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Destinazione della droga: Cassazione su spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La Corte ha stabilito che la valutazione sulla destinazione della droga non si basa solo sulla quantità, ma su un insieme di indizi come il luogo del ritrovamento (una piazza di spaccio) e le modalità di confezionamento (due panetti per oltre 2500 dosi), che escludono l’uso personale.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione della Droga: Non Solo Quantità, Conta il Contesto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12603/2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto penale degli stupefacenti: la distinzione tra uso personale e spaccio. La decisione sottolinea come la corretta valutazione sulla destinazione della droga non possa basarsi unicamente sul dato quantitativo, ma debba scaturire da un’analisi complessiva di tutti gli elementi indiziari. Questo principio è fondamentale per garantire che le condanne per spaccio siano fondate su prove concrete di un’attività di cessione a terzi.

I Fatti del Caso: Sequestro in Piazza di Spaccio

Il caso trae origine da una condanna per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, confermata dalla Corte d’Appello di Napoli. L’imputato era stato trovato in possesso di un quantitativo significativo di droga, suddiviso in due panetti dai quali era possibile ricavare oltre 2500 dosi. Un elemento chiave, valorizzato dai giudici di merito, era il contesto del ritrovamento: l’imputato si trovava in una nota piazza di spaccio.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando tre vizi principali della sentenza d’appello:
1. Mancanza di motivazione: la difesa sosteneva che la Corte d’Appello si fosse limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza un’autonoma valutazione.
2. Errata qualificazione del fatto: si insisteva sulla tesi dell’uso personale della sostanza.
3. Eccessività della pena: si contestava la misura della sanzione applicata.

L’Analisi della Corte: Oltre il Dato Ponderale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le doglianze della difesa e fornendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione probatoria in materia di stupefacenti.

La Valutazione Globale degli Indizi

Il cuore della decisione risiede nel secondo motivo di ricorso. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: il superamento dei limiti tabellari previsti dalla legge non crea una presunzione assoluta di spaccio. Tuttavia, il possesso di un quantitativo di droga superiore a tali limiti può legittimamente concorrere, insieme ad altri elementi, a fondare una condanna per spaccio.

I giudici hanno chiarito che la valutazione sulla destinazione della droga deve essere globale. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente considerato non solo l’ingente quantità, ma anche altri indizi gravi, precisi e concordanti:

* Le modalità di presentazione: il rinvenimento di due panetti di sostanza.
* Il contesto dell’azione: la presenza dell’imputato in una nota piazza di spaccio.

Questi elementi, considerati nel loro insieme, sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare in modo inequivocabile che la sostanza era destinata alla cessione a terzi, escludendo così l’ipotesi dell’uso meramente personale.

La questione della motivazione e la Dosimetria della Pena

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha specificato che la motivazione per relationem (cioè per rinvio ad altri atti) è ammissibile, specialmente quando, come nel caso di specie, non vi sono state contestazioni specifiche sui fatti ricostruiti in primo grado e l’imputato ha scelto un rito che permette l’utilizzo degli atti di indagine. Infine, in merito alla pena, la Corte ha ritenuto la motivazione dei giudici d’appello adeguata, in quanto basata sulla gravità del fatto, sul contesto criminale e sui precedenti specifici dell’imputato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale stabile che mira a un equilibrio tra la repressione del traffico di stupefacenti e la tutela del singolo consumatore. La decisione riafferma che il giudice di merito ha il dovere di effettuare una valutazione complessiva di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto. Il dato quantitativo, pur essendo un indizio importante la cui rilevanza cresce con l’aumentare delle dosi ricavabili, non può essere l’unico elemento. Altri fattori, come le modalità di detenzione, il luogo del controllo e la presenza di strumenti tipici dello spaccio, sono essenziali per determinare la reale finalità della detenzione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei criteri utilizzati dalla giurisprudenza per distinguere l’uso personale dallo spaccio di droga. La sentenza insegna che la prova della destinazione della droga a terzi non può derivare da semplici presunzioni basate sulla quantità, ma deve essere il risultato di un ragionamento probatorio rigoroso che tenga conto di ogni elemento disponibile. Per gli operatori del diritto, ciò significa che sia l’accusa che la difesa devono concentrarsi non solo sul peso della sostanza sequestrata, ma su tutti i dettagli del contesto in cui è avvenuto il fatto, poiché è da questa analisi globale che dipende l’esito del processo.

Quando il possesso di droga è considerato spaccio e non uso personale?
Secondo la Corte, si configura lo spaccio quando, oltre alla quantità, sussistono altri indizi che, valutati complessivamente, attestano la destinazione della sostanza a terzi. Nel caso specifico, sono stati decisivi il luogo del ritrovamento (una piazza di spaccio) e le modalità di conservazione (due panetti per oltre 2500 dosi).

La quantità di droga posseduta è l’unico elemento per decidere se si tratta di spaccio?
No. La Corte ha ribadito che il solo dato ponderale, anche se superiore ai limiti di legge, non determina una presunzione assoluta di spaccio. È un indizio importante, ma deve essere valutato insieme a tutte le altre circostanze oggettive e soggettive del fatto.

Una sentenza può motivare la sua decisione semplicemente richiamando altri atti del processo?
Sì, la motivazione ‘per relationem’ è considerata valida quando gli atti richiamati hanno un contenuto descrittivo e non contestato, e quando, come nel caso in esame, il rito processuale scelto (ad esempio, un rito abbreviato) consente la valutazione degli atti di indagine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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