Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13863 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CATANIA il 31/07/1997 NOME nato a CATANIA il 20/12/1987
NOME nato a CATANIA il 10/07/1979
avverso la sentenza del 30/09/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
lette le conclusioni depositate dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME con le quali ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania, con la sentenza emessa il 30 settembre 2024, confermava quella del Tribunale etneo che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al delitto di furto tentato dell’autovettura Alfa Giulietta, parcheggiata sulla pubblica via, forzando la serratura di apertura della portiera, evento non verificatosi per l’intervento delle forze dell’ordine.
I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse degli imputati constano di plurimi motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
I ricorsi proposti nell’interesse di Ventimiglia e COGNOME risultano del tutto sovrapponibili e sono articolati in tre motivi.
3.1 n primo lamenta violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 56, comma 3, cod. pen. in quanto sarebbe stata integrata la desistenza, prospettata con l’atto di appello, rispetto alla quale la sentenza ora impugnata non ha offerto una adeguata risposta.
3.2 Il secondo motivo lamenta che con l’atto di appello era stata richiesta la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria ex art. 53 I. 689 del 1981, ma la Corte non avrebbe offerto una adeguata risposta sul punto.
3.3 n terzo motivo deduce violazione dell’art. 341-bis cod. proc. pen. essendo stata pronunciata la sentenza impugnata quando era già intervenuta l’improcedibilità. Il periodo di due anni decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per la motivazione, il reato è stato commesso il 22 dicembre 2020, dunque trova applicazione la normativa invocata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è articolato in tre motivi.
4.1 n primo motivo lamenta violazione dell’art. 525 in relazione all’art. 179 cod. proc. pen. Lamenta il ricorrente che il collegio che aveva partecipato all’udienza, ascoltando le discussioni, era diverso da quello indicato nella sentenza impugnata, depositata con motivazione contestuale, integrato dal dott. COGNOME in luogo del dott. COGNOME Il principio della immutabilità del giudice risulta valido anche per le udienze camerali tenute ex art. 127 cod. proc. pen.
4.2 II secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al terzo comma dell’art. 56 cod. pen., rappresentando il ricorrente, con motivo sovrapponibile al primo degli altri ricorrenti, che la desistenza volontaria
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non sia stata correttamente esclusa, essendo l’attivarsi dell’antifurto acustico dell’autovettura un evento in sé prevedibile e non tale da escludere la volontarietà della condotta. L’imputazione, per altro, riferisce poi che non l’allarme ma l’intervento delle forze dell’ordine interrompeva l’azione.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
La difesa di NOME COGNOME ha insistito con memoria per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono complessivamente infondati, per le ragioni che seguono.
In ordine al primo motivo del ricorso Geremia, l’intestazione della sentenza impugnata riporta quale presidente la dott. NOME COGNOME consigliere a latere anziano il dott. NOME COGNOME consigliere estensore la dott. NOME COGNOME
Il verbale di udienza allegato dal ricorrente riporta che l’organo giudicante era composto analogamente a quello indicato nella intestazione della sentenza con l’unica differenza che consigliere anziano risultava il dott. NOME COGNOME
A ben vedere questa Corte ritiene di aderire all’orientamento consolidato da ultimo richiamato da Sez. 2, ud. 13/11/2024, n.44940 che ha confermato i precedenti sul punto di questa Corte regolatrice. In caso di contrasto, in merito alla composizione del giudice collegiale, tra il contenuto del verbale di udienza e l’intestazione della sentenza deve darsi prevalenza al primo, che gode di fede privilegiata fino a querela di falso. Il refuso contenuto in sentenza è, dunque, emendabile con il rimedio della correzione dell’errore materiale (cfr. Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262587-01; Sez. 2, n. 32991 del 24/06/2011, V., Rv. 251350-01; nonché le risalenti Sez. 2, n. 3266 del 21/11/1983, dep. 1984, COGNOME, Rv. 163611-01, e Sez. 6, n. 4684 del 10/03/1972, Chessa, Rv. 121470-01. Nella medesima ottica, Sez. 3, n. 3585 del 13/11/2018, dep. 2019, F., Rv. 275831-01, ha in modo condivisibile affermato
come anche l’errata indicazione delle conclusioni delle parti nell’intestazione della sentenza non comporti alcuna nullità del provvedimento).
Resta, invero, sempre attuale l’insegnamento per cui occorre distinguere tra sentenza-decisione e sentenza-documento: quest’ultima compendia i requisiti di documentazione della decisione e cioè contiene la intestazione, le generalità dell’imputato, l’oggetto della imputazione e la esposizione del fatto, i motivi della decisione e dei titoli di reato, e riferisce, infine, il dispositivo letto in ud (Sez. 6, n. 398 del 12/06/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 18621501).
Per altro, il ricorrente non deduce nulla in merito a un’ipotetica effettiva diversa composizione della Corte di appello o all’estraneità alla decisione del magistrato sottoscrittore, non articolando formali doglianze in ordine alla falsità del suddetto verbale (Sez. 5, n. 29655 del 19/05/2023, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284848-01).
Peraltro, dall’indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nominativo di un magistrato diverso da quelli che hanno deliberato, quale mero errore materiale, non deriva alcuna nullità, ove la sentenza sia sottoscritta dai componenti del collegio giudicante correttamente indicati nel verbale di udienza (Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283964-01). Nel caso di specie, la sottoscrizione è stata apposta dal presidente e dall’estensore, entrambi presenti sia nel verbale di udienza che nella intestazione della sentenza.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Quanto al secondo motivo del ricorso Geremia e al primo motivo dei ricorsi Ventimiglia e COGNOME, la Corte di appello individua nell’allarme dell’autovettura l’evento che interruppe l’azione dei concorrenti, costituendo lo stesso un evento esterno non prevedibile: gli imputati avevano già forzato la serratura dello sportello lato guida cosicché, data l’ora (17.15) e la collocazione del veicolo sulla pubblica via, l’allarme costituiva una ragione che costringeva gli autori del reato ad allontanarsi per evitare di essere scoperti, aggiungendo che la « presenza delle forze dell’ordine» abbia indotto gli imputati a fuggire.
3.1 Quanto a tale ultimo argomento della motivazione, chiarisce come il fatto accertato sia conforme alla contestazione: sul punto la doglianza difensiva della difformità fra fatto ritenuto e imputazione non deduce in modo specifico il travisamento sulla risultanza probatoria richiamata, che dunque resta attaccata in modo non consentito, richiedendosi a questa Corte una rivalutazione in fatto con ricostruzione alternativa che non ha ingresso nella fase di legittimità.
Quanto al diniego della desistenza, la motivazione impugnata risulta congrua e corretta, in quanto rispondente ai principi per cui in tema di desistenza, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarietà che non
deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico Rv. 272535 – 01; conf.: Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep. 24/04/2019, T., Rv. 275647 – 01; N. 41484 del 2009 Rv. 245233 – 01, N. 7036 del 2014 Rv. 258791 – 01). La Corte di appello fa buon governo dei consolidati principi in materia evidenziando come, avendo gli imputati forzato la serratura dell’autovettura, aperto lo sportello lato guida, sia per l’ora pomeridiana che per l’ubicazione sulla pubblica via, l’attivarsi dell’antifurto sonoro costituisca un evento esterno che abbia indotto gli imputati a interrompere l’azione per non essere scoperti, nell’ambito di una scelta non volontaria ma necessitata dalla valutazione del rischio di essere tratti in scoperti.
D’altro canto, la ratio della previsione normativa dell’art. 56, comma 3, cod. pen. è stata individuata in giurisprudenza nella considerazione utilitaristica di politica criminale secondo cui è opportuno mandare impunito il colpevole di un reato tentato per incentivare l’abbandono di iniziative criminose, ovvero, nell’ambito della prevenzione speciale, sulla considerazione che l’agente, il quale volontariamente desiste, dimostra di possedere una ridotta volontà criminale. Di conseguenza, pur se non è necessario che si identifichi con la spontaneità, la desistenza deve essere deliberata in una situazione di libertà interiore indipendente da fattori esterni che influiscano sulla volontà dell’agente menomandone la libera determinazione (Sez. 1, n. 5037 del 08/04/1997, COGNOME, Rv. 207647 – 01). Altrettanto pacifico è il principio per cui i motivi della scelta di desistenza possano essere di qualsiasi natura ed anche pratici, non essendo richiesto un ‘pentimento’ ideologici o autentico, purché la scelta sia libera e la prevalenza dei motivi di desistenza prevalgono su quelli di persistenza nell’iter criminoso a cagione di fattori esterni che coartino la volontà del reo, la quale GLYPH in GLYPH tal GLYPH modo GLYPH è viziata GLYPH nella sua GLYPH formazione GLYPH (Sez. GLYPH 1, GLYPH n. GLYPH 8864 GLYPH del 21/03/1989, Agostani, Rv. 181644 -GLYPH 01) GLYPH Anche GLYPH Sez. GLYPH 1, GLYPH n. GLYPH 11865 GLYPH del 26/02/2009, Fondino, Rv. 243923 -GLYPH 01 GLYPH ha GLYPH affermato che GLYPH l’esimente GLYPH della desistenza GLYPH volontaria nel tentativo non GLYPH richiede GLYPH un’autentica GLYPH resipiscenza, potendo essere giustificata da motivi di qualsiasi natura, anche utilitaristici, ma necessita di una deliberazione assunta in piena libertà, indipendentemente da fattori esterni suscettibili di influire sulla determinazione dell’agente.
In dottrina si individua la necessità di una scelta volontaria nella ratio della desistenza, per un verso indicata nella ricompensa ratio premiale – offerta all’agente in considerazione di una condotta che torna liberamente al diritto,
come anche nella difesa assicurata, grazie al ‘premio’, alla vittima del reato in extremis.
3.2 I motivi dei ricorsi sul punto sono pertanto infondati e va affermato il principio per cui in tema di desistenza nei reati a forma libera, la ratio premiale dell’art. 56, comma 3, cod. pen. richiede che la mancata consumazione del delitto sia volontaria, in quanto frutto di una libera scelta, non necessariamente spontanea o di autentico pentimento, purchè non determinata da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa.
Quanto al secondo motivo del ricorso Ventimiglia e COGNOME, al par. 4.3 della sentenza impugnata la Corte di appello offre una articolata e congrua motivazione, con la quale i motivi di ricorso non si confrontano, cosicché le doglianze sono del tutto aspecifiche.
In relazione ai terzi motivi dei ricorsi COGNOME e COGNOME che denunciano l’intervenuta improcedibilità prima della sentenza di appello, occorre evidenziare che la sentenza di primo grado è stata emessa il 20 giugno 2022 con motivazione contestuale.
Da tale data decorrono i novanta giorni conseguenti al deposito, ai quali aggiungere non i due anni, come prospettato dalla difesa, bensì tre anni, in quanto l’appello per Ventimiglia e COGNOME veniva depositato il 5 luglio 2022 e per Geremia il 1 luglio 2022.
Difatti, trova applicazione la norma transitoria del comma 5 dell’art. 2 della legge 134 del 2021, che prevede che «Nei procedimenti di cui al comma 3» quelli di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dai 10 gennaio 2020, come è nel caso in esame – «nei quali l’impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell’articolo 344-bis del codice di procedura penale sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione. Gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».
Pertanto, il termine di improcedibilità in appello, essendo gli atti di appello anteriori al 31 dicembre 2014, andava a scadere il 18 settembre 2025. Il termine non è, quindi, scaduto e i motivi sono manifestamente infondati.
Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna al pagamento delle spese processuali dei ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/02/2025