Destinazione allo Spaccio: Criteri e Limiti del Giudizio di Cassazione
La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e la destinazione allo spaccio rappresenta un punto cruciale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 18783/2024) offre un chiaro esempio di come gli Ermellini valutano gli elementi probatori e quali sono i limiti del ricorso in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un uomo condannato per spaccio di cocaina che ha tentato, senza successo, di sostenere la tesi dell’uso personale.
I Fatti di Causa
Il ricorrente era stato condannato in appello alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. Le prove a suo carico erano significative: era stato trovato in possesso di cinque confezioni di cocaina da 0,25 grammi ciascuna e, presso la sua abitazione, in un vano tecnico, erano stati rinvenuti ulteriori 32,5 grammi della stessa sostanza (pari a circa 69,5 dosi singole) e un bilancino di precisione.
I Motivi del Ricorso: Uso Personale contro Destinazione allo Spaccio
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata applicazione della legge: Sosteneva che la droga fosse destinata al proprio consumo, essendo un assuntore abituale (circostanza attestata sia dal SERT che dalla casa circondariale), e che la quantità trovata costituisse una semplice “scorta personale”.
2. Vizio di motivazione: Contestava la logicità della sentenza d’appello nell’affermare la destinazione allo spaccio.
3. Errata determinazione della pena: Lamentava una pena eccessiva, chiedendo una valutazione più mite della gravità del fatto e della sua personalità.
L’Analisi della Cassazione sulla Destinazione allo Spaccio
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato che i primi due motivi non erano altro che una riproposizione delle argomentazioni già presentate in appello e miravano a ottenere una nuova valutazione delle prove. Questo tipo di richiesta è preclusa nel giudizio di legittimità, dove la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, logica e coerente, dei giudici di merito.
La Corte ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello del tutto adeguata e non manifestamente illogica. Gli elementi che, letti congiuntamente, provavano in modo inequivocabile la destinazione allo spaccio erano:
* Il trasporto fuori casa di cinque confezioni già pronte per la cessione, un comportamento illogico per un semplice consumatore.
* La detenzione di una quantità ben più consistente (32,5 grammi) in un nascondiglio specifico all’interno dell’abitazione.
* La presenza di un bilancino di precisione, strumento tipico dell’attività di spaccio.
La Determinazione della Pena e la Personalità dell’Imputato
Anche il terzo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che la pena inflitta era addirittura inferiore alla media edittale. La valutazione della gravità del fatto, basata sulle modalità organizzate dell’attività (evidenziate dal nascondiglio apposito), e il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, gravato da plurimi e gravi precedenti, erano state adeguatamente motivate dalla Corte d’Appello e non potevano essere rimesse in discussione in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché volto a ottenere una rivisitazione delle risultanze istruttorie, contrapponendo una lettura alternativa delle prove a quella, concorde e logica, dei giudici di primo e secondo grado. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta idonea e non illogica, e quindi non suscettibile di censura in Cassazione.
Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la qualifica di assuntore abituale non è di per sé sufficiente a escludere la responsabilità per spaccio. Sono gli elementi fattuali e oggettivi a essere decisivi: la quantità della sostanza, le modalità di confezionamento, il luogo di occultamento e la presenza di strumenti come i bilancini di precisione costituiscono un quadro probatorio che, se valutato in modo logico dai giudici di merito, difficilmente può essere scardinato in sede di Cassazione. La decisione serve da monito: il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità (violazioni di legge o manifesta illogicità della motivazione) e non sul tentativo di ottenere un nuovo, e più favorevole, giudizio sui fatti.
Essere un consumatore abituale di droga esclude automaticamente l’accusa di spaccio?
No. Secondo la Corte, lo stato di tossicodipendenza non esclude la destinazione allo spaccio se sono presenti elementi oggettivi che indicano un’attività di vendita, come il confezionamento in dosi e il possesso di un bilancino di precisione.
Quali elementi sono decisivi per dimostrare la destinazione allo spaccio secondo questa ordinanza?
Gli elementi considerati decisivi sono stati: il trasporto di cinque confezioni di cocaina già dosate e pronte per la vendita; la detenzione di un quantitativo ulteriore e significativo (32,5 grammi) occultato in un vano tecnico dell’abitazione; la disponibilità di un bilancino di precisione.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché chiedeva una nuova valutazione delle prove, cosa non consentita nel giudizio di legittimità. La Cassazione controlla solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, senza entrare nel merito dei fatti accertati nei gradi precedenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18783 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a SANTA CATERINA VILLARMOSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il primo e il secondo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Palermo indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la condanna del ricorrente alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R 309/90, mediante i quali è stata denunciata l’errata applicazione degli artt. 73 e 7 d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente detenuta dal ricorrente, da spiegare con la costituzione di una scorta stante la condizione del ricorrente di assuntore abitual di cocaina (attestata sia dal SERT sia dalla Casa circondariale di Sciacca), sono inammissibili, essendo entrambi volti, tra l’altro riproducendo il corrispondente motiv d’appello e in assenza di confronto con tutti gli aspetti considerati dai giudici di me per ritenere dimostrata la destinazione allo spaccio, a conseguire una rivisitazione dell risultanze istruttorie per ottenerne una lettura alternativa, da contrapporre a quella d giudici di merito, che, però, è concorde e non manifestamente illogica e non è dunque suscettibile di rivisitazioni nel giudizio di legittimità. La Corte d’appello, nel rib destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente del tipo cocaina che l’imputato aveva indosso e anche di quella dello stesso tipo occultata in un vano tecnico della sua abitazione, ha sottolineato il trasporto al di fuori della abitazione di cinque confezio cocaina del peso di 0,25 grammi ciascuna, spiegabile, sul piano logico, solo con lo svolgimento dell’attività di spaccio, e anche la detenzione, in uno vano tecnico nell disponibilità del solo imputato, di 32,5 grammi della medesima sostanza (corrispondenti a 69,5 dosi singole) e di un bilancino di precisione: si tratta di motivazione idonea e n certamente manifestamente illogica, censurata esclusivamente sul piano della valutazione degli elementi di prova, dunque in modo non consentito nel giudizio di legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che il terzo motivo di ricorso, con il quale è stata denunciata la violazione e l’errata applicazione dell’art. 133 cod. pen., con riferimento a determinazione della pena, peraltro inferiore alla media edittale, è anch’esso inammissibile, essendo volto a censurare la valutazione di gravità della condotta, fondata sulle modalità organizzate di svolgimento della attività di spaccio, caratterizzata anch dalla disponibilità di uno specifico nascondiglio nei pressi della abitazione del ricorrent il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, a cagione dei plurimi e gr precedenti da cui è gravato, sul piano del merito, ossia proponendo una considerazione diversa dei medesimi elementi, non consentita, in presenza di motivazione adeguata e non manifestamente illogica, in sede di legittimità.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, stante il contenuto non consentito di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
Rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presidente