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Destinazione allo spaccio: Cassazione inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La Corte ha ritenuto manifestamente infondata la tesi dell’uso personale, confermando che la destinazione allo spaccio può essere desunta da più indizi, quali la quantità della sostanza, il suo confezionamento in dosi e l’incompatibilità con la situazione economica del detentore.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Destinazione allo Spaccio: Quando il Ricorso è Inammissibile

Distinguere tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e la destinazione allo spaccio è uno dei nodi cruciali nei processi penali in materia di droga. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare quali elementi i giudici considerano decisivi per provare l’intento di cedere a terzi la sostanza. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la condanna e chiarendo la logica dietro la valutazione delle prove.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Ragusa, successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Catania. L’imputato era stato condannato a 10 mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per detenzione di stupefacenti. La difesa sosteneva che la sostanza rinvenuta fosse destinata esclusivamente all’uso personale e non alla vendita.

Contro la sentenza d’appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avevano errato nel ritenere provata la finalità di spaccio, basandosi su una valutazione non corretta degli elementi a disposizione.

La Valutazione degli Indizi per la Destinazione allo Spaccio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della vicenda, ma si concentra sulla coerenza e logicità della motivazione della sentenza impugnata. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello aveva correttamente e plausibilmente desunto la destinazione allo spaccio dello stupefacente sulla base di una serie di indizi gravi, precisi e concordanti.

Le Motivazioni: Gli Indizi Plurimi e Concordanti

La Corte ha evidenziato tre elementi chiave che, letti congiuntamente, hanno portato a escludere la tesi dell’uso personale:

1. Il dato ponderale: La quantità di sostanza sequestrata è stato il primo elemento preso in considerazione. Sebbene non sia l’unico fattore determinante, un quantitativo che supera le esigenze medie di un consumatore è un primo, forte indicatore dell’intento di spaccio.
2. Il confezionamento in dosi: La sostanza era già stata suddivisa in singole dosi. Questa modalità di conservazione è tipica dell’attività di spaccio, poiché prepara la droga per la vendita al dettaglio, e mal si concilia con una detenzione per consumo personale.
3. L’incompatibilità con lo stato reddituale: I giudici hanno confrontato la quantità di droga detenuta con la situazione economica dell’imputato. Una quantità significativa, il cui acquisto non sarebbe stato sostenibile con i redditi dichiarati o lo stile di vita del soggetto, è un ulteriore indizio che la sostanza non fosse destinata a essere consumata, ma a generare un profitto tramite la vendita.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la valutazione congiunta di questi tre elementi costituisse una motivazione solida e immune da vizi logici, tale da giustificare la condanna.

Le Conclusioni: Le Conseguenze dell’Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità ha avuto conseguenze significative per il ricorrente. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, l’inammissibilità del ricorso comporta non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata equitativamente fissata in 3.000 euro.

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la prova della destinazione allo spaccio non richiede necessariamente la flagranza di una cessione, ma può essere raggiunta attraverso un’analisi logica di elementi indiziari. La quantità, il confezionamento e la sproporzione economica sono pilastri su cui i giudici possono fondare, legittimamente, un giudizio di colpevolezza.

Quali indizi possono dimostrare la destinazione allo spaccio di sostanze stupefacenti?
Secondo la Corte, la destinazione allo spaccio può essere provata attraverso una valutazione combinata di più indizi, come la quantità della sostanza (dato ponderale), il suo confezionamento in singole dosi e l’incompatibilità tra la quantità detenuta e la situazione reddituale della persona.

Cosa accade se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale. In questo caso, la somma è stata di 3.000 euro.

La sola quantità di droga è sufficiente per provare lo spaccio?
No, la sentenza chiarisce che il dato ponderale è solo uno degli elementi. La decisione si fonda su una valutazione complessiva e congiunta di diversi fattori indiziari, che nel loro insieme devono portare a ritenere, in modo plausibile, che la sostanza fosse destinata alla vendita e non all’uso personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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