Destinazione allo Spaccio: gli Indizi Oggettivi che Contano per la Cassazione
Quando la detenzione di sostanze stupefacenti supera i confini dell’uso personale e sconfina nel reato di spaccio? La questione è centrale in molti processi penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per tornare su questo tema, chiarendo quali elementi oggettivi possono provare la destinazione allo spaccio e quali sono i limiti di un ricorso presentato dinanzi alla Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato riguarda un soggetto che ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato. L’imputato contestava la decisione, sostenendo che la sostanza stupefacente trovata in suo possesso fosse per uso personale e non per la vendita. Chiedeva, inoltre, il riconoscimento delle attenuanti generiche, negatogli nei precedenti gradi di giudizio.
La Decisione della Corte e la Prova della Destinazione allo Spaccio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. Secondo la Suprema Corte, i motivi presentati dall’imputato non introducevano nuove questioni di diritto, ma si limitavano a sollecitare una rivalutazione delle prove, un’attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Cassazione, infatti, non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge.
Le Motivazioni
La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente motivato la loro decisione, basandosi su elementi oggettivi e univoci che indicavano chiaramente la destinazione allo spaccio della droga. In particolare, sono stati considerati decisivi:
* Il quantitativo della sostanza: era tale da poterne ricavare un numero significativo di dosi.
* Il possesso di strumenti specifici: l’imputato aveva con sé un bilancino di precisione, strumento tipicamente utilizzato per la preparazione e la vendita delle dosi.
* Il comportamento dell’imputato: al momento del controllo, l’individuo ha avuto una reazione violenta, con minacce e aggressione fisica, interpretata come un tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità.
Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno superato la tesi dell’uso personale. La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. Pen., n. 36755/2004), secondo cui la finalità di spaccio può essere dimostrata attraverso “elementi oggettivi univoci e significativi”.
Inoltre, la Corte ha respinto la doglianza sulla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sia perché la questione non era stata sollevata in appello, sia perché la condotta, connotata da una notevole offensività (soprattutto la resistenza violenta), non poteva essere considerata di lieve entità. Allo stesso modo, è stata confermata la negazione delle attenuanti generiche, data l’assenza di elementi positivi da valorizzare.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per distinguere tra uso personale e destinazione allo spaccio, non basta la parola dell’imputato, ma contano i fatti e gli elementi oggettivi. La presenza di un quantitativo rilevante, di strumenti per il confezionamento e un comportamento ostile durante un controllo sono indizi gravi, precisi e concordanti che possono fondare una condanna per spaccio. Infine, il provvedimento ricorda che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere le prove, ma un rigoroso controllo sulla corretta applicazione delle norme giuridiche.
Quali elementi oggettivi possono dimostrare la destinazione allo spaccio di sostanze stupefacenti?
Secondo la Corte, elementi come il numero di dosi ricavabili dal quantitativo di sostanza, il possesso di strumenti come un bilancino di precisione e la modalità di detenzione della droga sono indizi oggettivi, univoci e significativi che possono provare la destinazione allo spaccio.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti non sollevavano questioni sulla corretta applicazione della legge, ma si limitavano a chiedere una nuova valutazione delle prove già esaminate e correttamente motivate dai giudici di merito, attività che non rientra nei poteri della Corte di Cassazione.
È possibile chiedere l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte ha specificato che la censura sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. non era stata sollevata nel precedente grado di appello. In ogni caso, ha ritenuto che i fatti, caratterizzati da rilevante offensività (in particolare la condotta di resistenza con minacce e aggressione fisica), non avrebbero comunque permesso l’applicazione di tale norma.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14230 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14230 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VERCELLI il 31/12/1992
avverso la sentenza del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi, proposti in ordine alla mancata assoluzione per uso personale della sostanza stupefacente ai sensi dell’art. 75 d.P.R. n. 309/90 e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, sono tesi a sollecitare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità, e sono meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Giudice di merito (si vedano le pagine 2 e 3 della sentenza impugnata, ove si è evidenziato che deponevano nel senso della destinazione allo spaccio della sostanza: il numero di dosi ricavabili dal quantitativo di sostanza rinvenuta in possesso dell’imputato; la disponibilità di un bilancino di precisione; la violenta reazione dell’imputato al momento del controllo; si veda anche pagina 3 in cui si è rimarcato che difettavano elementi positivamente valorizzabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche);
rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 36755 del 4/06/2004, COGNOME, Rv. 229686 – 01, secondo cui la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga);
considerato che la censura sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. non è stata dedotta in appello e, ad ogni modo, dalla lettura della sentenza impugnata emerge che i fatti erano connotati da rilevante concreta offensività, specie la condotta di resistenza, posta in essere con gravi minacce e aggressione fisica;
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 3/3/2025