Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 518 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 22/11/2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Composta da
– Presidente –
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il 20/05/1965
avverso la sentenza del 06/11/2023 della Corte d’appello di Catanzaro
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 06/11/2023 la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15/10/2019, che aveva condannato NOME COGNOME in ordine al delitto di cui all’articolo 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, alla pena di anni 1, mesi 4 di reclusione ed euro 4.000 di multa, riconosciuta la fattispecie di cui al comma 5, applicava allo stesso la pena di mesi 6 di reclusione ed euro 800,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando con un primo motivo violazione dell’articolo 73 d.P.R. 309/1990, violazione di norme processuali e vizio di motivazione, con riferimento al principio dell”al di là di ogni ragionevole dubbio’, in riferimento alla prova della destinazione allo spaccio della sostanza, in assenza di elementi che comprovassero tale destinazione (ad eccezione di un bilancino di precisione, che in realtà Ł una semplice bilancina da cucina).
Una seconda censura riguarda il giudizio di mancata prevalenza delle attenuanti generiche con la recidiva specifica infraquinquennale.
Il ricorso Ł inammissibile.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Esso, infatti costituisce pedissequa reiterazione di censure già dedotte nel giudizio di prima cura e poi con l’atto di appello, motivatamente disattese dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
Quanto alla prima doglianza, a pagina 1, la Corte territoriale precisa che la marijuana sequestrata (gr. 71, da cui potevano ricavarsi oltre 287 dosi singole) era suddivisa in due involucri, uno dei quali consegnato spontaneamente dall’imputato, mentre il secondo involucro veniva rinvenuto dagli operanti (che sequestravano anche un bilancino digitale), all’interno del garage.
La Corte territoriale, riconosciuta la fattispecie tenue del comma 5 della norma in questione, ha ritenuto che il contegno dell’imputato, il quantitativo di stupefacente, la suddivisione in due involucri, le modalità di occultamento di uno dei due e il sequestro del bilancino costituiscano elementi in grado di inferire la destinazione allo spaccio della droga.
In tutta evidenza nel caso in esame non sussiste un caso di ‘manifesta’ illogicità della motivazione, avendo la Corte territoriale argomentato – con percorso logico – sulle ragioni da cui ha inferito la destinazione allo spaccio dello stupefacente.
Come noto, infatti, la natura «manifesta» della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto (v., ex multis , Sez. 3, n. 35121 del 2024 30/05/2024, Fonga). In altre parole, la motivazione del provvedimento deve risultare sostanzialmente «priva di logica»: non può infatti opporsi alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, rimanendo irrilevante la diversa lettura o interpretazione degli atti di causa (Sez. 3, n. 26527 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286792 – 03; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Rv.250362 – 01; Sez. 1, n. 7252 del 17/03/1999, COGNOME, Rv. 213705 – 0).
Pertanto, sono inammissibili tutte le doglianze che «attaccano» la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501).
Il primo motivo di ricorso Ł pertanto generico e inammissibile.
Il secondo motivo Ł inammissibile, avendo la Corte di appello motivato in modo non illogico sulla impossibilità di riconoscere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza in ragione dei precedenti specifici concernenti gli stupefacenti.
Il Collegio ribadisce il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il giudizio di comparazione tra opposte circostanze e la stessa dosimetria della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggano al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette, come nel presente caso, da sufficiente motivazione (Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 del 18/6/2017; COGNOME, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, COGNOME Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, COGNOME, Rv. 229298; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014,
COGNOME, Rv. 259142, così massimata: “La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che Ł inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione”; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02: “Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente”).
Inoltre, si ritiene (Sez. 4, n. 46217 del 05/11/2019, Fonseca, n.m.; Sez. 1, n. 44528 del 25/09/2018, dep. 2019, Abulaiha, Rv. 277148 – 03; Sez. 3, n. 44883 del 18/07/2014, COGNOME, 260627 – 01; Sez. 3, n. 4956 del 17/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 216587 – 01) che «le attenuanti generiche previste dall’art. 62bis cod. pen. sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigidità dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e tale funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorchØ questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perchØ il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego della prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può, quindi, dar luogo nØ a violazione di legge, nØ al corrispondente difetto di motivazione.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 22/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME