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Desistenza volontaria: quando l’azione è volontaria?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto in abitazione. L’imputato sosteneva di aver volontariamente desistito dall’azione, ma la Corte ha stabilito che la mancata sottrazione di beni era dovuta all’impossibilità di trovare oggetti di valore (tentativo infruttuoso) e non a una libera scelta. L’analisi si è concentrata sulla distinzione tra una genuina desistenza volontaria e l’abbandono del proposito criminale per cause esterne, confermando la condanna.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Desistenza Volontaria nel Furto: Quando Abbandonare il Reato Non Basta

L’istituto della desistenza volontaria rappresenta una linea di confine cruciale nel diritto penale, distinguendo chi si ferma prima di completare un reato da chi semplicemente fallisce nel suo intento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 19336/2024) offre un’analisi puntuale di questa differenza, chiarendo che non portare a termine un furto perché non si trova nulla da rubare non configura una desistenza, bensì un tentativo infruttuoso. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati.

I Fatti del Caso in Esame

Un individuo veniva condannato in primo e secondo grado per tentato furto in abitazione in concorso. La dinamica dei fatti, ricostruita grazie all’osservazione diretta delle forze dell’ordine, vedeva l’imputato appostarsi per ore all’interno di un condominio, in contatto con un complice, per poi introdursi in un appartamento. Una volta dentro, l’uomo rovistava una delle stanze ma ne usciva senza aver asportato alcun bene, venendo poi fermato.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta dovesse essere inquadrata come desistenza volontaria, dato che aveva scelto di non proseguire nell’azione criminosa, abbandonando l’appartamento senza aver rubato nulla.

La Questione Giuridica: Desistenza o Tentativo Fallito?

Il nucleo del ricorso si concentrava sull’interpretazione dell’art. 56, terzo comma, del codice penale. L’imputato chiedeva il riconoscimento della desistenza, che avrebbe comportato una pena significativamente inferiore. La difesa sosteneva che la scelta di non rubare fosse stata, appunto, volontaria.

Tuttavia, sia la Corte d’Appello che, in seguito, la Corte di Cassazione hanno rigettato questa tesi. La questione giuridica si è quindi focalizzata sulla natura della ‘volontarietà’ richiesta dalla norma. È sufficiente non completare il reato, o è necessario che tale decisione scaturisca da una libera e autonoma scelta interiore, non condizionata da fattori esterni?

Le Motivazioni della Corte sulla Desistenza Volontaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e in linea con il suo orientamento consolidato. I giudici hanno sottolineato che la desistenza volontaria non deve essere confusa con la mera spontaneità. La scelta di interrompere l’azione criminosa deve essere operata in una situazione di ‘libertà interiore’, ovvero non deve essere necessitata da circostanze esterne che rendono la prosecuzione del reato impossibile o eccessivamente rischiosa.

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato diversi elementi che escludevano la volontarietà della desistenza:
1. Infruttuosità della Ricerca: L’imputato aveva effettivamente rovistato l’appartamento, ma non aveva trovato oggetti da asportare. La mancata consumazione del furto non derivava da un ripensamento, ma dall’irrealizzabilità dell’azione criminosa. In altre parole, l’imputato non ha rubato perché non c’era nulla da rubare.
2. Pervicacia Criminale: L’intento criminale era chiaro e persistente. L’uomo si era appostato per due ore, portava con sé attrezzi da scasso ed era in costante contatto con un complice. Questo comportamento è del tutto incompatibile con l’idea di una successiva e genuina desistenza.
3. Principio sul Tentativo Incompiuto: La Corte ha ribadito che la desistenza è configurabile solo nella fase del tentativo incompiuto, cioè prima che si sia innescato il processo causale irreversibile che porta all’evento. Una volta che l’azione ha prodotto i suoi effetti (come rovistare una stanza alla ricerca di beni), l’eventuale abbandono dovuto a cause esterne non può essere qualificato come volontario.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di tentativo e desistenza. La scelta di non portare a termine un reato, per essere giuridicamente rilevante ai fini della desistenza volontaria, deve essere il frutto di una decisione autonoma e non condizionata dall’impossibilità di proseguire. Se l’agente si ferma perché si accorge che il colpo non può riuscire, o perché il rischio di essere scoperto è diventato troppo alto, non si tratta di desistenza, ma di un tentativo che, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, non è giunto a consumazione. Questa distinzione è essenziale per garantire che l’istituto premiale della desistenza sia riservato solo a chi dimostra un’effettiva, seppur tardiva, resipiscenza.

Quando si configura la desistenza volontaria in un reato?
La desistenza volontaria si configura quando un soggetto, dopo aver iniziato l’azione criminosa, decide liberamente e in una situazione di libertà interiore di non portarla a termine, indipendentemente da circostanze esterne che rendano il reato impossibile o troppo rischioso.

Non rubare nulla dopo essere entrati in un’abitazione è sempre considerato desistenza volontaria?
No. Come chiarito dalla sentenza, se la mancata sottrazione di beni dipende dal fatto che non si è trovato nulla di valore da rubare, non si tratta di desistenza volontaria, ma di un tentativo infruttuoso, poiché la consumazione del reato è risultata impossibile per cause indipendenti dalla volontà dell’agente.

Qual è la differenza tra desistenza volontaria e tentativo incompiuto?
Il tentativo incompiuto è la fase del reato in cui gli atti idonei a commettere il delitto sono stati posti in essere, ma l’azione non è stata portata a termine. La desistenza volontaria è una condotta che può verificarsi proprio in questa fase e consiste nell’abbandonare volontariamente il proposito criminale, interrompendo l’azione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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