Detenzione di droga: quando è uso personale e quando scatta la destinazione allo spaccio?
La distinzione tra uso personale e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti è una delle questioni più delicate e complesse del diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri oggettivi che i giudici utilizzano per determinare la reale destinazione allo spaccio della droga rinvenuta. Comprendere questi elementi è fondamentale per capire come viene valutata la posizione di un imputato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo contro la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per detenzione di stupefacenti. La difesa sosteneva che la sostanza fosse destinata esclusivamente all’uso personale, invocando l’applicazione dell’articolo 75 del Testo Unico sugli stupefacenti (d.P.R. 309/90), che prevede sanzioni amministrative e non penali. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, i giudici avevano respinto questa tesi, ritenendo che le prove raccolte dimostrassero inequivocabilmente l’intento di cedere la droga a terzi.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si concentra sulla correttezza procedurale e legale del ricorso stesso. I giudici supremi hanno stabilito che i motivi presentati dalla difesa non erano altro che una richiesta di ‘rivalutazione delle fonti probatorie’, ovvero un tentativo di far riesaminare i fatti e le prove già attentamente vagliati dalla Corte d’Appello. Tale attività è preclusa in sede di legittimità, dove la Cassazione ha il solo compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Le Motivazioni: Gli Indizi Oggettivi della destinazione allo spaccio
Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi degli elementi che, secondo la Corte, dimostrano in modo inequivocabile la destinazione allo spaccio. Questi indizi, considerati nel loro complesso, hanno creato un quadro probatorio solido che andava ben oltre la semplice detenzione per uso personale. Gli elementi chiave evidenziati sono stati:
* Frazionamento della sostanza: Parte della droga era già stata suddivisa in singole dosi, pronte per la vendita.
* Tipologia eterogenea: Il possesso di diversi tipi di sostanze stupefacenti è stato interpretato come un modo per soddisfare una clientela più ampia.
* Modalità di detenzione: La droga già confezionata in tre involucri era stata trovata fuori dall’abitazione dell’imputato, suggerendo un’attività di spaccio imminente.
* Denaro contante: Il ritrovamento di una notevole somma di denaro in banconote di piccolo e medio taglio è un classico indicatore di proventi da attività di spaccio.
* Strumenti per il confezionamento: La presenza in casa di strumenti idonei a pesare e confezionare le dosi (come bilancini di precisione e materiale da imballaggio) ha ulteriormente rafforzato l’ipotesi accusatoria.
La Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (sentenza n. 36755/2004), secondo cui l’intento di spaccio può essere dimostrato attraverso ‘elementi oggettivi univoci e significativi’.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza conferma un principio consolidato: per distinguere tra uso personale e spaccio, i giudici non si basano solo sulla quantità di droga detenuta, ma su un insieme di circostanze fattuali che, lette congiuntamente, rivelano la vera finalità della detenzione. La decisione sottolinea inoltre i limiti del ricorso in Cassazione: non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un controllo sulla legalità delle decisioni precedenti. Chi intende ricorrere in Cassazione deve quindi sollevare vizi di legge o di motivazione, non semplicemente contestare la valutazione delle prove fatta dai giudici di merito. La condanna finale del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende è la conseguenza diretta della declaratoria di inammissibilità del ricorso, quando non vi sono elementi per escludere la colpa del ricorrente nella sua proposizione.
Quali elementi trasformano la detenzione di droga in un reato di spaccio secondo la Corte?
Secondo la Corte, non è solo la quantità, ma un insieme di indizi oggettivi a provare la destinazione allo spaccio. Tra questi, i più rilevanti sono: la divisione della sostanza in dosi, il possesso di diversi tipi di droga, il ritrovamento di ingenti somme di denaro in contanti di vario taglio e la detenzione di strumenti per il confezionamento come bilancini di precisione.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano volte a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione. Il suo ruolo è limitato al ‘sindacato di legittimità’, cioè al controllo sulla corretta applicazione delle norme di legge e sulla logicità della motivazione, non a un terzo grado di giudizio sul merito.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la conferma definitiva della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5574 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAMPOBASSO il 14/10/1991
avverso la sentenza del 18/04/2024 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi proposti sono tesi a sollecitare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie estranee al sindacato di legittimità, e sono meramente riproduttivi di profili di censura in ordine alla mancata assoluzione per uso personale ai sensi dell’art. 75 d.P.R. n. 309/90 già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Giudice di merito (si vedano le pagine 3 e 4 della sentenza impugnata, ove si è evidenziato che deponevano nel senso della destinazione allo spaccio della sostanza rinvenuta: la divisione di parte della stessa; il rinvenimento addosso all’imputato di dosi già pronte ad essere cedute a terzi; la diversa tipologia di sostanze possedute, così da soddisfare un’ampia pletora di assuntori; la circostanza che proprio la droga già confezionata in tre involucri fosse detenuta dall’imputato all’esterno della sua abitazione; il rinvenimento nelle medesime circostanze di una notevole somma di denaro in banconote di diverso taglio; la detenzione presso l’abitazione anche di strumenti idonei al confezionamento delle singole dosi);
rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimità (cfr. Sez. 4, n. 36755 del 4/06/2004, COGNOME, Rv. 229686 – 01, secondo cui la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/11/2024