Droga: la destinazione a terzi si prova anche con indizi
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati legati agli stupefacenti: la prova della destinazione a terzi della sostanza, ovvero dello spaccio, non richiede necessariamente la flagranza di una cessione, ma può essere desunta da una serie di elementi indiziari precisi e concordanti. Analizziamo la decisione per comprendere quali sono i criteri che i giudici utilizzano per distinguere l’uso personale dallo spaccio.
I Fatti di Causa: Dal Ricorso alla Decisione della Cassazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Firenze per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, previsto dall’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/1990. La difesa del ricorrente contestava la valutazione della Corte territoriale, sostenendo la mancanza di prove dirette dell’attività di spaccio.
La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo è prettamente procedurale ma significativo: le censure sollevate erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e correttamente respinti nel precedente grado di giudizio, senza introdurre nuovi vizi di legittimità. In sostanza, il ricorso non era idoneo a mettere in discussione la logicità e la correttezza giuridica della sentenza impugnata.
La Prova della Destinazione a Terzi: Gli Indizi Valutati
Il punto centrale dell’ordinanza risiede nella conferma della validità del ragionamento probatorio seguito dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano accertato la destinazione a terzi della droga sulla base di tre elementi chiave, considerati nel loro complesso:
1. L’elevato numero di dosi: La quantità di sostanza rinvenuta era tale da superare le esigenze di un consumo personale, anche per un periodo di tempo ragionevole.
2. La qualità della sostanza: La purezza e la tipologia dello stupefacente sono state considerate indicative di un’attività organizzata.
3. L’assenza di capacità reddituale: Il ricorrente non aveva fornito alcuna prova di avere un reddito lecito sufficiente a giustificare l’acquisto di un tale quantitativo di droga per solo uso personale.
Questo approccio dimostra come, in assenza di una confessione o di una cessione colta in flagrante, la prova dello spaccio possa essere raggiunta attraverso un percorso logico-deduttivo basato su dati oggettivi.
L’Esclusione del Fatto di Lieve Entità
La difesa aveva anche tentato di far rientrare la condotta nell’ipotesi di reato meno grave del ‘fatto di lieve entità’, disciplinata dal comma 5 dell’art. 73. Anche questa tesi è stata respinta dalla Cassazione, che ha avallato la motivazione della Corte d’Appello. Gli elementi che hanno portato ad escludere la lieve entità sono stati:
* Il numero considerevole di dosi ricavabili.
* Le modalità di confezionamento, con la sostanza suddivisa in ‘panetti sigillati’, tipiche di un’attività di spaccio strutturata.
* L’elevata concentrazione di principio attivo, indice di una maggiore pericolosità della sostanza.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile perché riproduttivo di censure già correttamente vagliate e disattese dal giudice di merito. La sentenza impugnata è stata considerata immune da vizi logici o giuridici. La motivazione della Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha accertato in modo logico, corretto ed esaustivo la destinazione a terzi della sostanza sulla base delle risultanze probatorie. Gli indizi (numero di dosi, qualità della sostanza, assenza di reddito congruo) sono stati ritenuti sufficienti a fondare la condanna. Parimenti corretta è stata giudicata l’esclusione dell’ipotesi lieve (art. 73, comma 5) in ragione dell’elevato numero di dosi, del confezionamento in panetti sigillati e dell’alto principio attivo, elementi che complessivamente delineano una condotta non marginale.
le conclusioni
Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la distinzione tra detenzione per uso personale e detenzione ai fini di spaccio si basa su una valutazione complessiva di elementi indiziari. La mancanza di un reddito lecito che giustifichi il possesso di un notevole quantitativo di droga assume un peso determinante nel convincimento del giudice. Allo stesso modo, per il riconoscimento del fatto di lieve entità, non basta considerare solo il dato quantitativo, ma occorre valutare anche le modalità della condotta e la qualità della sostanza. La decisione impone quindi una riflessione sull’importanza di poter dimostrare la propria capacità economica in casi simili e conferma la severità con cui l’ordinamento valuta le modalità di confezionamento e la purezza dello stupefacente.
Come si prova la destinazione allo spaccio di droga in assenza di una vendita diretta?
La prova può essere raggiunta attraverso elementi indiziari valutati nel loro complesso, come l’elevato numero di dosi detenute, la qualità della sostanza e la dimostrata incapacità reddituale dell’imputato di acquistare quel quantitativo per mero uso personale.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando, tra le altre ragioni, si limita a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte con motivazione corretta e logica dal giudice del grado precedente, senza sollevare questioni di pura legittimità.
Quali fattori escludono la qualificazione del reato come ‘fatto di lieve entità’?
Secondo questa ordinanza, elementi come un elevato numero di dosi, un confezionamento organizzato (in questo caso, ‘panetti sigillati’) e un’alta concentrazione di principio attivo sono sufficienti a escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità, indicando una maggiore gravità della condotta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3925 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3925 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CODICE_FISCALE nato a FIRENZE il 20/11/1998
avverso la sentenza del 13/07/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti, la sentenza impugnata; esaminato il motivo di ricorso.
Ritenuto che il motivo dedotto nel ricorso in relazione alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990 è inammissibile in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito;
Considerato, invero, che la Corte d’appello – con motivazione logica, corretta ed esaustiva – ha ritenuto accertata, alla luce delle risultanze probatorie, la destinazione a terzi della sostanza stupefacente, in ragione dell’elevato numero di dosi rinvenute, della qualità della sostanza e dell’assenza di prova in ordine alla capacità reddituale del ricorrente di acquistare un tale quantitativo di sostanza stupefacente;
che risulta parimenti immune da vizi sindacabili in sede di legittimità la motivazione con cui la Corte d’appello ha escluso la riconducibilità della condotta all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, alla luce dell’elevato numero di dosi rinvenute, suddivise in panetti sigillati e contenenti un elevato principio attivo;
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/09/2024.