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Destinazione allo spaccio: prova e condanna

La Corte di Cassazione conferma la condanna per due individui per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. La sentenza chiarisce che la destinazione allo spaccio può essere provata da indici oggettivi come il quantitativo elevato (69 dosi), il confezionamento in singole dosi e le modalità di occultamento, rendendo irrilevante la tesi dell’uso personale. La Corte ha inoltre rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la gravità oggettiva della condotta.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione allo spaccio: come si prova secondo la Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di stupefacenti: la distinzione tra detenzione per uso personale e la destinazione allo spaccio. Il caso riguarda due individui condannati in primo e secondo grado per detenzione di cocaina e crack. La difesa ha tentato di smontare l’accusa sostenendo l’assenza di prove dirette di vendita, ma la Suprema Corte ha ribadito la validità degli indici oggettivi per dimostrare l’intento criminale, confermando la condanna.

I fatti di causa

Durante un servizio di osservazione, i Carabinieri notavano un’autovettura con a bordo due soggetti procedere a velocità elevata per poi fermarsi in un parcheggio. Uno degli occupanti, seduto sul lato passeggero, veniva visto gettare dal finestrino un sacchetto e, subito dopo, consegnare un altro involucro al conducente, che tentava di nasconderlo nel bocchettone dell’aria del veicolo.

La successiva perquisizione portava al rinvenimento, all’interno del bocchettone, di un borsellino con 29 involucri di cocaina e crack. Addosso al passeggero veniva trovato un ulteriore involucro di cocaina. Le analisi tecniche accertavano che dal quantitativo totale era possibile ricavare 69 dosi singole. Sulla base di questi elementi, il Tribunale e la Corte d’Appello avevano condannato entrambi gli imputati a 2 anni di reclusione e 4.000 euro di multa ciascuno.

I motivi del ricorso: tra uso personale e tenuità del fatto

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su cinque motivi principali:
1. Vizio di motivazione sulla responsabilità penale: Si contestava che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato l’ipotesi dell’uso personale, data l’assenza di denaro, materiale per il confezionamento o osservazione di attività di vendita.
2. Violazione dell’art. 131 bis c.p.: Si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sostenendo che i precedenti penali degli imputati non fossero ostativi.
3. Vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio: La pena inflitta, superiore al minimo edittale, era stata ritenuta eccessiva e ingiustamente parificata per entrambi gli imputati, nonostante le diverse biografie criminali.
4. Errato bilanciamento delle attenuanti generiche: Si lamentava che la Corte d’Appello avesse erroneamente bilanciato le attenuanti con la recidiva.
5. Violazione di legge: Si contestava il diniego del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

Le motivazioni della Corte sulla destinazione allo spaccio

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, ritenendoli infondati. Sul punto cruciale della destinazione allo spaccio, i giudici hanno chiarito che l’onere di provare tale finalità grava sulla pubblica accusa. Tuttavia, questa prova può essere raggiunta attraverso una valutazione complessiva di elementi oggettivi.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto pienamente provata l’intenzione di vendere la sostanza sulla base dei seguenti indici:
* Quantitativo ingente: 69 dosi sono state considerate incompatibili con un consumo meramente personale.
* Confezionamento: La droga era già suddivisa in singole confezioni, pronte per lo smercio.
* Varietà della sostanza: La presenza sia di cocaina che di crack.
* Ammissione: Uno degli imputati aveva ammesso in sede di interrogatorio la destinazione a terzi della sostanza.

La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di una “rilettura” dei fatti, ma di un controllo sulla logicità della motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, il percorso argomentativo dei giudici di merito è stato ritenuto coerente e privo di vizi.

Le motivazioni su tenuità del fatto e pena

Anche la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p. è stata respinta. La Cassazione ha sottolineato che, per escludere la particolare tenuità del fatto, è sufficiente la gravità oggettiva della condotta. Il rilevante quantitativo di droga e le modalità di occultamento e trasporto sono stati considerati elementi decisivi e assorbenti, tali da rendere l’offesa non tenue, a prescindere dall’analisi dei precedenti penali degli imputati.

Infine, riguardo al trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto la pena proporzionata alla gravità del reato e alla capacità a delinquere desunta dai precedenti. La lamentela sulla parificazione della pena è stata giudicata generica, in quanto la difesa non aveva specificato quali circostanze avrebbero dovuto portare a una differenziazione.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: per provare la destinazione allo spaccio di sostanze stupefacenti non è necessaria la prova diretta della cessione. Un insieme di indici oggettivi, gravi, precisi e concordanti – come il quantitativo, il tipo di confezionamento e le modalità di detenzione – è sufficiente a fondare una sentenza di condanna. La valutazione di questi elementi è riservata al giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente.

Quando la detenzione di stupefacenti è considerata destinazione allo spaccio e non uso personale?
La detenzione è considerata finalizzata allo spaccio quando sono presenti indici oggettivi quali un quantitativo di sostanza incompatibile con il consumo personale (nel caso di specie, 69 dosi), la suddivisione in singole confezioni pronte per la vendita e le modalità di occultamento, che nel loro insieme rendono evidente l’intento di cedere la droga a terzi.

È possibile ottenere l’assoluzione per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) in un caso di spaccio?
È molto difficile. La Corte ha stabilito che se l’offensività del fatto è di per sé elevata, a causa del notevole quantitativo di droga e delle modalità organizzate dell’azione, la causa di non punibilità può essere esclusa senza nemmeno dover valutare i precedenti penali dell’imputato.

Il giudice deve applicare la stessa pena a due persone condannate per lo stesso reato (concorrenti)?
Non necessariamente, ma può farlo se lo ritiene giustificato. In questo caso, la Corte ha confermato la pena identica per entrambi gli imputati, motivandola in base alla gravità del reato e alla capacità a delinquere di entrambi. Un ricorso che lamenta la parificazione della pena senza spiegare perché dovrebbe essere diversa è considerato generico e viene respinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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