Destinazione allo Spaccio: Quando gli Indizi Rendono Inutile il Ricorso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18774/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale nel diritto penale degli stupefacenti: la prova della destinazione allo spaccio. Il caso in esame offre uno spaccato chiaro di come una serie di indizi gravi, precisi e concordanti possa blindare una condanna, rendendo il ricorso per cassazione un tentativo infruttuoso di rivalutare i fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità.
I Fatti del Caso: Detenzione di Stupefacenti e Condanna
Un giovane veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di detenzione a fini di spaccio di 9,31 grammi di cocaina. La sostanza era stata rinvenuta in parte sulla sua persona e in parte nella sua abitazione. A fondamento della condanna, i giudici di merito non si erano basati solo sul quantitativo, ma su un quadro probatorio complesso e articolato.
L’imputato, non rassegnandosi alla decisione della Corte d’Appello, proponeva ricorso per Cassazione, criticando specificamente l’affermazione secondo cui la droga fosse destinata alla vendita e non all’uso personale. Il suo ricorso mirava a offrire una lettura alternativa delle prove raccolte.
La Decisione della Cassazione e la prova della destinazione allo spaccio
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo manifestamente infondato. La decisione si articola su due pilastri fondamentali: i limiti del giudizio di legittimità e la logicità della motivazione della corte d’appello.
L’Inammissibilità del Ricorso per Manifesta Infondatezza
I giudici hanno ribadito un principio cardine del processo penale: la Corte di Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso dell’imputato, invece, si traduceva in una richiesta di “rivisitazione delle risultanze istruttorie”, ossia un tentativo di far rivalutare le prove in modo diverso da quanto fatto dai giudici di merito. Tale richiesta è, per sua natura, inammissibile.
Gli Elementi di Prova a Sostegno dell’Accusa sulla destinazione allo spaccio
La Corte ha evidenziato come la decisione dei giudici d’appello fosse tutt’altro che illogica. La destinazione allo spaccio era stata affermata sulla base di una pluralità di elementi convergenti:
* Dichiarazioni di un acquirente: Un testimone aveva confermato di aver acquistato cocaina dall’imputato.
* Rinvenimento di materiale specifico: Nell’abitazione del ricorrente erano stati trovati un bilancino di precisione con tracce di cocaina e ritagli di cellophane identici a quelli usati per confezionare la dose sequestrata.
* Ingente somma di denaro: La presenza di 1.400 euro in contanti, ritenuta sproporzionata e non giustificata, è stata considerata un provento dell’attività illecita.
* Appunti e contabilità: Erano stati sequestrati foglietti manoscritti con annotazioni esplicitamente riconducibili all’attività di spaccio (nomi, cifre, conteggi).
Le Motivazioni della Corte
La motivazione della Corte di Cassazione si fonda sulla coerenza e sulla completezza del ragionamento dei giudici di merito. Essi non si sono limitati a un singolo elemento, ma hanno costruito l’accusa su un mosaico di prove che, lette congiuntamente, non lasciavano spazio a interpretazioni alternative plausibili. Ogni singolo tassello — dal bilancino ai soldi, dalle dichiarazioni agli appunti — contribuiva a formare un quadro logico e coerente dell’attività di spaccio. Il ricorso, al contrario, è stato giudicato generico perché non ha saputo scalfire la solidità di questo impianto probatorio, limitandosi a una critica superficiale non consentita in sede di legittimità.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito: per contestare efficacemente una condanna per destinazione allo spaccio, non è sufficiente proporre una generica lettura alternativa delle prove. È necessario individuare vizi logici manifesti o errori di diritto nella sentenza impugnata. In assenza di tali vizi, la valutazione dei fatti operata dai giudici di merito, se fondata su un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti come quelli descritti, diventa insindacabile in Cassazione. La conseguenza, come in questo caso, è la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quali elementi possono provare la destinazione allo spaccio di sostanze stupefacenti?
Secondo questa ordinanza, la prova può derivare da un insieme di indizi, tra cui: il rinvenimento di un bilancino di precisione con tracce di droga, la presenza di materiale per il confezionamento delle dosi, il possesso di una somma di denaro contante non giustificata e la scoperta di appunti manoscritti riconducibili a un’attività di contabilità dello spaccio.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione delle prove o fornire una lettura alternativa dei fatti. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e l’assenza di vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che mira a una ‘rivisitazione delle risultanze istruttorie’ è considerato inammissibile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, l’imputato viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18774 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18774 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ANCONA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’unico motivo al quale è stato affidato il ricorso presentato d NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 16/6/2023 della Corte d’appello di Ame-cm , 0-, con la quale è stata confermata la sua responsabilità per il delitto di cui all 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per avere detenuto a fine di spaccio 9,31 grammi di cocaina), mediante il quale, tra l’altro riproducendo i motivi d’appello, è st criticata l’affermazione della destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta indosso al ricorrente e nella sua abitazione, è manifestamente infondato, essendo volto a conseguire una non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie allo scopo di ottenerne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici merito, che, in modo concorde e non certamente manifestamente illogico, hanno affermato la destinazione allo spaccio di detta sostanza sottolineando: quanto dichiarato a proposito degli acquisiti di cocaina dall’imputato da parte di NOME COGNOME (che, però non è stato l’unico aspetto considerato, come sostenuto nel ricorso); il rinvenimento della sostanza stupefacente sia sulla persona dell’imputato sia nella sua abitazione; la presenza in questa di un bilancino di precisione con evidenti tracce di cocaina, di ritagli cellophane di forma circolare identici a quelli nei quali era stato avvolto lo stupefacen della somma di 1.400,00 euro in contanti, di foglietti manoscritti con annotazion esplicitamente riconducibili alla attività di spaccio. Si tratta di motivazione idon giustificare l’affermazione della destinazione allo spaccio della sostanza detenuta dal ricorrente, fondata su un logico apprezzamento delle emergenze istruttorie, che il ricorrente ha censurato in modo generico e sul piano della valutazione e della lettura delle prove, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità.
Rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente