvalore dei fatti e alla proclività a delinquere dimostrata dall’imputata di cui i reati commessi erano espressione.
Va ricordato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, ai fini della quantificazione, non è tenuto ad una
analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851).
Alla inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME segue la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio e, ciascuno, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni due, mesi otto, giorni venti di reclusione ed euro 1.067,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/04/2025