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Desistenza volontaria: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il motivo risiede nel fatto che il ricorso si limitava a riproporre censure già esaminate e respinte, relative alla configurabilità della desistenza volontaria. La Corte ha ribadito che la desistenza volontaria richiede una scelta autonoma dell’agente, non determinata da fattori esterni. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Desistenza volontaria: la Cassazione fissa i paletti per l’ammissibilità del ricorso

Con l’ordinanza n. 44546/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la desistenza volontaria. La decisione offre importanti spunti di riflessione non solo sulla sostanza dell’istituto, ma anche sugli aspetti procedurali che ne condizionano la valutazione in sede di legittimità. Il caso analizzato riguarda un ricorso dichiarato inammissibile perché considerato meramente riproduttivo di argomentazioni già respinte nei gradi di merito.

Il caso in esame: un ricorso ‘fotocopia’

La vicenda processuale trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente basava la sua difesa sulla tesi della desistenza volontaria, sostenendo di aver interrotto l’azione criminosa per una sua libera scelta. Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la Corte territoriale avevano già esaminato e disatteso questa linea difensiva, ritenendo che l’interruzione del reato non fosse scaturita da una genuina volontà dell’agente, ma da circostanze esterne.

Il ricorso per Cassazione, anziché presentare nuove argomentazioni o vizi di legittimità della sentenza impugnata, si è limitato a riproporre gli stessi profili di censura già vagliati e respinti, senza un reale confronto critico con le motivazioni dei giudici di merito.

Le motivazioni della Cassazione sulla desistenza volontaria

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di desistenza volontaria. I giudici hanno sottolineato che un ricorso è inammissibile quando si limita a dedurre un motivo ‘meramente riproduttivo’ di censure già adeguatamente valutate e respinte con argomenti giuridici corretti dalla corte territoriale.

Nel merito della questione, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza costante (in particolare la sentenza n. 17518/2019), secondo cui, ai fini della configurabilità della desistenza, la decisione di interrompere l’azione criminosa deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente. Tale scelta non deve essere riconducibile a cause indipendenti dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni che rendono impossibile o troppo rischiosa la prosecuzione del reato. In altre parole, la scelta di ‘tornare indietro’ deve essere libera e non coartata dalle circostanze.

Conclusioni: le conseguenze dell’inammissibilità

La conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha specificato che tale condanna è dovuta perché non si può ritenere che l’imputato abbia proposto il ricorso ‘senza versare in colpa’, citando la sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 2000. La decisione evidenzia come un’impugnazione palesemente infondata o meramente ripetitiva non solo non ha possibilità di successo, ma comporta anche significative conseguenze economiche per chi la propone. Questo principio serve a scoraggiare ricorsi dilatori o pretestuosi, garantendo l’efficienza del sistema giudiziario e sanzionando l’abuso dello strumento processuale.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è inammissibile quando si limita a riproporre motivi di censura già adeguatamente esaminati e respinti con corretti argomenti giuridici dalla corte territoriale, senza un reale confronto critico con la decisione impugnata.

Quali sono i requisiti per configurare la desistenza volontaria?
La desistenza è considerata volontaria solo se la decisione di interrompere l’azione criminosa è il frutto di una scelta autonoma e libera dell’agente, non determinata da cause indipendenti dalla sua volontà o da fattori esterni che rendono la prosecuzione del reato impossibile o eccessivamente rischiosa.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) da versare alla Cassa delle ammende, specialmente quando si ritiene che il ricorso sia stato proposto con colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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