Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22441 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOMEnato a ROMA il 10/05/1978
NOME nato a ROMA il 13/05/1980
avverso la sentenza del 30/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e dichiararsi l’inamnnissibilità del ricorso nel resto
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma di condanna, ex art. 442 cod. proc. pen., di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Roma il 16 marzo 2024, alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 4.000 di multa ciascuno.
Nelle sentenze di merito conformi i fatti sono stati descritti nel modo seguente. Nel corso di un servizio di osservazione, in data 15 marzo 2024, i Carabinieri avevano osservato l’autovettura Fiat 500 con a bordo i su indicati imputati procedere a velocità elevata, per poi fermarsi in un parcheggio all’altezza di INDIRIZZO qui COGNOME, seduto sul sedile lato passeggero, era stato visto gettare dal finestrino un sacchetto di cellophane e, subito dopo, consegnare un altro sacchetto contenente alcuni involucri a COGNOME, il quale aveva cercato di occultarlo all’interno del bocchettone dell’aria. In esito alla perquisizione, erano stati rinvenuti, dentro tale bocchettone, un borsellino contenente n. 29 involucri di sostanza stupefacente del tipo cocaina e crack e, addosso a COGNOME, un altro involucro contenente sostanza stupefacente del tipo cocaina. La consulenza tecnica aveva consentito di accertare che dal quantitativo complessivo di sostanza rinvenuto era possibile ricavare n.69 dosi singole.
Avverso la sentenza di appello, hanno proposto ricorso gli imputati, .con atto unico, a mezzo difensore, formulando cinque motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, hanno dedotto il vizio di motivazione in relazione alla affermazione della penale responsabilità. Secondo il difensore, dopo che con l’atto di appello era stata contestata la finalità della cessione a terzi dell detenzione, la Corte di appello nulla aveva replicato al riguardo e non si era soffermata sulle circostanze evidenziate, quali il mancato rinvenimento di denaro o altro materiale per il confezionamento, la mancata osservazione di attività di vendita della sostanza stupefacente, l’omessa indagine sulla qualità degli imputati di assuntori della sostanza e sulle loro condizioni economiche.
2.2. Con il secondo motivo, hanno dedotto la violazione di legge ed in specie dell’art. 131 bis cod. pen. per omessa valutazione dei requisiti soggettivi degli imputati. Nei confronti di COGNOME sussisteva un solo precedente specifico molto risalente nel tempo e altro più recente precedente per delitti contro il patrimonio, mentre nei confronti di COGNOME sussistevano due precedenti della stessa indole, risalenti nel tempo, sicché avrebbe dovuto, nel caso di specie, trovare applicazione la causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo, ha4edotto il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte di appello aveva confermato la pena di anni 3 di reclusione, ridotta ad anni 2 per il rito, di gran lunga superiore al minimo edittale e aveva parificato il trattamento sanzionatorio dei due imputati, nonostante la loro differente biografia criminale.
2.4. Con il quarto motivo, hàjdedotto il vizio di motivazione in relazione alla statuizione relativa alle circostanze attenuanti generiche. Contrariamente a quanto osservato dalla Corte, le attenuanti generiche erano state riconosciute dal Tribunale nei confronti di entrambi gli imputati con giudizio di equivalenza sulla recidiva; la Corte aveva, inoltre, fatto riferimento ai precedenti penali di COGNOME che, tuttavia, non aveva riportato condanne inerenti gli stupefacenti.
2.5. Con il quinto motivo, hdedotto la violazione di legge e in specie degli artt. 133 e 175 cod. pen.. La Corte nel negare il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario spedito a richiesta dei privati, aveva fatto riferimento ad elementi diversi da quelli indicati nell’art. 133 cod. pen.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio e dichiararsi l’inammissibilità del ricorso nel resto.
In data 2 maggio 2025 il difensore degli imputati ha presentato conclusioni con cui ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere, nel complesso, rigettati.
Il primo motivo, volto a censurare l’affermazione della responsabilità sotto il profilo dell’asserito consumo personale, è manifestamente infondato.
La destinazione all’ uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e grava perciò sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (ex plurimis Sez. 6 n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614). Peraltro è orientamento consolidato quello per cui in materia di stupefacenti, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma primo-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 de 1990′, come modificato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero a introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza a un uso
non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, COGNOME, Rv. 242923).
Nel caso in esame, il tema della destinazione a terzi della sostanza è stato adeguatamente affrontato nelle sentenze di merito che, in quanto conformi, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale. Il Tribunale, in proposito, aveva rilevato: che il quantitativo di sostanza stupefacente detenuta (pari a n.69 dosi) era incompatibile con il consumo personale, peraltro negato da COGNOME in sede di interrogatorio; che la droga, di differente qualità, era suddivisa in singole confezioni pronte per lo smercio; che COGNOME ne aveva ammesso la destinazione a terzi. La Corte di appello ha confermato tale ricostruzione, rilevando che le risultanze su indicate e la stessa confessione di COGNOME rendevano evidente la codetenzione illecita della sostanza stupefacente.
A fronte di tale percorso argomentativo, coerente con i dati riportati e non illogico nelle inferenze tratte da tali -dati, i ricorrenti lamentano una carenza di motivazione, in realtà insussistente. I ricorrenti sembrano contestare la lettura del dato probatorio da parte delle sentenze impugnate, non considerando che il sindacato demandato alla Corte di Cassazione, per espressa volontà del legislatore, è circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944).
Il secondo motivo, con cui si censura la mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., è manifestamente infondato.
3.1. In merito al riconoscimento (o diniego) della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. (a seguito della entrata in vigore del d.lgs 10 ottobre 2022 n.150, a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 6 dl. 31 ottobre 2022 n. 162, anche della condotta
susseguente al reato), ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 n. 55107 del 8/11/2018, COGNOME, Rv. 274647; sez. 3 n. 34151 del 18/6/2018, Foglietta e altro, Rv. 273678). Peraltro, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice qualora la struttura argonnentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez, 3, n. 43604 del 08/09/2021, COGNOME, Rv. 282097-01), sicché la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (ex plurimis, Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, D., Rv. 275635; Sez. 4 n. 27595 del 11/05/2022, Onnogiate Rv. 283420)
Trattandosi di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
3.2. La Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione dei principi su indicati e ha reputato circostanze decisive e assorbenti, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, il quantitativo rilevante di sostanza detenuta, nonché le modalità di occultamento e trasporto, indicative di una qualche forma di organizzazione e, in tal modo, ha adottato una motivazione che, in quanto logica e coerente rispetto ai dati riportati, non si presta a censure.
Di contro i ricorrenti, fondando la doglianza sul mancato riconoscimento dei “requisiti soggettivi”, hanno, nella sostanza, invocato la insussistenza della condizione ostativa della abitualità, di cui all’ art. 131 bis, comma 4, cod. pen. (secondo cui il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore di reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate), ma non si sono confrontati con la valutazione del grado di offensività della condotta, autonoma e di per sé dirimente.
Il terzo motivo, incentrato sul trattamento sanzionatorio, è infondato.
La Corte di appello ha confermato nei confronti di entrambi gli imputati la pena irrogata in primo grado, pari ad anni 2 di reclusione e euro 4000 di multa, calcolata nel modo seguente: riconosciute le circostanze attenuanti generiche
equivalenti alla contestata recidiva, pena base anni 3 di reclusione e euro 6000 di multa, ridotta per il rito ad anni 2 di reclusione e euro 4000 di multa di reclusione.
In merito all’onere di motivazione nella determinazione della pena, si ricorda che secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197). A questo proposito la giurisprudenza ha anche specificato che la pena media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
Nel caso in esame, la pena è stata determinata in misura superiore alla media, ma la Corte ha assolto all’onere di motivazione, spiegando che detta pena era proporzionata alla gravità del reato, desunta dal significativo quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina detenuto, e alla capacità a delinquere degli imputati, desunta dalle precedenti condanne a loro carico. In tale percorso argomentativo, in cui sono valorizzati in maniera argomentata gli indici indicati nell’art. 133 cod. pen., l’inciso per cui la pena era stata determinata “in misura prossima al minimo” deve ritenersi un mero refuso, che non inficia la logicità complessiva della motivazione.
Generica, infine, è la doglianza con cui i ricorrenti lamentano la parificazione del loro trattamento sanzionatorio. Il motivo, peraltro invocato da entrambi i ricorrenti, non chiarisce quali circostanze avrebbero dovuto indurre il giudice a differenziare il trattamento sanzionatorio, né in quale senso avrebbe dovuto essere operata la differenziazione.
Il quarto motivo, incentrato sul giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuati generiche in termini di equivalenza rispetto alla recidiva, è manifestamente infondato. Contrariamente a quanto indicato dai ricorrenti, la Corte di appello ha dato conto delle ragioni del suo giudizio, sottolineando la spiccata capacità a delinquere degli imputati e la gravità della condotta nelle modalità concrete.
Richiamati i principi già indicati nella trattazione del terzo motivo di ricorso, si deve concludere, nel caso di specie, per la insussistenza del lamentato vizio di
motivazione
6. Il quinto motivo, incentrato sulla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, è manifestamente infondato. Ai sensi dell’art. 175
cod. pen. se con una prima condanna è inflitta una pena detentiva non superiore
54G
stliciori a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a
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te, il giudice,
avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale
spedito a richiesta di privati. La Corte costituzionale con sentenza del 7 giugno
1984 n. 155 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui esclude che possano concedersi ulteriori “non menzione”, nel caso di
condanne per reati anteriormente commessi a pene che, cumulate con quelle già
irrogate, non superino i limiti di applicabilità del beneficio.
La Corte, in coerenza con il dato normativo, ha rilevato che gli imputati erano recidivi reiterati: ne consegue che quella sub iudice non era la prima condanna e, comunque, cumulata con le precedenti superava il limite di applicabilità di anni 2.
Il motivo di ricorso non si confronta con tale dato oggettivo ed invoca la mancata valutazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen.: tali parametri, nel caso di specie, stante la mancanza delle condizioni oggettive di applicabilità, non avrebbero potuto essere presi in considerazione.
Al rigetto dei ricorsi, segue, ex art. 616 cod. proc. pen. , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 15 maggio 2025
Il Consiglier COGNOME nsore
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