Desistenza Volontaria: Fuga per Paura non è Scelta Libera
L’istituto della desistenza volontaria rappresenta una ‘via d’uscita’ che l’ordinamento offre a chi, dopo aver iniziato un’azione criminale, decide di fare un passo indietro. Tuttavia, questa decisione deve essere genuina e libera, non dettata da circostanze esterne. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio fondamentale, analizzando un caso di tentato furto interrotto dall’arrivo di terze persone.
Il Caso in Esame: Tentato Furto e Interruzione Forzata
I fatti riguardano un individuo condannato in primo e secondo grado per furto aggravato in abitazione. L’imputato aveva forzato la porta d’ingresso di un appartamento ed era entrato, ma la sua azione si era interrotta bruscamente. Il motivo? L’improvviso sopraggiungere di altre persone lo aveva costretto ad allontanarsi precipitosamente per non essere scoperto. L’uomo ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il suo allontanamento dovesse essere qualificato come desistenza volontaria, un’azione che avrebbe escluso la punibilità per il delitto tentato.
L’Applicazione della Desistenza Volontaria Secondo la Giurisprudenza
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, aderendo a un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il punto cruciale della decisione risiede nella natura della scelta di interrompere il crimine. Per poter parlare di desistenza volontaria, è indispensabile che la decisione di fermarsi sia frutto di una libera scelta dell’agente. In altre parole, l’individuo deve avere ancora la possibilità di continuare l’azione criminale, ma sceglie autonomamente di non farlo.
La Differenza tra Scelta e Necessità
La motivazione della Corte territoriale, confermata dalla Cassazione, sottolinea proprio questa distinzione. L’allontanamento dell’imputato non è derivato da un ripensamento interiore o da una crisi di coscienza, ma è stato causato da un fattore esterno e imprevedibile: l’arrivo di terzi. Questa circostanza ha trasformato la possibilità di essere scoperto in una quasi certezza, rendendo la fuga l’unica opzione razionale per evitare l’arresto. La scelta, quindi, non era più libera, ma necessitata dalla situazione.
Le motivazioni
La Corte Suprema ha ribadito che la desistenza, così come il recesso attivo, deve scaturire da un processo decisionale autonomo, non influenzato in modo determinante da fattori esterni che rendono la prosecuzione del reato rischiosa o impossibile. Citando precedenti sentenze, i giudici hanno affermato che la scelta di interrompere l’azione non può essere ‘riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni’. Nel caso di specie, la presenza di altre persone ha agito come una forza esterna che ha costretto l’imputato a desistere. La sua non era una scelta, ma una reazione obbligata a un evento sfavorevole. Di conseguenza, l’azione non poteva qualificarsi come desistenza volontaria e il reato rimaneva punibile nella forma del tentativo.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un principio cardine del diritto penale: per beneficiare di un trattamento sanzionatorio più mite, come quello previsto per la desistenza, non è sufficiente interrompere l’azione criminale. È necessario che tale interruzione sia il risultato di una volontà spontanea e non di un calcolo di convenienza dettato da un rischio esterno imminente. La fuga per paura di essere scoperti non equivale a un pentimento o a una libera scelta di abbandonare il proposito criminale, ma a una semplice reazione difensiva. Per questo motivo, il ricorso è stato respinto e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
 
Quando un’interruzione dell’azione criminosa può essere considerata desistenza volontaria?
Quando è il frutto di una scelta volontaria e spontanea dell’agente, non riconducibile a cause indipendenti dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni che rendono rischiosa la prosecuzione del reato.
L’arrivo di terze persone durante un furto può giustificare la desistenza volontaria se il ladro fugge?
No. Secondo la Corte, la decisione di interrompere l’azione è in questo caso causata dal sopraggiungere di terzi, un fattore esterno che obbliga alla fuga, e non deriva da una decisione spontanea dell’imputato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se non vi sono ipotesi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35382 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 35382  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/05/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Il ricorrente in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sent Corte d’appello di Reggio Calabria dell’8 maggio 2025 che ha confermato la sen di primo grado di condanna per il delitto di furto aggravato in abitazione. C motivo di ricorso lamenta violazione di legge per insussistenza del reato i l’azione si era interrotta per desistenza volontaria dell’agente.
 Il ricorso è inammissibile.
Applicando principi giurisprudenziali consolidati, la motivazione della Corte t sottolinea infatti che il ricorrente, dopo aver forzato la porta di ingre entrato nell’abitazione, se ne era allontanato a causa del sopraggiunge persone. In tema di desistenza dal delitto e di recesso attivo, la rispettivamente, di interrompere l’azione criminosa o di porre in essere un condotta finalizzata a scongiurare l’evento deve essere il frutto di una scelt dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua v necessitata da fattori esterni (Sez. 3 – , n. 17518 del 28/11/2018, Rv. 2 Sez. 2- n. 3793 del 11/09/2019, GLYPH Rv. 277969 GLYPH – GLYPH —01; Sez. 1 – , n. 13104 del 13/12/2024, Rv. 287875 – 01). La Corte dà dunque a la decisione di interrompere l’azione, causata dal sopraggiungere di terzi i era riconducibile ad una spontanea decisione dell’imputato.
 Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento de processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma al delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc
P.Q.M.
Dichiara inammissibile li ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese p e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 30 settembre 2025
Il Consigliere estensore
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