Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30952 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30952 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOME COGNOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Lecce del 13/10/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dr. NOME
NOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13/10/2023, il Tribunale della libertà di Lecce rigettava l’appell proposto dall’indagato avverso il rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventiv disposto dal GIP presso il Tribunale di Lecce, avente ad oggetto un’area adibita a parcheggio, realizzata in assenza di permesso di costruire su zona gravata da vincolo idrogeologico, paesaggistico e ambientale sita in agro del comune di San Cesareo, in relazione al quale il
COGNOME era indagato per i reati di cui agli articoli 44, lettera c), d.P.R. 380/2011, e 181 d. 42/2004.
2. Avverso il provvedimento ricorre COGNOME NOME.
Con il primo motivo lamenta violazione degli articoli 125 e 321 cod. proc. pen..
L’ordinanza impugnata conterrebbe infatti una motivazione meramente apparente in relazione al fumus commissi delicti, avendo operato una valutazione puramente astratta, senza confrontarsi con la realtà fenomenica.
Inoltre, il Tribunale non si confronta con la circostanza che già nel 2017 per il medesimo fatto, l’odierno ricorrente era stato imputato e poi assolto perché il fatto non sussiste.
Vi è quindi anche una violazione del principio del ne bis in idem.
Ancora, la giurisprudenza ritiene che nel caso di mutamento di destinazione d’uso senza opere (come nel caso di specie), non è configurabile l’articolo 44, lettera c), bensì la lettera d.P.R. 380/2001 (Cass. 4943/2012).
Analogamente, il ricorrente ritiene che l’ordinanza impugnata sia priva di motivazione in riferimento al periculum in mora. All’atto del sequestro nessun manufatto era stato realizzato e la destinazione d’uso è compatibile con l’attività in corso.
In data 3 aprile 2024 l’AVV_NOTAIO del Foro di Lecce faceva pervenire, per l’imputato, memoria di replica ex art. 127 cod. proc. pen. in cui insisteva per l’accoglimento de ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il Collegio osserva come, a mente dell’art. 325 cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità avverso provvedimenti cautelari reali è consentito soltanto per motivi attinenti a violazione di legge nella cui nozione rientrano, oltre agli errores in iudicando o in procedendo, anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, COGNOME, P.v. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093).
Sono, conseguentemente, inammissibili tutti i motivi che, direttamente o sotto l’ombrello della violazione di legge o della assenza o mera apparenza della motivazione, intendono censurare la tenuta logica del provvedimento impugnato, elemento comune ad entrambi i motivi di ricorso, che, assieme alla violazione di legge, contestano anche il vizio di motivazione.
Tale è la circostanza ricorrente nel caso in esame in cui, come si vedrà meglio in appresso, il provvedimento impugnato contiene una motivazione certamente non apparente.
3. Altrettanto preliminarmente, si evidenzia come, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 50780 del 16/11/2023, Brando, n.m.), in tema di appello avverso provvedimenti cautelari reali, la regola prevista dall’art. 292, comma 2′ lett. c-bis), cod. proc. pen. che, a pena di nullità, impone al giudice l’obbligo di motivazione, opera soltanto per provvedimento applicativo della misura, ma non per l’ordinanza che risponde all’istanza di restituzione dei beni sequestrati, ai sensi dell’art. 321, comma 3, cod. proc. pen., rispetto a quale è consentita la motivazione per relationem ad atti del procedimento noti alle parti, e la sua impugnazione ha effetto devolutivo, attribuendo al giudice del gravame piena cognizione, con la possibilità di rimediare all’eventuale insufficienza della motivazione (Sez. 2 – n. 7829 d 15/01/2021 Rv. 280687 – 01).
In altri termini, nel giudizio d’appello avverso provvedimenti cautelari reali, disciplin dall’art. 322-bis cod. proc. pen., l’impugnazione innanzi al tribunale ha effetto devolutivo attribuisce al giudice del gravame piena cognizione, potendo essere posto rimedio sia alla insufficienza, sia alla mancanza di motivazione (Sez. 3, n. 58451 del 13/11/2018, Romito, Rv. 275566 – 01; Sez. 3 – n. 58451 del 13/11/2018 Rv. 275566 – 01).
3.1. Dunque, nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto dalla Difesa, il tribunale ha esercitato legittimi poteri, quand’anche integrando una motivazione mancante o carente.
In ottemperanza a tale potere di integrazione, il Tribunale del riesame, dopo aver condiviso la stringata motivazione addotta dal GIP di Lecce (il quale aveva evidenziato che l’indagato, in sede di appello cautelare, non aveva dedotto un quid novi rispetto ai presupposti di emanazione della misura cautelare reale), la integra con la considerazione secondo cui qualsiasi mutamento di destinazione d’uso su beni gravati da vincolo paesaggistico necessita di apposito titolo abilitativo, nel caso di specie totalmente mancante (pag. 3).
Evidenzia ancora il Tribunale del riesame – con motivazione in punto di fatto che non può essere oggetto di scrutinio in questa sede – che la realizzazione di un ampio parcheggio (all’atto del sequestro vi insistevano ben 98 autovetture) non può che essere stata realizzata previ lavori di livellamento e/o sbancamento del terreno (come evidenziato dalle fotografie in atti), posto che l’area naturale di Porto Cesareo è caratterizzata dalla presenza di macchia mediterranea, arbusti e dune, per culla realizzazione del parcheggio, in area destinata a verde agricolo, oltr a determinare il passaggio ad altra categoria urbanistica, ha anche determinato modificazioni permanenti sullo stato dell’immobile.
Affermazione, quest’ultima, in linea con la giurisprudenza della Corte (v. Sez. 3, n. 18460 del 09/01/2020, Onori, Rv. 279427 – 01), secondo cui «integra il reato di cui all’art. 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l’abusiva esecuzione, in un’area sottoposta a vincolo
paesaggistico, di lavori di livellamento del terreno, trattandosi di intervento modificativo territorio soggetto, in quanto tale, ad autorizzazione».
La motivazione fornita in tema di fumus commissi delicti è, quindi, tutt’altro che apparente, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.
3.2. Va peraltro rammentato che l’articolo 44 comma 1 d.P.R. 380/2001 stabilisce che (salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative) si applica:
l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, da strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
L’articolo 32 a sua volta stabilisce, al comma 1, che le regioni stabiliscono quali siano variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;
aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
Ai sensi del comma 3, gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologic nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali.
Non vi è dubbio, quindi, che qualsiasi intervento edilizio compiuto su aree sottoposte a vincolo paesaggistico sia sanzionato ai sensi dell’articolo 44 lettera c).
La Corte, sul punto, ritiene (Sez. 3, Sentenza n. 16392 del 17/02/2010, COGNOME, Rv. 246960 – 01) che, in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticarnente vincolata, ai fi
della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in varia essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistic eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale diff considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali (Fattispecie in tema sequestro preventivo in cui la Corte ha precisato che, in tal caso, la sanzione applicabile è sempre quella di cui all’art. 44, comma primo, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, non essendovi spazio pe l’applicazione di quella contemplata dalla lett. a) della richiamata disposizione).
Il Collegio evidenzia come la giurisprudenza, anche amministrativa, ha avuto modo di chiarire che la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrast con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bens un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede” (Tar Sic Catania, Sez. 2, sentenza 15/12/2015 n. 2890).
3.4. Va inoltre sottolineato che il cambio d’uso e di utilizzo dell’immobile va interessa contemporaneamente due ambiti, uno intrinseco all’immobile, l’altro al suo contesto circostante.
Ed infatti esistono due tipi destinazione dell’immobile: quella «urbanistica», che consiste sostanzialmente nella c.d. «zonizzazione», ossia nella suddivisione del territorio per aree omogenee da parte dello strumento urbanistico comunale (ad es.: verde pubblico, servizi, ecc.), che provvede a disciplinare la distribuzione e tipologia di destinazione ammissibili; e quell «edilizia», che consiste nella destinazione d’uso dello specifico edificio (o sua porzione) conformità allo strumento urbanistico comunale.
Diversa ancora è la c.d. «destinazione catastale», ossia la categoria attribuita a fini catastal che ha esclusivamente la funzione di orientare la stima del valore dell’immobile a fini fiscali.
La destinazione d’uso «edilizia» deve, chiaramente, conformarsi alla disciplina urbanistica.
La «zonizzazione» è disciplinata dal decreto interministeriale 2/04/1968, n. 1444 (le cui disposizioni si applicano ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggi lottizzazioni convenzionate; ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate; alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti), il all’articolo 2, prevede che sono considerate zone territoriali omogenee:
A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storic artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostant che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti n sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la dens territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq;
le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedific nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui precedente lettera B);
le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad e assimilati;
le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);
le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.
L’articolo 23-ter del d.P.R. 380/2001 (Mutamento d’uso urbansticamente rilevante), introdotto dal d.l. 133/2014 (c.d. “sblocca Italia”), al comma 1 introduce quattro «categori funzionali» di destinazione d’uso edilizio:
residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
produttiva e direzionale;
commerciale;
rurale.
La norma, inoltre, stabilisce che, salva diversa previsione da parte delle leggi regional costituisce mutamento «rilevante» della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale.
Pertanto, l’unico mutamento «non rilevante» è quello che opera all’interno della medesima categoria funzionale.
. Ciò in quanto il passaggio ad altra categoria funzionale può avere incidenza sul contesto urbanistico circostante.
Ove ciò non avvenga, si realizza, anche senza la realizzazione di opere, un intervento edilizio incompatibile con la destinazione urbanistica dell’immobile, in quanto sussiste un «obbligo conformativo» tra intervento di trasformazione funzionale e regole urbanistiche, in virtù del quale opera un rapporto subordinato del cambio d’uso edilizio rispetto a quello urbanistico.
Ed infatti, questa Corte ha chiarito (Sez. 3, n. 40678 del 26/06/2018, Gareri, n.nn.) che la destinazione d’uso è un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione della pianificazione.
Essa individua il bene sotto l’aspetto funzionale, specificando le destinazioni di zona fissat dagli strumenti urbanistici in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territ prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio seconda della diversa destinazione di zona (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, COGNOME; Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013, COGNOME, Rv. 258686; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 260422; Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
L’organizzazione del territorio comunale e la gestione dello stesso vengono, infatti, realizzate attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni modifiche non consentite di queste incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale (Sez. 3, n. 24096 del 07/03/2008, Desinnine; Sez. 3, Sentenza n. 35177 del 12/07/2001, dep. 21/10/2002, Cinquegrani Rv. 222740).
Non è, perciò, sufficiente dimostrare che il mutamento della destinazione d’uso sia stato eseguito in assenza di opere edilizie, ma occorre la dimostrazione (nel caso in esame non fornita) che il cambio della destinazione presenti il requisito dell’omogeneil:à, nel senso che si intervenuto tra categorie urbanistiche omogenee perché il cambio, allorquando investe categorie urbanistiche disomogenee di utilizzazione, determina un aggravamento del carico urbanistico esistente.
Tale assunto è condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. 5, n. 24 del 3/1/1998, RAGIONE_SOCIALE), la quale ha affermato al riguardo che cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volto a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’altera idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede.
Va, quindi, conclusivamente ribadito che, in tema di reati edilizi, è richiesto il permesso costruire per le modifiche di destinazione d’uso (anche senza opere) che comportino il passaggio di categoria omogenea (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016 – dep. 24/06/2016, P.M. in proc. NOME, Rv. 267106), in quanto tale intervento edilizio si pone in contrasto con gli strumenti programmazione urbanistica.
3.5. Il ricorso, inoltre, che omette del tutto di confrontarsi con la contestata sussistenza reato paesaggistico, concentrando il focus delle sue censure esclusivamente sugli aspetti urbanistici, è quindi anche inammissibile per genericità.
Va infatti rammentato che, in presenza di vincolo paesaggistico, qualsiasi intervento edilizio necessita di permesso di costruire (Sez. 3, n. 27199 del 18/05/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 271336 – 01), soprattutto nel caso in cui le modifiche di
destinazione comportino il passaggio di categoria urbanistica (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, COGNOME, Rv. 267106 – 01; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 260422 – 01), come accaduto nel caso di specie, in cui l’ordinanza precisa che, per effetto della modifica, il terre da agricolo, è stato trasformato in un ampio e stabile parcheggio, riconducibile ad altra categoria urbanistica (si veda anche Sez. 3, n. 5712 del 13/12/2013, dep. 2014, Rv. 258686 – 01, secondo cui il permesso di costruire è necessario, pur in assenza di passaggio ad altra categoria, ove la modifica di destinazione d’uso avvenga in centro storico).
Il motivo relativo alla violazione del principio del ne bis in idem è manifestamente infondato.
Il Collegio in proposito evidenzia che, per costante giurisprudenza della Corte, il reato di c all’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 ha carattere permanente e la permanenza cessa in concomitanza della cessazione della condotta o, in alternativa, con il sequestro del bene o, in mancanza, con la sentenza di primo grado quando, come nel caso in esame, la contestazione sia di natura “aperta”» (Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 271336 – 01; Sez. 3, n. 30130 del 30/03/2017, Rv. 270254 – 01; Sez. 3, n. 40265 del 26/05/2015, Rv. 265161 – 01).
Tale ultima affermazione conduce alla manifesta infondatezza della lamentata violazione del principio del ne bis in idem: non vi è dubbio, infatti, che una eventuale sentenza di primo grado che avesse assolto l’attuale ricorrente per fatti analoghi, romperebbe la permanenza, per cui eventuali condotte successive integrerebbero un nuovo reato.
La deduzione, peraltro, difetta anche della necessaria specificità, in quanto tale sentenza viene indicata ma neppure allegata al ricorso.
Quanto al periculum, il motivo è del pari inammissibile, in presenza di una motivazione tutt’altro che apparente o stereotipata, come testualmente riportata a pagina 9-10 dello stesso ricorso, in cui si dà atto dell’aumento del c.d. “carico urbanistico” per effetto della modific destinazione d’uso e del pericolo di modifica della “cornice ambientale” dei beni tutelati.
Tale motivazione appare del resto conforme anche alle previsioni del Regolamento edilizio del comune di San Cesareo, il quale, all’articolo 5, definisce il «carico urbanistico» come «fabbisogno di dotazioni territoriali di un determinato immobile o insediamento in relazione alla sua entità e destinazione d’uso» e precisa che «costituiscono variazione del carico urbanistico l’aumento o la riduzione di tale fabbisogno conseguenti all’attuazione di interventi urbanistico edilizi ovvero a mutamenti di destinazione d’uso».
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi pe ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 10/04/2024.