Detenzione a Fini di Spaccio: Quando gli Indizi Diventano Prova
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito quali elementi sono sufficienti a configurare il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, anche in assenza della prova diretta di una cessione. La pronuncia chiarisce come un insieme di indizi oggettivi possa costituire un quadro probatorio solido, respingendo il tentativo di un ricorrente di ottenere una nuova valutazione dei fatti in sede di legittimità. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere la linea di demarcazione tra uso personale e attività di spaccio.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna inflitta dalla Corte d’Appello a un individuo per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. La condanna si basava su una serie di elementi raccolti durante un controllo e la successiva perquisizione domiciliare. Nello specifico, erano stati rinvenuti:
* Un quantitativo di sostanza stupefacente pari a 11,64 grammi lordi.
* La sostanza era già suddivisa in 9 involucri di peso uguale, pronti per la cessione.
* Materiale per il confezionamento delle dosi presso l’abitazione dell’imputato.
* Un bilancino di precisione.
* Una somma di denaro di 600 euro, ritenuta provento dell’attività illecita, trovata vicino al luogo dove l’imputato dormiva.
Sulla base di questi elementi, i giudici di merito avevano concluso che la destinazione della sostanza fosse la vendita e non l’uso personale.
Il Ricorso in Cassazione e la Tesi Difensiva
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse fondato la sua decisione su elementi puramente indizianti, privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. Secondo la difesa, il giudice non avrebbe inoltre considerato adeguatamente l’incidenza di frasi offensive e minacciose pronunciate dall’imputato verso gli agenti, né avrebbe valutato correttamente l’elemento psicologico del reato. In sostanza, il ricorrente chiedeva una rilettura delle prove, asserendo che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’intenzione di spacciare.
Le Motivazioni della Cassazione sulla detenzione a fini di spaccio
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni chiare e in linea con il suo orientamento consolidato. In primo luogo, i giudici hanno sottolineato che le argomentazioni del ricorrente costituivano una richiesta di rivalutazione del merito della vicenda e una rilettura alternativa delle prove. Tale attività è preclusa in sede di legittimità, dove la Cassazione ha il solo compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito dei fatti.
La Corte ha ritenuto che il giudice d’appello avesse correttamente e logicamente argomentato la sua decisione. Gli elementi valorizzati (il dato ponderale, la suddivisione in dosi, il possesso del bilancino e del materiale per il confezionamento, nonché il denaro contante) sono stati considerati, nel loro complesso, come un quadro probatorio univoco e significativo, capace di dimostrare la destinazione della sostanza allo spaccio. Questi indizi, letti congiuntamente, superano la soglia del mero sospetto e acquisiscono il valore di prova.
La Cassazione ha inoltre precisato che anche le minacce proferite dall’imputato erano state correttamente interpretate dalla Corte territoriale come una reazione all’imminente perquisizione e al successivo sequestro del denaro, e non come un elemento in grado di scalfire il quadro accusatorio.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un principio giuridico fondamentale in materia di stupefacenti: la prova della detenzione a fini di spaccio non richiede necessariamente la flagranza di una cessione. Può essere legittimamente desunta da una serie di elementi oggettivi e fattuali che, valutati nel loro insieme, indicano in modo inequivocabile la finalità commerciale della detenzione. La presenza di droga già frazionata, bilancino di precisione e somme di denaro di cui non si sa giustificare la provenienza rappresentano, secondo la giurisprudenza costante, un corredo probatorio più che sufficiente. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che i tentativi di rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti davanti alla Cassazione sono destinati all’inammissibilità quando la motivazione della sentenza impugnata è logica, coerente e giuridicamente corretta.
Per configurare la detenzione a fini di spaccio è necessaria la prova di una vendita avvenuta?
No, secondo quanto stabilito nell’ordinanza, la prova dell’intento di spaccio può essere dedotta da un insieme di elementi oggettivi gravi, precisi e concordanti, anche senza che sia stata accertata una specifica cessione di droga.
Quali elementi sono stati considerati sufficienti per provare l’intento di spaccio in questo caso?
Gli elementi considerati decisivi sono stati: la quantità della sostanza (11,64 grammi), la sua suddivisione in 9 dosi uguali, la detenzione di materiale per il confezionamento, il possesso di un bilancino di precisione e il rinvenimento di una somma di denaro (600 euro) ritenuta provento di spaccio.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché chiedeva una nuova valutazione delle prove. La Corte di Cassazione svolge un controllo di legittimità, verificando la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, ma non può riesaminare i fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14244 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14244 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CIVITA CASTELLANA il 10/09/1977
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi – con cui il ricorrente ha affermato che la Corte di appello avrebbe fondato il giudizio di responsabilità per il reato di detenzione, a fini di spaccio, di sostanza stupefacente su elementi esclusivamente indizianti, sforniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e non avrebbe inoltre valutato l’incidenza delle frasi offensive e minacciose, pronunciate dall’imputato nei confronti degli operanti, e la sussistenza dell’elemento psicologico del reato – sono tesi a sollecitare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità, sono meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Giudice di merito (si vedano le pagine 4, 5 e 6 della sentenza impugnata, ove si è evidenziato che deponevano nel senso della destinazione allo spaccio della sostanza rinvenuta: il dato ponderale, pari a grammi 11,64 lordi; la suddivisione della sostanza in 9 involucri di peso uguale; la detenzione di tali involucri sulla pubblica via; la detenzione presso l’abitazione di materiale per il confezionamento; la detenzione del bilancino di precisione e di una somma di denaro, possibile provento di spaccio, in prossimità del divano letto, dove dormiva l’imputato. La Corte territoriale ha rimarcato, inoltre, che le minacce erano state proferite nel momento in cui l’imputato aveva appreso dell’imminente perquisizione domiciliare e, successivamente, quando gli era stata comunicata la necessità di sequestrare la somma di denaro di euro 600); Corte di Cassazione – copia non ufficiale rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 36755 del 4/06/2004, COGNOME, Rv. 229686 – 01), secondo cui la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in
/
favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 3/3/2025