Destinazione allo Spaccio: La Cassazione e il Valore del Dato Ponderale
La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. La qualificazione del fatto ha conseguenze radicalmente diverse, passando da un illecito amministrativo a un grave reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna sull’argomento, chiarendo quali elementi possono legittimamente fondare la prova della destinazione allo spaccio e quali sono i limiti del ricorso in sede di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato riguarda un individuo condannato sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, nella sua forma lieve (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito. In particolare, il ricorrente lamentava che il fatto avrebbe dovuto essere riqualificato come detenzione per uso personale (art. 75 d.P.R. 309/1990) e criticava la pena inflitta.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte
Il ricorso si fondava su due motivi principali:
1. Errata qualificazione del fatto: Si contestava l’affermazione di responsabilità e si chiedeva una diversa lettura delle prove, volta a dimostrare che la sostanza fosse per consumo personale.
2. Vizio di motivazione sulla pena: Si criticava il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile.
L’analisi sulla destinazione allo spaccio
In merito al primo motivo, la Corte ha sottolineato un principio cardine del giudizio di legittimità: non è consentito riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, né chiedere alla Cassazione una nuova e alternativa valutazione delle prove. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti.
Sul punto cruciale della destinazione allo spaccio, l’ordinanza ha ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato. Sebbene il solo dato ponderale (cioè la quantità di sostanza) e l’eventuale superamento dei limiti tabellari previsti dalla legge non siano, da soli, una prova definitiva dello spaccio, essi possono legittimamente contribuire a formare il convincimento del giudice. Questi elementi, uniti ad altri indizi (come le modalità di conservazione della sostanza, il ritrovamento di strumenti per il confezionamento, etc.), possono fondare in modo logico e coerente la conclusione che la droga non era destinata al solo uso personale.
La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ricordato che la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale decisione non può essere censurata in Cassazione se è supportata da una motivazione sufficiente, logica e che abbia preso in considerazione le argomentazioni della difesa. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano adeguatamente giustificato la loro scelta sanzionatoria, rendendo la critica infondata.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri fondamentali del nostro ordinamento processuale. Il primo riguarda i limiti del giudizio di Cassazione, che non è un terzo grado di merito ma un giudizio sulla legittimità delle decisioni precedenti. Tentare di ottenere una ‘rilettura’ delle prove è un’operazione non permessa in questa sede. Il secondo pilastro è la valorizzazione del quadro indiziario complessivo nella valutazione della finalità della detenzione di stupefacenti. La Corte non sminuisce il dato quantitativo, ma lo inserisce in un contesto più ampio, affermando che, insieme ad altri elementi, esso può legittimamente fondare un giudizio di colpevolezza per spaccio.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma che la prova della destinazione allo spaccio non si basa su un singolo elemento, ma su una valutazione complessiva di tutti gli indizi a disposizione. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente contestare genericamente la quantità di sostanza sequestrata, ma è necessario smontare l’intero quadro probatorio costruito dall’accusa. Per i giudici di merito, resta fermo l’obbligo di motivare in modo logico e completo perché gli elementi raccolti, incluso il dato ponderale, conducano a escludere l’uso personale e a configurare il reato di spaccio.
La sola quantità di droga è sufficiente per una condanna per spaccio?
No, secondo la Corte di Cassazione, il solo dato ponderale dello stupefacente, anche se superiore ai limiti di legge, non costituisce da solo prova decisiva della destinazione allo spaccio. Tuttavia, è un elemento importante che, unito ad altri indizi, può legittimamente fondare tale conclusione.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove per dimostrare che la droga era per uso personale?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di legge e la logicità della motivazione, non riesaminare i fatti o fornire una diversa interpretazione delle prove.
La decisione del giudice sulla quantità della pena può essere contestata in Cassazione?
Sì, ma solo a condizioni precise. La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. Può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione a supporto della scelta è mancante, palesemente illogica o insufficiente, e non semplicemente perché l’imputato la ritiene troppo severa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26225 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LEVOCA( REP. SLOVACCA) il 17/09/1994
avverso la sentenza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe con la quale la Cor di appello di Bari ha confermato la pronuncia resa il 18 aprile 2023 del Tribuna di Trani con cui, all’esito di giudizio abbreviato, è stato condannato per il re cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ritenuto che il primo motivo sollevato (Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione del giudizio di responsabilità dell’imputato e mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 75 d.P.R. 309/1990), n consentito in sede di legittimità, perché meramente riproduttivo di profili di sura già adeguatamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territor (pp. 1 e 2 sent. app.), nonché volto a prefigurare, in modo anche generico, u rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al si di legittimità e avulse da specifici travisamenti di emergenze processuali (così ex multis: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01);
Rilevato che le conclusioni cui è giunta la sentenza ricorsa si pongono nell’alveo del consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo quale il dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale superament del limite tabellare previsto dall’art. 73, comma primo bis, lett. a), d.P.R. del 1990 se da soli non costituiscono prova decisiva dell’effettiva destinazione d sostanza allo spaccio, possono comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (così Sez. 6, n. 11025 del 6/3/20 COGNOME ed altro, Rv. 255726; Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, COGNOME, Rv 254695);
Ritenuto che il secondo motivo (violazione di legge e vizio di motivazione in punto di pena) attiene al trattamento sanzionatorio, la cui determinazion naturalmente rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, sicché risult censurabile qualora, come nel caso di specie, sia sorretto da sufficiente e illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive (sull’onere mo tivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena, Sez. 3, n. 29 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con l
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle am
mende.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2025
GLYPH
Il Consigliere estensore
É
Il P
sidente