Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 39220 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 39220 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a San Pietro Vernotico (BR) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/12/2023 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accogliemento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME, attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Lecce indicata in epigrafe, che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
Sono due i motivi del suo ricorso, ovvero:
I) violazione di legge e vizi di motivazione, nella parte in cui è stata esclusa la destinazione al suo esclusivo uso personale dello stupefacente da lui detenuto presso la propria abitazione; si evidenziano, a tal fine: la sua qualità di assiduo consumatore, testimoniata dal fratello; la presenza in casa di “spinelli” già preparati; la quantità esigua di sostanza; l’irrilevanza del rinvenimento di una bilancia di precisione, poiché collocata in un posto disagevole (sopra ad un armadio) e, comunque, destinata soltanto alla verifica del peso della sostanza da lui acquistata per il proprio uso; l’assenza di disponibilità finanziarie incompatibili con i dati reddituali; la circostanza per cui la sostanza non fosse occultata;
II) violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R., cit., essendo modesto il quantitativo di stupefacente rinvenuto, e comunque non essendone stato verificato il principio attivo.
Hanno depositato conclusioni scritte sia il AVV_NOTAIO generale che il difensore ricorrente, concludendo rispettivamente per l’inammissibilità del ricorso e per il suo accoglimento.
L’impugnazione è inammissibile, poiché volta esclusivamente ad ottenere una rivalutazione dei dati di fatto valorizzati in sentenza, e quindi un giudizio di puro merito, non consentito in sede di legittimità.
3.1. Quanto alla destinazione dello stupefacente allo “spaccio”, i giudici d’appello hanno dato rilievo non solo all’aspetto quantitativo, obiettivamente non di minima lesività (essendone ricavabili 392 dosi al consumo), ma anche alla presenza di varie buste di cellophane appositamente ritagliate: dato, questo, in sé suggestivo – poiché attestante un’attività di confezionamento incompatibile con la destinazione al consumo personale della sostanza – e sul quale il ricorso tace del tutto.
Di contro, nessuna delle circostanze di fatto evidenziate in ricorso si presenta inconciliabile con la ritenuta destinazione della sostanza alla cessione a terzi, così da minare la complessiva tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata.
3.2. Gli stessi limiti presenta la doglianza riguardante il diniego dell’ipotesi lieve.
Vero è che la decisione impugnata ha dato rilievo pressoché esclusivo al dato quantitativo della sostanza, ma la difesa non ha allegato, né risulta altrimenti dalla lettura della sentenza, alcun elemento di segno differente e tale da poter eventualmente neutralizzare quel profilo nel giudizio di complessiva valutazione di tutti gli indicatori previsti dal citato art. 73, comma 5, cui è tenuto il giudice (Se U, n. 51063 del 27/09/2018; Murolo, Rv. 274076). Di qui, dunque, anche la
genericità della deduzione difensiva, che si risolve semplicemente in una manifestazione di dissenso dalle valutazioni della Corte d’appello.
All’inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n, 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23settembre 2024.