LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Desistenza volontaria: quando è esclusa nel furto

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per tentato furto. La Corte ha stabilito che non sussiste la desistenza volontaria quando l’interruzione dell’azione criminale deriva non da una libera scelta, ma dall’impossibilità di trovare beni da sottrarre. I motivi di ricorso sono stati ritenuti ripetitivi e generici.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Desistenza Volontaria nel Tentativo di Furto: La Cassazione Fa Chiarezza

Nel diritto penale, la linea tra un tentativo di reato punibile e una desistenza volontaria non punibile è spesso sottile e cruciale per le sorti processuali dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su questo tema, stabilendo che l’interruzione dell’azione criminosa dovuta all’impossibilità di raggiungere lo scopo non configura una desistenza volontaria. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

Il Caso: Tentato Furto e Ricorso in Cassazione

La vicenda riguarda due soggetti condannati in primo e secondo grado per tentato furto aggravato in concorso. Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, li avevano ritenuti colpevoli, condannandoli a una pena detentiva e pecuniaria. La difesa dei due imputati ha proposto ricorso per Cassazione, basando la propria argomentazione principale sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità della desistenza volontaria.

I Motivi del Ricorso: il nodo della desistenza volontaria

Entrambi i ricorsi sostenevano che gli imputati avessero volontariamente interrotto la loro azione criminale. Secondo la difesa, questa interruzione avrebbe dovuto integrare la fattispecie della desistenza volontaria, prevista dall’articolo 56, comma 3, del codice penale, che esclude la punibilità per chi, appunto, desiste volontariamente dall’azione.

Oltre a questo motivo principale, uno dei ricorrenti lamentava anche l’errata applicazione della recidiva e l’eccessività della pena inflitta, sostenendo una motivazione carente o contraddittoria da parte dei giudici di merito.

La Decisione della Corte: Quando la Desistenza non è Volontaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando le sentenze di condanna precedenti. La decisione si fonda su un’attenta analisi del concetto di ‘volontarietà’ nella desistenza. I giudici hanno ritenuto che i ricorsi fossero in larga parte una mera riproposizione di argomenti già vagliati e respinti dalla Corte d’Appello, senza un reale confronto critico con le motivazioni di quest’ultima.

Le motivazioni: la differenza tra volontarietà e necessità

Il cuore della motivazione della Corte risiede nella distinzione fondamentale tra una scelta libera e una scelta necessitata. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che la desistenza volontaria non deve essere confusa con la semplice spontaneità. La scelta di interrompere il reato deve avvenire in una situazione di ‘libertà interiore’, ovvero quando l’agente ha ancora la possibilità di portare a termine il crimine ma sceglie di non farlo.

Nel caso specifico, è emerso che gli imputati avevano abbandonato il loro proposito criminoso solo dopo essersi resi conto dell’impossibilità di proseguire: non avevano trovato alcun bene di valore da sottrarre nelle abitazioni prese di mira. Questa circostanza esterna (la mancanza di refurtiva) ha reso di fatto inutile la prosecuzione dell’azione. L’interruzione, quindi, non è derivata da una libera scelta, ma dalla constatazione di un fallimento oggettivo. La Corte ha stabilito che non si può parlare di desistenza volontaria quando l’azione viene interrotta perché circostanze esterne la rendono ‘irrealizzabile o troppo rischiosa’.

Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso, la Corte li ha ritenuti parimenti infondati: la recidiva era stata correttamente applicata in base ai precedenti specifici di uno degli imputati, indicativi di una proclività a delinquere, e la pena era stata adeguatamente motivata partendo dal minimo edittale.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza sulla desistenza volontaria

Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del diritto penale: la non punibilità per desistenza volontaria è un beneficio concesso a chi compie una scelta etica, per quanto tardiva, di tornare sui propri passi. Non può essere invocata da chi semplicemente si arrende di fronte a difficoltà insormontabili o all’impossibilità di raggiungere il profitto illecito. La decisione sottolinea che, per escludere la punibilità del tentativo, l’abbandono del piano criminale deve essere il frutto di una autonoma e sovrana decisione dell’agente, non una mera presa d’atto dell’impossibilità di successo.

Quando si può parlare di desistenza volontaria in un reato?
Si ha desistenza volontaria quando l’autore del reato interrompe l’azione criminosa per una scelta libera e interiore, non perché costretto da circostanze esterne che rendono impossibile o troppo rischioso proseguire.

Perché nel caso di specie la Corte ha escluso la desistenza volontaria?
La Corte l’ha esclusa perché gli imputati hanno interrotto il tentativo di furto solo dopo aver constatato l’impossibilità di trovare beni di valore nelle abitazioni, non per una scelta autonoma ma per la mancanza dell’oggetto del reato.

Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se ripete gli stessi motivi dell’appello?
Sì, la Corte di Cassazione ha ribadito che è inammissibile il ricorso che si limita a riproporre gli stessi motivi già esaminati e respinti in appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati