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Destinazione stupefacente: Cassazione inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per detenzione di droga. La Corte ha confermato la valutazione dei giudici di merito, che avevano escluso l’uso personale basandosi su chiari indicatori della destinazione stupefacente alla vendita, come il confezionamento in dosi, il luogo del controllo e la quantità totale rinvenuta.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione Stupefacente: Quando il Possesso Diventa Spaccio

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce sui criteri utilizzati dai giudici per determinare la destinazione stupefacente e le ragioni per cui un ricorso può essere dichiarato inammissibile. Analizziamo insieme questo caso per capire quali elementi oggettivi possono trasformare un semplice possesso in un reato di spaccio.

I Fatti del Caso: Controllo in un Giardino Pubblico

Il caso ha origine dal ricorso presentato da un giovane contro una sentenza della Corte d’Appello. L’imputato era stato condannato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La sua difesa sosteneva che la droga fosse destinata esclusivamente a un uso personale.

Tuttavia, diversi elementi raccolti durante le indagini raccontavano una storia diversa. L’uomo era stato fermato nei pressi di un giardino pubblico, un’area già nota alle forze dell’ordine per attività di spaccio. Al momento del controllo, gli sono state trovate addosso alcune dosi già confezionate e pronte per la vendita. Una successiva perquisizione domiciliare ha portato al rinvenimento di un’ulteriore quantità della stessa sostanza. Questi elementi, uniti alle condizioni personali dell’imputato, hanno convinto i giudici di merito che la droga non fosse per sé, ma per essere ceduta a terzi.

La Decisione della Corte: il ricorso sulla destinazione stupefacente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si concentra sulla correttezza formale e legale del ricorso stesso. Secondo gli Ermellini, i motivi presentati dalla difesa non sollevavano questioni di diritto (cioè errori nell’applicazione della legge), ma tentavano di ottenere una nuova valutazione dei fatti, cosa non permessa in sede di legittimità.

La Corte ha ritenuto che la sentenza d’appello avesse già esaminato e respinto in modo logico e giuridicamente corretto le argomentazioni difensive, basando la propria decisione su elementi concreti e univoci.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha sottolineato che i giudici di merito hanno correttamente valorizzato una serie di ‘indicatori’ che, nel loro insieme, delineavano un quadro chiaro di attività di spaccio, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Questi indicatori includevano:

* Le modalità di conservazione dello stupefacente: la sostanza era già suddivisa in dosi, pronte per essere smerciate.
* Le circostanze del fatto: il controllo è avvenuto in un luogo noto per lo spaccio, dove erano in corso attività di prevenzione da parte delle forze dell’ordine.
* La quantità complessiva: oltre alle dosi trovate addosso, un’altra quantità era detenuta a casa.
* Le condizioni personali dell’imputato: valutate nel contesto generale.

Questi elementi, considerati nel loro complesso, sono stati ritenuti sufficienti per escludere l’ipotesi dell’uso personale e qualificare la condotta come detenzione finalizzata alla cessione. Il ricorso, limitandosi a riproporre censure già vagliate e disattese, è stato quindi giudicato inammissibile.

Conclusioni: Gli Indici Oggettivi Prevalgono sulla Parola

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per distinguere tra uso personale e spaccio, i giudici si basano su criteri oggettivi e fattuali, non sulla mera dichiarazione dell’imputato. La presenza di dosi confezionate, il luogo del ritrovamento e la quantità totale sono elementi che, sommati, possono creare una presunzione grave, precisa e concordante di colpevolezza per il reato di spaccio.

La decisione sottolinea anche i limiti del ricorso in Cassazione, che non può essere utilizzato come un ‘terzo grado’ di giudizio per rimettere in discussione l’apprezzamento delle prove, se questo è stato compiuto dai giudici di merito in modo logico e conforme alla legge. Per il ricorrente, l’inammissibilità si è tradotta nella condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Quali elementi distinguono la detenzione di droga per uso personale da quella finalizzata allo spaccio secondo la Cassazione?
La Cassazione ha confermato che elementi come le modalità di conservazione (dosi già pronte), il luogo del controllo (vicino a zone di spaccio), la quantità totale detenuta (addosso e a casa) e le condizioni personali dell’imputato sono indicatori validi per qualificare la detenzione come finalizzata alla cessione a terzi.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché contestava la valutazione dei fatti e delle prove compiuta dai giudici di merito, anziché sollevare questioni di legittimità o violazioni di legge. Tali censure, basate su una diversa interpretazione dei fatti, non sono ammesse nel giudizio di Cassazione.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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