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Destinazione stupefacenti: quando è spaccio e non uso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di cocaina. La Corte ribadisce che per valutare la destinazione stupefacenti non basta la parola dell’imputato, ma contano elementi oggettivi come la quantità della sostanza e la condotta tenuta. La riproposizione di argomenti già respinti in appello rende il ricorso manifestamente infondato.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Uso Personale o Spaccio? La Cassazione sulla Destinazione Stupefacenti

La linea di confine tra la detenzione di sostanze per uso personale e quella finalizzata alla vendita a terzi rappresenta uno degli snodi più delicati del diritto penale. La corretta qualificazione della destinazione stupefacenti è fondamentale, poiché determina conseguenze sanzionatorie profondamente diverse. Con l’ordinanza n. 6199/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i principi guida per questa valutazione, dichiarando inammissibile un ricorso basato su argomentazioni già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio.

I Fatti del Caso

Un giovane veniva condannato nei primi due gradi di giudizio per detenzione di cocaina. La sua difesa si basava su un punto essenziale: la sostanza era destinata esclusivamente al proprio consumo personale. A supporto di questa tesi, venivano portate le dichiarazioni dell’imputato e di un’altra persona che si trovava con lui al momento del controllo. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ritenuto queste versioni contrastanti e inattendibili, giungendo a una conclusione diversa basata su una serie di elementi oggettivi. L’imputato decideva quindi di presentare ricorso per cassazione, contestando la valutazione della sua responsabilità e la qualificazione della condotta.

La Decisione della Corte sulla Destinazione Stupefacenti

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. È importante sottolineare che la Cassazione non è un terzo grado di giudizio in cui si riesaminano i fatti nel merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, i giudici hanno ritenuto che i motivi del ricorso fossero “manifestamente infondati” e “riproduttivi di identiche censure” già formulate in appello. In altre parole, il ricorrente non ha sollevato nuove questioni di diritto, ma ha semplicemente chiesto alla Cassazione di rivalutare le prove, un’attività che non le compete.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, la Corte d’Appello aveva già fornito una risposta specifica e logica alle argomentazioni difensive. Aveva spiegato dettagliatamente perché le versioni dell’imputato e del testimone non erano credibili, evidenziandone le contraddizioni. Aveva inoltre valorizzato elementi concreti che deponevano contro l’ipotesi dell’uso personale. Tra questi, spiccavano:

* La condotta posta in essere dall’imputato.
* Il dato ponderale e qualitativo della sostanza (cocaina), ritenuto incompatibile con un consumo puramente individuale.

In secondo luogo, il ricorso in Cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni fattuali già respinte, sperando in una diversa valutazione. Per essere ammissibile, deve evidenziare vizi di legittimità, come un’errata interpretazione della legge o una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Le Conclusioni: Criteri Pratici per la Valutazione

L’ordinanza offre importanti spunti pratici. La distinzione tra uso personale e spaccio non si basa mai su un singolo elemento, ma su una valutazione complessiva di tutti gli indizi a disposizione. La quantità della sostanza è certamente un fattore rilevante, ma non l’unico. I giudici devono considerare il contesto, le modalità di conservazione, la presenza di strumenti per il confezionamento o la pesatura e, come in questo caso, la condotta del soggetto e l’attendibilità delle sue dichiarazioni. La decisione conferma che, di fronte a una motivazione logica e coerente da parte del giudice di merito, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella già effettuata. La conseguenza diretta dell’inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando i motivi sono manifestamente infondati e si limitano a riproporre le stesse censure già esaminate e motivatamente respinte dalla Corte di Appello, senza sollevare reali questioni di legittimità.

Quali elementi usa un giudice per decidere se la droga è per uso personale o per spaccio?
La Corte indica che i giudici valutano un insieme di elementi, tra cui la condotta dell’imputato, il dato ponderale (la quantità) e qualitativo della sostanza (in questo caso, cocaina), e l’attendibilità delle versioni fornite dall’imputato e da eventuali testimoni.

Cosa succede economicamente a chi propone un ricorso dichiarato inammissibile?
Come stabilito nel provvedimento, il ricorrente la cui impugnazione è dichiarata inammissibile viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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