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Desistenza volontaria: quando è tardi per tirarsi indietro

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17246/2025, ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per tentato furto aggravato. L’imputato sosteneva di aver desistito volontariamente dall’azione, ma la Corte ha chiarito che la desistenza volontaria è configurabile solo nella fase del tentativo incompiuto. Essendosi già introdotto nel box e avendo forzato la saracinesca, l’azione criminosa aveva superato la fase degli atti preparatori, integrando un tentativo compiuto. Di conseguenza, il successivo abbandono dell’intento non è sufficiente a escludere la punibilità.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Desistenza Volontaria: Quando è Troppo Tardi per Annullare il Reato?

Nel diritto penale, la linea che separa un atto preparatorio da un tentativo punibile è spesso sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sulla desistenza volontaria, spiegando perché non sempre è sufficiente ‘cambiare idea’ per evitare una condanna. Analizziamo il caso di un tentato furto in cui l’imputato ha invocato proprio questa scriminante, senza successo.

I Fatti del Caso

L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per due episodi di tentato furto aggravato. In particolare, uno dei due episodi contestati vedeva l’uomo introdursi nell’area pertinenziale di un’abitazione, forzare la saracinesca di un box e tentare di asportare due biciclette di proprietà della vittima. L’azione non veniva portata a termine, e l’imputato proponeva ricorso per cassazione sostenendo, tra le altre cose, che il suo comportamento dovesse essere qualificato come desistenza volontaria non punibile.

I Motivi del Ricorso: Tentativo e Violenza sulle Cose

La difesa ha basato il ricorso su due punti principali:

1. Mancato riconoscimento della desistenza volontaria: Secondo il ricorrente, la semplice introduzione in un’area condominiale e l’ingresso nel box non erano atti sufficienti a configurare un tentativo punibile. L’interruzione dell’azione, a suo dire, era avvenuta prima che si realizzasse un vero e proprio pericolo per il bene giuridico tutelato.
2. Insussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose: La difesa sosteneva che le condotte, come la forzatura della saracinesca, avrebbero dovuto essere considerate semplici manipolazioni e non atti di violenza funzionali alla sottrazione dei beni.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo chiarimenti cruciali sulla desistenza volontaria. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la desistenza può escludere la punibilità solo nella fase del ‘tentativo incompiuto’, ovvero quando l’agente non ha ancora posto in essere tutti gli atti necessari a causare l’evento.

Nel caso specifico, l’imputato era andato ben oltre. L’essersi introdotto in un’area privata, aver forzato la saracinesca del box e aver tentato di prendere le biciclette costituisce una sequenza di atti che, nel loro complesso, delineano un ‘compiuto tentativo’ di furto in abitazione. A questo punto, l’azione criminosa è già stata perfezionata nella sua forma tentata. L’eventuale interruzione successiva, se finalizzata a impedire attivamente il completamento del furto, potrebbe al massimo configurare un ‘recesso attivo’, che comporta una riduzione di pena, ma non l’impunità.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’onere di provare che l’interruzione sia dipesa esclusivamente dalla propria volontà, e non da fattori esterni (come il timore di essere scoperto), grava su chi invoca la desistenza.

Le Conclusioni

La sentenza in esame conferma che la desistenza volontaria non è un ‘salvacondotto’ azionabile in qualsiasi momento. Esiste un punto di non ritorno, superato il quale l’azione criminosa diventa penalmente rilevante come tentativo. Questo punto si raggiunge quando gli atti posti in essere sono ‘idonei e diretti in modo non equivoco’ a commettere il delitto. Forzare una serratura o una saracinesca e iniziare a maneggiare la refurtiva non sono più atti preparatori, ma l’inizio dell’esecuzione del reato. Questa decisione rafforza la tutela del patrimonio, stabilendo che una volta avviato il meccanismo causale del reato, un semplice ripensamento non è sufficiente a cancellarne le conseguenze legali.

Quando è possibile la desistenza volontaria?
La desistenza volontaria è possibile solo nella fase del tentativo incompiuto, cioè quando l’agente non ha ancora compiuto tutti gli atti che ritiene necessari per la realizzazione del reato.

Chi ha l’onere di provare che la desistenza è stata volontaria?
L’onere di provare che l’interruzione dell’azione criminosa sia dipesa dalla libera volontà dell’agente, e non da cause esterne, grava su chi invoca la desistenza, ovvero l’imputato.

Forzare la saracinesca di un box e tentare di prendere le biciclette costituisce un tentativo punibile?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, queste azioni nel loro complesso superano la soglia degli atti meramente preparatori e integrano gli elementi di un compiuto tentativo di furto, che è punibile per legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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