Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19336 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19336 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/12/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 15 giugno 2022, con cui NOME era stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro ottocento di multa in ordine al reato di cui agli artt. 110, 56, 624 bis e 625, n. 2 cod. pen. (tentat furto in abitazione, azione non compiuta per l’intervento dei Carabinieri).
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, lamentando vizio di motivazione per travisamento della prova. Si dà atto che il predetto ricorrente, in data 5 marzo 2024, ha depositato memoria con la quale ha insistito nei motivi di ricorso, invocando il riconoscimento della desistenza.
3. Il ricorso è inammissibile.
In ordine all’unico motivo di ricorso, va premesso che la Corte territoriale ha basato l’affermazione di responsabilità dell’imputato in base alla ricostruzione della vicenda criminosa contenuta nel verbale d’arresto e nella relazione resa dall’agente operante. Quanto alla dedotta discrasia della data rilevabile nel verbale di denuncia reso dalla persona offesa, che reca data anteriore ai fatti ( i fatti sono della mattina del 19 maggio e la denuncia è datata 16 maggio ore 16.20) la Corte fornisce logica motivazione sulla evidenza dell’errore materiale, rilevando che l’orario riportato nella denuncia è quello delle 16.20, pienamente compatibile con gli accadimenti ( avvenuti al mattina), che ha chiaramente ingenerato l’erronea annotazione del medesimo numero (16) quale data. Peraltro, come detto, l’azione di appostamento del ricorrente all’interno del condominio e la successiva introduzione nell’appartamento si era svolta sotto la diretta osservazione delle forze dell’ordine, come emerge dal verbale di arresto. La Corte territoriale ha poi .logicamente escluso la configurabilità di un’ipotesi di desistenza volontaria ex art. 56, comma terzo, cod. pen., richiamando il costante indirizzo di questa Corte di legittimità, secondo cui, in tema di desistenza dal delitto, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarietà che non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa ( Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico, Rv. 272535).
Sulla base degli elementi acquisiti, sì è ritenuto accertato che l’omessa prosecuzione dell’azione criminosa non fosse dipesa da una libera e incondizionata determinazione dell’imputato. Sul punto, la motivazione della Corte territorial contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, è perfettamente logica e rispettosa dei principi giurisprudenziali sopra richiamati. La Corte territoriale rileva che, come emerge dalla ricostruzione dei fatti (documentata anche dalla deposizione degli agenti di PG allegata al ricorso ai fini della autosufficienza) le forze dell’ordine avevano verificato che la stanza della badante sita all’interno dell’abitazione della persona offesa risultava rovistata e non era stato asportato nulla: del tutto logicamente, dunque, la Corte territoriale richiama, quale elemento che conduce alla certa esclusione della desistenza volontaria, il fatto che il ricorrente avesse materialmente cercato oggetti da asportare all’interno dell’appartamento e l’evidente infruttuosità del tentativo di furto ( quindi la irrealizzabilità della azione criminosa) giudici di merito sottolineano anche, in modo non illogico, la chiara pervicacia di insistere nell’intento di penetrare in un appartamento al fine di commettere il furto (del tutto incompatibile con una desistenza volontaria) posto che il ricorrente era stato appostato due ore all’interno del condominio, portando con sé oggetti da scasso, e restando in continuo contatto con un complice. Va comunque ribadito che nei reati di danno a forma libera è configurabile la desistenza volontaria solo nella fase del tentativo incompiuto, ossia fino a quando non siano stati posti in essere gli atti da cui origina il processo causale idoneo a produrre l’evento ( principio affermato in analoga fattispecie in tema di tentato furto in appartamento, in cui le imputate si erano introdotte nell’abitazione dopo aver effranto la serratura della porta d’ingresso, poi fuggendo via senza sottrarre nulla, in relazione alla quale la Corte ha escluso, in applicazione del principio, il rilievo dell’intervento della persona offesa nel decorso causale: cfr. Sez. 5, n. 50079 de/ 15/0512017 , Rv. 271435 – 01; cfr. anche Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018,Rv. 272677 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2024
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