Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5521 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5521 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Parma il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Portoferraio il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 22/05/2024 del Tribunale di Livorno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza del 22 maggio 2024, il Tribunale di Livorno ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo, impeditivo e a fini di confisca, di un’area di discarica dove erano stati abusivamente stoccati dei rifiuti. Secondo l’ipotesi accusatoria, gli indagati, rispettivamente legale
rappresentante e dirigente delegato alla sicurezza e ambiente di una società, avevano realizzato una discarica non autorizzata, attraverso il progressivo accumulo di materiali costituenti rifiuto: 550 m 3 di rifiuti tossici e nocivi all’interno del capannone; 117 m3 di rifiuti inerti, rifiuti ferrosi e sedimenti urbani in una part dell’area esterna; 96 m 3 di fanghi e detriti in altra porzione della zona scoperta.
2. Avverso l’ordinanza, gli indagati, tramite difensore e con unico atto, hanno proposto ricorsi per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l’erronea interpretazione della nozione di deposito temporaneo e l’assenza del fumus del reato di discarica, trattandosi di uno stoccaggio nel luogo di produzione entro i tempi massimi consentiti, mentre la polizia giudiziaria avrebbe dovuto dimostrare che l’accumulo durava da più di tre mesi. Sarebbe irrilevante l’incompletezza della produzione documentale da parte degli indagati, mentre si sarebbe dovuto considerare che i sedimenti marini erano stati poi conferiti ad impianto di recupero autorizzato e ricomprati dalla società quali materiali da riempimento, per la realizzazione di un piazzale. Dalle analisi dell’APAT risulterebbe che vi erano boiacca, ovvero un rifiuto non pericoloso, e sedimenti marini, mentre nulla si sarebbe accertato circa i rifiuti qualificati come pericolosi la cui valutazione sarebbe stata solo quella visiva, non ammessa dalla normativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono inammissibili.
Essi si risolvono in una sostanziale critica alla motivazione del provvedimento impugnato, preclusa in questa sede dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Infatti, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi di tale disposizione, soltanto per violazione di legge e che in tale nozione vengono compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692).
Anche a prescindere da tale considerazione, l’assoluta genericità della prospettazione difensiva – la quale fa riferimento solo nell’intestazione -ad una non meglio precisata violazione di legge, senza la citazione di norme e orientamenti giurisprudenziali pertinenti, invocando l’applicabilità del regime del deposito temporaneo – non consente alcun esame critico della tenuta logica del provvedimento, risolvendosi in una rivalutazione arbitraria e parziale del materiale
istruttorio, tesa a dimostrare che alcune delle sostanze ritrovate sul posto non potevano essere qualificate come rifiuti, che altre non potevano essere considerati come rifiuti pericolosi e che, in ogni caso, si sarebbe trattato di un deposito temporaneo consentito.
Trattasi di affermazioni meramente arbitrarie, sfornite di prova, del tutto sganciate da riferimenti critici agli atti di causa, che non vengono richiamati nei loro aspetti rilevanti. La difesa non riesce, in particolare, a contrastare l argomentazioni del provvedimento applicativo e dell’ordinanza impugnata, secondo cui si trattava dello stoccaggio di quantitativi di rifiuti ampiamente superiori a quelli consentiti, ubicati in plurime aree dell’impianto, caratterizza dall’essere di tipologie diverse e di non chiara classificazioni, lasciati alla rinfus Parimenti generici risultano gli assunti difensivi circa la natura dei rifiuti liq presenti nella vasca, sia sotto il piano qualitativo sia sotto quello quantitativo. È anzi, controproducente la prospettazione difensiva secondo cui i rifiuti costituiti da sedimenti marini erano stati avviati al recupero e poi riportati nell’impianto per i loro impiego, perché conferma la natura di rifiuti di tali sedimenti depositati nelle vasche e successivamente recuperati; e ciò a prescindere dal fatto che la difesa non chiarisce in che cosa sia consistita la pretesa attività di recupero compiuta medio tempore.
Ma la prospettazione difensiva è anche manifestamente infondata in punto di diritto. Deve infatti ricordarsi che, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della p relativa alle condizioni di liceità dell’attività incombe su chi ne invoca sussistenza, venendo in rilevo l’applicazione di norme che derogano al normale regime autorizzatorio previsto in materia (ex plurimis, Sez. 3, n. 11167 del 14/12/2023, dep. 18/03/2024, Rv. 286043 – 02). Più in particolare, l’onere della prova della sussistenza delle condizioni di liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, fissate dall’art. 183 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria di tale deposito rispetto alla disciplina ordinaria (ex plurimis, Sez. 3, n. 35494 del 10/05/2016, Rv. 267636 – 01).
Deve dunque rilevarsi come non spetti all’organo accertatore ricostruire in sede ispettiva il tempo pregresso di giacenza dei rifiuti, né disaggregare le varie tipologie degli stessi, soprattutto se – come nel caso di specie – si tratta d accumuli disordinati ed eterogenei, riconducibili a diversi codici identificativi, i mancanza di idonea documentazione del produttore. Più specificamente: quanto al requisito quantitativo, non è sufficiente allegare parti di un registro di carico scarico, perché lo stesso non documenta in modo puntuale la quantità di rifiuti presenti sul luogo di produzione; quanto al requisito temporale, lo stesso deve essere rigorosamente dimostrato dal produttore, trattandosi di condizione per
l’applicazione di una disciplina derogatoria rispetto alla disciplina generale dell’illiceità dell’accumulo; quanto alla rilevazione, la stessa deve essere resa possibile dall’identificazione di aree idonee di confinamento e deposito calibrate per i quantitativi stoccabili del rifiuto, senza che possa essere richiesta all’autori ispettiva l’analisi di materiali disposti alla rinfusa.
I ricorsi, per tali motivi, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativarnente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/11/2024