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Detenuti 41-bis: cucinare in cella è un diritto?

Un detenuto in regime 41-bis ha impugnato la limitazione all’uso del fornello per cucinare, ritenendola discriminatoria. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che, sebbene il divieto assoluto di cucinare sia incostituzionale, l’amministrazione penitenziaria può legittimamente imporre fasce orarie per motivi di sicurezza e igiene. Tali restrizioni sono valide se non creano una disparità di trattamento ingiustificata e vessatoria rispetto agli altri detenuti dello stesso istituto, bilanciando così i diritti dei detenuti 41-bis con le esigenze organizzative del carcere.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenuti 41-bis: la Cassazione definisce i limiti al diritto di cucinare in cella

La vita quotidiana all’interno di un istituto penitenziario è scandita da regole precise, soprattutto per i detenuti 41-bis, sottoposti al cosiddetto ‘carcere duro’. Una recente sentenza della Corte di Cassazione è intervenuta su un aspetto apparentemente banale ma fondamentale per la dignità della persona: la possibilità di cucinare i propri cibi. La Corte ha chiarito che, sebbene esista un diritto a compiere questo gesto di normalità, esso non è assoluto e può essere regolamentato dall’amministrazione penitenziaria.

Il Caso: La controversia sull’uso del fornello in regime speciale

La vicenda nasce dal ricorso di un detenuto in regime 41-bis contro un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo, accogliendo il reclamo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, aveva annullato una precedente decisione che consentiva al detenuto l’uso del fornello a gas 24 ore su 24, al pari degli altri carcerati.

Il ricorrente sosteneva che limitare l’orario per la cottura dei cibi fosse una misura puramente punitiva e discriminatoria, non giustificata da reali esigenze di sicurezza, violando così il suo diritto alla salute e i principi costituzionali di umanità della pena.

L’intervento della Corte Costituzionale sul divieto di cottura cibi

Per comprendere appieno la decisione, è necessario fare un passo indietro. L’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, nella sua formulazione introdotta nel 2009, prevedeva un divieto assoluto per i detenuti 41-bis di cuocere cibi. Questa norma è stata però dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la storica sentenza n. 186 del 2018.

La Consulta ha riconosciuto che la possibilità di accedere a ‘piccoli gesti di normalità quotidiana’ è un residuo incomprimibile di libertà individuale. Tuttavia, pur sancendo il diritto, non ha escluso che il suo esercizio potesse essere disciplinato da regole interne al carcere, come la definizione di fasce orarie.

Le Motivazioni della Cassazione: tra diritto individuale ed esigenze collettive

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha ribadito e consolidato i principi espressi dalla Corte Costituzionale. Gli Ermellini hanno chiarito che la previsione di fasce orarie per la cottura dei cibi non equivale a negare il diritto, ma rappresenta un legittimo esercizio del potere organizzativo dell’amministrazione penitenziaria.

Il parametro fondamentale per valutare la legittimità di tali restrizioni è il principio di non discriminazione. La regolamentazione imposta ai detenuti 41-bis non deve creare una differenziazione ingiustificata e vessatoria rispetto al trattamento riservato ai detenuti comuni ristretti nel medesimo istituto. Una differenza di trattamento è legittima solo se supportata da valide ragioni.

Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato le restrizioni sulla base di precise esigenze logistiche e organizzative:

1. Salubrità degli ambienti: Evitare la concentrazione di fumi e odori nelle sezioni detentive.
2. Sicurezza: Tenere sotto controllo un’attività intrinsecamente pericolosa come l’uso di un fornello a gas.

La Cassazione ha ritenuto queste giustificazioni plausibili e sufficienti a legittimare una disciplina diversificata, concludendo che essa non si traduceva in un’ingiustificata maggiore afflittività della pena, ma rispondeva a concrete necessità gestionali.

Le Conclusioni: Diritto regolamentato, non assoluto

La sentenza in esame conferma un principio cruciale: il diritto dei detenuti 41-bis a cucinare in cella esiste ed è tutelato, ma non è illimitato. L’amministrazione penitenziaria ha il potere di regolamentarne le modalità di esercizio attraverso l’imposizione di fasce orarie.

Questa facoltà, tuttavia, non è arbitraria. Le restrizioni devono essere fondate su ragioni oggettive, quali la sicurezza, l’igiene e le esigenze organizzative dell’istituto, e non devono mai sfociare in un trattamento discriminatorio o puramente punitivo. La decisione della Cassazione rappresenta quindi un punto di equilibrio tra la tutela della dignità e dei diritti fondamentali del detenuto e la necessità di garantire l’ordine e la sicurezza all’interno del carcere.

I detenuti in regime 41-bis hanno il diritto di cucinare in cella?
Sì, la Corte Costituzionale ha stabilito che il divieto assoluto è illegittimo. Tuttavia, questo diritto non è illimitato e può essere soggetto a regolamentazione da parte dell’amministrazione penitenziaria.

L’amministrazione penitenziaria può limitare gli orari per la cottura dei cibi per i detenuti 41-bis?
Sì, può legittimamente stabilire delle fasce orarie per l’uso dei fornelli, in quanto ciò rientra nel suo potere organizzativo per la gestione della vita quotidiana nell’istituto.

A quali condizioni le limitazioni orarie alla cottura dei cibi sono considerate legittime?
Le limitazioni sono legittime se sono giustificate da plausibili esigenze logistiche, organizzative o di sicurezza (come il mantenimento della salubrità degli ambienti e il controllo di un’attività pericolosa) e non creano una differenziazione ingiustificata e vessatoria rispetto al trattamento riservato ai detenuti comuni nello stesso carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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