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Destinazione uso personale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa sosteneva la destinazione uso personale della sostanza, ma la presenza di 392 dosi potenziali e di bustine per il confezionamento sono stati ritenuti indizi decisivi, rendendo l’appello una mera richiesta di riesame dei fatti non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione Uso Personale di Stupefacenti: Quando gli Indizi Fanno la Differenza

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per destinazione uso personale e detenzione ai fini di spaccio è una delle questioni più delicate e frequenti nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 39220/2024) torna sul tema, chiarendo come la valutazione del giudice non possa basarsi su un singolo elemento, ma debba considerare la totalità degli indizi. Il caso analizzato dimostra come la presenza di materiali per il confezionamento possa essere un fattore decisivo per escludere l’uso personale, anche a fronte di argomentazioni difensive plausibili.

I Fatti del Caso: Detenzione di Stupefacenti in Casa

Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. L’imputato, attraverso il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che la droga rinvenuta nella sua abitazione fosse destinata esclusivamente al proprio consumo. A supporto di questa tesi, la difesa evidenziava diversi elementi:

* La sua condizione di assiduo consumatore, confermata anche da testimonianze.
* La presenza in casa di spinelli già preparati.
* La modesta quantità complessiva di sostanza.
* Il rinvenimento di una bilancia di precisione in un luogo difficilmente accessibile (sopra un armadio), che ne suggeriva un uso per la sola verifica del peso della sostanza acquistata per sé.
* L’assenza di disponibilità economiche anomale rispetto al suo reddito.
* Il fatto che la sostanza non fosse stata occultata.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Destinazione Uso Personale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che l’impugnazione non presentava validi motivi di legittimità, ma si limitava a chiedere una nuova valutazione dei fatti già analizzata dalla Corte di Appello. Questo tipo di richiesta, definita un “giudizio di puro merito”, non è consentita in sede di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non ricostruire l’accaduto.

La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello logica e coerente, e quindi non censurabile in sede di legittimità. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, data la manifesta infondatezza del ricorso.

Le Motivazioni: Oltre la Quantità, il Peso degli Indizi

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni che hanno portato la Cassazione a respingere le argomentazioni difensive. La Corte d’appello aveva fondato la sua decisione su due elementi cruciali che, insieme, superavano la tesi della destinazione uso personale:

1. L’aspetto quantitativo: la sostanza, sebbene non ingente in termini di peso assoluto, era sufficiente a ricavare ben 392 dosi. Una quantità ritenuta obiettivamente non di minima lesività e difficilmente compatibile con un consumo puramente personale.
2. La presenza di materiale per il confezionamento: erano state rinvenute diverse buste di cellophane appositamente ritagliate. Questo dato è stato considerato “suggestivo”, in quanto indicativo di un’attività di preparazione delle dosi per la vendita a terzi.

La Cassazione ha sottolineato come il ricorso difensivo avesse completamente ignorato questo secondo punto. La difesa si era concentrata su altri aspetti, senza però smontare l’argomento chiave dei giudici di merito relativo al materiale da confezionamento. Secondo gli Ermellini, nessuna delle circostanze addotte dalla difesa (essere un consumatore, la posizione della bilancia, etc.) era di per sé inconciliabile con l’attività di spaccio. La logica complessiva della motivazione della Corte d’appello, quindi, reggeva.

Anche riguardo alla richiesta di riconoscere l’ipotesi di reato di lieve entità (art. 73, comma 5), la Corte ha rilevato la genericità della difesa, la quale non aveva fornito elementi concreti capaci di controbilanciare il dato significativo della quantità di dosi ricavabili.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la prova della destinazione della sostanza stupefacente è di natura indiziaria e la valutazione deve essere complessiva. Per sostenere con successo la tesi della destinazione uso personale, non è sufficiente presentare elementi a proprio favore, ma è indispensabile contestare e smontare punto per punto tutti gli indizi di colpevolezza valorizzati dall’accusa.

La sentenza insegna che ignorare un elemento probatorio chiave, come la presenza di bustine per il confezionamento, rende l’impianto difensivo debole e destinato al fallimento. Infine, il provvedimento funge da monito contro i ricorsi in Cassazione che si risolvono in una sterile contestazione delle valutazioni di fatto operate dai giudici di merito, confermando che tale pratica conduce a una dichiarazione di inammissibilità e a ulteriori sanzioni pecuniarie.

La sola qualità di consumatore di droga è sufficiente per escludere lo spaccio?
No, la sentenza chiarisce che la qualità di assiduo consumatore non è di per sé incompatibile con l’attività di spaccio, specialmente in presenza di altri indizi contrari.

Quali elementi sono stati decisivi per confermare la condanna per spaccio anziché per uso personale?
Sono stati decisivi non solo l’aspetto quantitativo (la sostanza permetteva di ricavare 392 dosi), ma soprattutto la presenza di buste di cellophane ritagliate, ritenute un chiaro indizio di un’attività di confezionamento per la vendita a terzi.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una nuova valutazione dei fatti già esaminati dalla Corte di Appello, un’operazione non consentita in sede di legittimità. Inoltre, l’appello è stato considerato manifestamente infondato perché non affrontava un elemento chiave dell’accusa, ovvero le buste per il confezionamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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