Destinazione Stupefacenti: Quando la Detenzione Diventa Spaccio? La Cassazione Spiega
La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8493/2024) torna sul tema, fornendo chiarimenti essenziali sui criteri di valutazione che il giudice deve adottare. La corretta qualificazione della destinazione stupefacenti è fondamentale, poiché da essa dipendono conseguenze sanzionatorie molto diverse. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso: Il Confezionamento in Dosi come Indizio Chiave
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato nei gradi di merito per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti (D.P.R. 309/1990). La Corte d’Appello aveva confermato la condanna basandosi su una serie di elementi concreti.
In particolare, l’imputato era stato trovato in possesso di un quantitativo di droga non trascurabile, già suddiviso in tre involucri distinti. Un altro fatto ritenuto significativo dai giudici è stato il comportamento tenuto dall’imputato al momento del controllo: egli aveva consegnato spontaneamente agli agenti solo uno dei tre involucri, cercando evidentemente di nascondere gli altri. Questi elementi, valutati nel loro complesso, avevano convinto la Corte a ritenere provata la finalità di spaccio.
La Questione Giuridica sulla Destinazione Stupefacenti
Il ricorrente ha contestato in Cassazione la motivazione della sentenza d’appello, sostenendo che non fosse stata adeguatamente provata la finalità di cessione a terzi. La difesa ha insistito sul fatto che il superamento dei limiti quantitativi tabellari, stabiliti dall’art. 73, comma 1-bis, non può, da solo, invertire l’onere della prova, addossando all’imputato il compito di dimostrare l’uso personale.
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi consolidati in materia. Viene confermato che l’onere di dimostrare la destinazione stupefacenti allo spaccio grava sempre sulla pubblica accusa. Il mero dato quantitativo, pur essendo un indizio, non è sufficiente a fondare una condanna, né a creare una sorta di presunzione legale di colpevolezza.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile in quanto riproponeva censure già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello con una motivazione logica e coerente. I giudici di legittimità hanno spiegato che, per accertare la finalità della detenzione, il giudice deve procedere a una valutazione globale e complessiva di tutti gli elementi a disposizione. Questi elementi includono non solo la quantità, ma anche le modalità di presentazione della sostanza, il confezionamento e ogni altra circostanza dell’azione.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente valorizzato i seguenti indizi:
1. Il confezionamento in dosi: la suddivisione della sostanza in tre involucri separati è stata considerata un forte indicatore della preparazione per la vendita.
2. Il quantitativo non trascurabile: sebbene non decisivo da solo, il quantitativo ha contribuito a rafforzare il quadro indiziario.
3. Il comportamento dell’imputato: il tentativo di occultare parte della sostanza è stato interpretato come un comportamento tipico di chi è consapevole di detenere la droga per fini illeciti diversi dall’uso personale.
La combinazione di questi elementi, secondo la Cassazione, costituiva una base probatoria solida e sufficiente per affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la destinazione della sostanza alla cessione a terzi.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale. Per chi si occupa di diritto penale, questa pronuncia è un’utile guida pratica sui criteri per distinguere l’uso personale dallo spaccio. La decisione riafferma che il processo penale non si basa su automatismi o presunzioni, ma richiede un’attenta e rigorosa analisi dei fatti.
L’insegnamento principale è che la prova della destinazione stupefacenti allo spaccio si costruisce attraverso un mosaico di indizi gravi, precisi e concordanti. Il giudice di merito ha il compito di esaminare tutte le circostanze del caso concreto – dalla quantità al modo in cui la droga è conservata e presentata, fino al comportamento del detentore – per formare il proprio convincimento. La difesa, d’altro canto, deve essere in grado di contestare la valenza indiziaria di ciascun elemento, senza che gravi su di essa l’onere di dimostrare l’uso esclusivamente personale.
Il solo superamento dei limiti di quantità previsti dalla legge è sufficiente a provare lo spaccio?
No, la Corte di Cassazione ribadisce che il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari non è sufficiente a invertire l’onere della prova a carico dell’imputato o a introdurre una presunzione di destinazione allo spaccio.
Quali elementi, oltre alla quantità, possono dimostrare la destinazione allo spaccio della sostanza?
La sentenza evidenzia che elementi cruciali sono le modalità di presentazione della sostanza (come il confezionamento in dosi separate), il comportamento dell’imputato (come il tentativo di nascondere parte della droga) e altre circostanze concrete dell’azione, che devono essere valutate globalmente dal giudice.
Su chi grava l’onere di provare la destinazione allo spaccio?
L’onere di dimostrare che la sostanza stupefacente è destinata allo spaccio grava sempre e interamente sulla pubblica accusa. Non è l’imputato a dover provare che la detenzione sia per uso esclusivamente personale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8493 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8493 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FIESOLE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 29.9,.2022 di conferma della condanna del Tribunale di Palermo in ordine al reato di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Palermo il 13 luglio 2015.
Rilevato che il primo motivo, con cui COGNOME ha dedotto il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta destinazione allo spaccio della sostanza sequestrata, è inammissibile, in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso dalla Corte di merito con percorso argomentativo logico e coerente. La destinazione all uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e grava perciò sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (ex plurimis Sez. 6 n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614). Peraltro è orientamento consolidato quello per cui in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo dei superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugau, Rv. 242923). La Corte di Appello ha ritenuto provata la destinazione a terzi della sostanza stupefacente detenuta in ragione del confezionamento in tre dosi, del quantitativo non trascurabile e del fatto che l’imputato aveva consegnato agli operanti uno solo dei tre involucri.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024
Il Consiglier e tensore
COGNOME
Il Prqidnte