Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37617 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37617 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/12/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
E’ presente l’AVV_NOTAIO del foro di CAGLIARI, difensore dell’imputato, che conclude per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale locale con la quale NOME COGNOME era stato condanNOME in relazione al tentativo di furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose. Nella specie si era contestato al predetto di avere posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi del contenuto dell’autovettura parcheggiata all’interno del cortile di un’abitazione, previa effrazione e danneggiamento del cancello carrabile,non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà.
Il giudice di appello ha rigettato, il gravame proposto nell’interesse dell’imputato / che lamentava la errata ricostruzione del fatto storico / deducendo che il NOME, come risulta dalle immagini estrapolate dalle telecamere, avrebbe volontariamente desistito e che ncrn vi era prova che COGNOME volesse appropriarsi L I dell’auto né dei beni in essa contenuti oltre che taiti eccessività del trattamento sanzioNOMErio. In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto attendibili dichiarazioni della persona offesa / secondo cui / mentre si trovava nel soggiorno della propria abitazione, veniva allertata dal figlio che le riferiva della presenza di un uomo in giardino; affacciatasyaveva notato un individuo che, dopo essere riuscito ad aprire il cancello, forzandolo, aveva tentato di aprire la portiera dell’auto del figlio. L’uomo si allontanava solo dopo avere udito le urla del giovane.
Sono state, inoltre, respinte le censure mosse con riferimento al trattamento sanzioNOMErio i rilevando che la pena era stata determinata in misura prossima al minimo edittale previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza alla contestata recidiva.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell’interesse del COGNOME formulando quattro motivi.
3.1. Con il primo si deduce la contraddittorietà e illogicità della motivazione per errata valutazione in merito alla interpretazione delle dichiarazioni della persona offesa nonché delle immagini acquisite dall’impianto di videosorveglianza. Si assume la inattendibilità della persona offesa che non sarebbe riuscita a collocare temporalmente i fatti. L’individuo effigiato poi nelle immagini estrapolate da cui è stato effettuato il riconoscimento, non presenterebbe le stesse caratteristiche del COGNOME e in proposito si rileva che il m.11o dei Carabinieri che avrebbe effettuato il riconoscimento del ricorrente lo avrebbe descritto come basso e robusto e non ha fatto alcun cenno ai tatuaggi che costui reca sul collo.
3.2. Con il secondo motivo si deduce l’errato inquadramento della condotta nell’alveo dell’art. 624 bis cod. pen. Rileva la difesa che dall’ingresso nel cortile
all’uscita sono trascorsi nove secondi dal che si poteva configurare, al più, un tentativo o una violazione di domicilio aggravata ex art. 614 co. 4 cod. pen.
3.3. Con il terzo motivo si deduce l’errata applicazione della legge penale con riferimento all’art. 56 cod. pen. per non avere la Corte territoriale configurato la desistenza.
3.4. Con il quarto motivo si deduce l’errata applicazione della legge penale quanto al mancato riconoscimento della causa dì non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., non essendovi neppure prova che il cancello sia stato danneggiato oltre che la violazione dell’art. 20 bis cod. pen. e 53 I. n. 689 del 1981 con riferimento al mancato avviso da parte della Corte di appello della disciplina in materia di pene sostitutive applicabile allorquando non venga concessa la sospensione condizionale della pena e alla conseguente mancata applicazione del meccanismo processuale di cui all’art. 545 bis cod. proc. pen. i disciplina questa che l’art. 95 del d.lgs. n. 150 del 2022 rende in via transitoria applicabile anche ai giudizi di appello.
All’udienza, le parti hanno concluso come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
I primi tre motivi x possono essere trattati unitariaments avendo la difesa dedotto i suddetti vizi di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazi agli stessi punti, inerenti alla valutazione del materiale probatorio operata compiutamente dalla Corte territoriale.
La difesa, sia pure sotto l’egida del vizio di motivazione, ha inteso rassegnare al vaglio di legittimità questioni di puro merito, sulle quali consta un articolato congruo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo della Corte territoriale, da leggersi, stante la conformità delle due valutazioni, in uno con quello seguito dal giudice di primo grado.
Ciò ha evidenti ricadute sulla natura del sindacato di legittimità, per quanto riguarda la verifica dell’adeguatezza e congruità del ragionamento giustificativo in ordine alle doglianze formulate in punto accertamento della responsabilità dell’imputato, ma anche sulla tipologia di vizio deducibile che non può in ogni caso consistere nella reiterazione della tesi difensiva esaminata dai giudici d’appello (Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218).
In proposito va ricordato che sono del tutto estranei al giudizio di legittimità la valutazione e l’apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito, con la conseguente inammissibilità di censure che, come nel caso in esame, siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, indicati come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 Rv. 265482 e più di recente Sez. 1 n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504 secondo cui «in tema di giudizio di legittimità, la cognizione della Corte di cassazione è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione»).
Il ricorso, peraltro, è aspecifico in quanto non spiega le ragioni per le quali ritiene inattendibile la persona offesa e il di lei figlio in merito alla riferita prese dell’individuo che, dopo avere forzato il cancello di accesso al giardino della loro T F abitazione, ~a – ripetutamente di aprire l’autovettura ivi parcheggiata né, ancora le ragioni per le quali il maresciallo dei Carabinieri avrebbe operato un riconoscimento del COGNOME piuttosto che di un individuo diverso e neppure “simile” sul piano della corporatura.
Dalla asserita inattendibilità della persona offesa che avrebbe riferito di essere stata avvisata dal figlio della presenza di un intruso nel giardino che tentava di forzare l’auto dopo avere forzato il cancello di ingresso . COGNOME affacciatasi alla finestra avrebbe urlato contro l’uomo, la difesa fa discendere la desistenza del COGNOME.
In proposito va ricordato che «la desistenza volontaria postula che l’interruzione dell’azione criminosa sia la conseguenza di una autonoma e libera determinazione dell’agente e non di fattori esterni che abbiano impedito o reso vana la prosecuzione dell’azione» (Sez. 1, n. n. 13104 del 13/12/2024, dep. 2025, Rv. N. 287875 – 01; Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, Rv. 275647 01).
Meramente reiterativo è l’argomento con il quale si deduce la mancata riqualificazione del reato contestato nella fattispecie di cui all’art. 614 cod. pen. poiché non si confronta con la motivazione posta dalle sentenze di merito sul punto che hanno posto l’accento sulla circostanza che il COGNOME è stato notato mentre tentava più volte di aprire la portiera dell’auto parcheggiata nell’area di pertinenza dell’abitazione, all’interno della quale si era introdotto /evidenziando che l’ipotesi di cui all’art. 614 cod. pen. si sarebbe potuta ritenere configurata qualora l’imputato si fosse limitato ad entrare nella proprietà delle persone offese. Il ricorso, in proposito, ripropone l’argomento difensivo secondo cui non vi sarebbe neppure A i A. prova che la persona offesa si sia affacciata.all’,Iprrp:útato ponendo poi in dubbio, il riconoscimento effettuato.
6. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso con cui si lamenta il vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. in quanto non consentito in questa sede poiché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, secondo quanto è previsto a pena di inammissibilità dall’art. 606, co. 3, cod. proc. pen.
In proposito questa Corte ha ripetutamente affermato che «in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, co. 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità» (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, Rv. 282773 – 01; Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Rv. 275782 -01; Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Rv. 269913).
Parimenti inammissibile il motivo dedotto nella parte in cui si denunzia la violazione dell’art. 20 bis cod. pen. e 53 I. n. 689 del 1981 quanto al mancato avviso relativamente alla disciplina in materia di pene sostitutive applicabile allorquando non venga concessa la sospensione condizionale della pena. Va premesso che la sentenza di primo grado e i motivi di appello sono stati depositati nel 2023 e, dunque, in epoca successiva all’entrata in vigore (30 dicembre 2022) del d.lg. n. 150/2022 che ha riformato la disciplina delle c.d. pene sostitutive inserendo l’art. 20 bis cod. pen., ampliandone l’ambito di operatività.
Non era, dunque, più in vigore il regime transitorio previsto dall’art. 95 del decreto citato secondo cui «le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto», con la conseguenza che tutta la disciplina in tema di pene sostitutive, divenuta immediatamente applicabile anche ai giudizi pendenti in fase di appello, imponeva al giudice di appello di valutare la sussistenza delle condizioni per l’applicazione delle pene sostitutive, ove ritualmente investito (Sez. 2, n. 45428 del 20/11/2024, Sez. 4, n. 636 del 29/11/2023, dep. 2024, Rv. 285630; Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, Rv. 285491), anche nel corso dell’udienza di discussione del gravame (Sez. 2, n. 43112 del 31/10/2024; Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Rv. 286017; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, Rv. 285751).
Nel caso in esame, non trovando applicazione, come detto, la disciplina transitoria di cui all’art. 95 d. Igs. cit. rimane il principio affermato dalle Sezi Unite di questa Corte (Sez. U. n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125) secondo cui, per l’applicazione in appello della sostituzione della pena detentiva è
necessario che il tema sia veicolato con specifico motivo non avendo il giudice di secondo grado il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive dato che l’ambito di tale potere è riferito ‘quelle ipotesi espressamente indicate dall’art. 597, co. 5, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 9154 del 30/01/2025’ Rv. 287702; Sez. 2, n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025 Lo COGNOME, Rv. 287460)
La doglianza è inammissibile poiché non risulta che alcuna istanza di sostituzione sia stata formulata nei motivi di appello, motivo per il quale la mancata devoluzione della richiesta al giudice di appello priva di qualsivoglia rilievo l’omessa risposta da parte della Corte territoriale sul punto specifico.
Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero rispetto alla causa della inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende Deciso il 24 settembre 2025
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