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Destinazione droga: spaccio vs uso personale

Un giovane viene fermato con 6 dosi di stupefacente e 295 euro in piccolo taglio. La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il suo ricorso, confermando la condanna per spaccio. La Corte sottolinea che la valutazione sulla destinazione droga spetta al giudice di merito, basandosi su indizi oggettivi come il numero di dosi e il possesso di denaro, ritenendo le giustificazioni dell’imputato inverosimili.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione Droga: Quando il Possesso Diventa Spaccio

La distinzione tra uso personale e spaccio di sostanze stupefacenti è una delle questioni più delicate nel diritto penale. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi i giudici devono considerare per determinare la destinazione droga e quando le giustificazioni dell’imputato non sono sufficienti a evitare una condanna. Questo caso offre uno spaccato preciso dei criteri valutativi applicati nei tribunali.

I Fatti del Caso

Un giovane veniva condannato in primo grado e in appello alla pena di quattro mesi di reclusione e 800 euro di multa per il reato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, nella sua forma lieve (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990).
I fatti sono semplici: fermato dalle forze dell’ordine mentre era alla guida di un motorino, l’imputato veniva trovato in possesso di sei dosi di sostanza stupefacente e della somma di 295 euro in banconote di piccolo taglio, il tutto custodito all’interno di un marsupio. Ritenendo ingiusta la condanna, proponeva ricorso in Cassazione lamentando, tra le altre cose, un’errata valutazione delle prove e il mancato riconoscimento dell’ipotesi di uso personale, non punibile penalmente.

La Decisione della Corte e la Destinazione Droga

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna per spaccio. La decisione si fonda su un principio consolidato: la valutazione sulla destinazione droga (se per consumo personale o per la vendita) spetta al giudice di merito e può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione della sentenza è inesistente o palesemente illogica.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i giudici di appello avessero correttamente applicato questo principio, basando la loro decisione su elementi oggettivi e concordanti che indicavano chiaramente l’intenzione di spacciare.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse costruito un ragionamento logico e coerente. Gli elementi considerati decisivi sono stati:
1. La quantità e il confezionamento: il possesso di sei dosi già pronte per la vendita è stato ritenuto un forte indizio di attività di spaccio, a differenza del possesso di un quantitativo unico non ancora frazionato.
2. Il denaro contante: la presenza di 295 euro in banconote di piccolo taglio è stata considerata un elemento sintomatico dell’attività di cessione a terzi, rappresentando il probabile provento di vendite precedenti.
3. L’inverosimiglianza delle giustificazioni: L’imputato aveva fornito delle spiegazioni che i giudici hanno ritenuto inverosimili e inidonee a smentire l’ipotesi accusatoria. In particolare, è stata giudicata illogica l’affermazione di detenere un’ulteriore e più cospicua quantità di droga a casa per uso personale, mentre si circolava con dosi già confezionate. Questo comportamento è stato interpretato come tipico di chi si dedica allo spaccio.
La Corte ha quindi ribadito che l’insieme di queste circostanze oggettive e soggettive, valutate nel loro complesso, giustificava pienamente la conclusione che la droga fosse destinata alla vendita e non al consumo personale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza in materia di stupefacenti. La distinzione tra uso personale e spaccio non si basa solo sulla quantità di sostanza detenuta, ma su una valutazione complessiva di una serie di ‘indici sintomatici’. Il numero di dosi, il loro confezionamento, il possesso di denaro in piccoli tagli e le modalità della condotta sono tutti elementi che, uniti, possono portare a una condanna per spaccio. Per chi viene accusato di tale reato, è fondamentale fornire giustificazioni credibili e coerenti, poiché le spiegazioni ritenute illogiche o inverosimili dai giudici possono rafforzare, anziché indebolire, il quadro accusatorio.

Come distinguono i giudici tra uso personale e spaccio di droga?
I giudici valutano tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso. Non si basano solo sulla quantità, ma considerano indizi come il frazionamento della sostanza in dosi, il possesso di denaro in piccolo taglio, le modalità di detenzione e il comportamento del soggetto. La decisione si fonda su una valutazione complessiva di questi elementi.

Perché le giustificazioni dell’imputato non sono state ritenute valide?
La Corte territoriale le ha considerate inverosimili e illogiche. In particolare, è stata giudicata incoerente la giustificazione secondo cui l’imputato, pur avendo a casa una scorta per uso personale, circolasse con sei dosi già confezionate e denaro contante. Questa condotta è stata ritenuta tipica dello spaccio e non del consumo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta che la Corte non esamina il merito del ricorso perché privo dei requisiti di legge. La condanna diventa definitiva e l’imputato è obbligato a pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria (in questo caso 3.000 euro) alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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