Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5478 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5478 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Lecce il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/2/2023 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/2/2023, la Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia emessa il 4/2/2020 dal locale Tribunale, concedeva a NOME COGNOME la sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, confermando nel resto la condanna alla pena di sette mesi di arresto e 4.000 euro di ammenda con riguardo ai reati di cui agli
artt. 81 cpv. cod. pen., 256, commi 1, lett. a) e b), 2 e 4, d. Igs. 3 aprile 2006, 152, 6, comma 2, 13, comma 1, d. Igs. 24 giugno 2003, n. 209.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo – la violazione e l’erronea applicazione delle fattispecie in rapporto agli artt. 1 ss. cod. pen., con vizio di motivazione. Premesso che la contestazione riguarderebbe l’abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti, con inosservanza di quanto contenuto o richiamato nelle autorizzazioni, si lamenta che la sentenza non avrebbe dichiarato prescritte le condotte relative ai veicoli – rinvenuti nell’area risalenti a un periodo compreso tra il 2001 ed il 2019. Al riguardo, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, si sostiene che la prescrizione non sarebbe stata dichiarata, quanto a veicoli giacenti persino da 15-17 anni, con apodittica presunzione che gli stessi fossero stati abbandonati in maniera prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero, invero non riscontrata e, anzi, antitetica rispetto alle più comuni regole di logica ed esperienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
La sentenza di appello – al pari, peraltro, dell’impugnazione – ha richiamato il costante e condiviso indirizzo di legittimità in forza del quale il reato di depos incontrollato di rifiuti di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, avere natura permanente, nel caso in cui l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento dei rifiuti, caratterizzandosi invece come reato di natura istantanea, con effetti eventualmente permanenti, nel caso in cui l’anzidetta attività si connoti per una volontà esclusivamente dismissiva del rifiuto, che esaurisce l’intero disvalore della condotta (Sez. 3, n. 8088 del 13/1/2022, COGNOME, Rv. 282916. Tra le non massimate, Sez. 3, n. 37114 del 14/6/2023, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 3, n. 36003 del 12/7/2023, COGNOME). Negli stessi termini, questa Corte ha ripetutamente affermato che le condotte illecite in tema di rifiuti, compreso il reato di deposito incontrollato non connotato da una volontà esclusivamente dismissiva che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell’abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento, hanno natura permanente quando l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento delle cose abbandonate, sicché, in tal caso, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella del rilascio (tra le molte, Sez. 3, n. 37114 14/6/2023, RAGIONE_SOCIALE; Sez. 3, n. 36003 del 12/7/2023, COGNOME, non massimate).
4.1. Tanto premesso, la Corte di appello ha ritenuto che le condotte contestate al COGNOME rientrassero proprio in quest’ultima ipotesi, di fatto valorizzando con argomento solido e privo di illogicità manifesta – che il ricorrente svolgeva professionalmente un’attività di officina meccanica, noleggio e commercio all’ingrosso e al minuto di autoveicoli, nonché di autodemolizione, soccorso stradale e depositeria giudiziaria, e che i rifiuti rinvenuti (veicoli a motore g rottamati, non marcianti e in disuso, privi di componenti e carrozzeria) risultavano evidentemente strumentali all’attività stessa. In contrasto con quanto sostenuto nel ricorso, dunque, la Corte di appello non ha compiuto un mero giudizio soggettivo, quanto piuttosto un’adeguata valutazione in fatto, non sindacabile, fondata su elementi concretamente riscontrati.
4.2. Più in particolare, la sentenza ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini dell’individuazione del reato in esame, costituisce attendibile indice differenziale l’occasionalità o meno del fatto di abbandono e deposito del rifiuto, laddove la sistematica pluralità di azioni, fra loro di identico o comunque analogo contenuto, farà propendere per una forma di organizzazione della condotta, sintomo attendibile di una volontà gestoria e non esclusivamente dismissiva del rifiuto; mentre l’episodicità di esse, ancorché non rigorosamente intesa nel senso dell’assoluta unicità della condotta, dovrebbe indirizzare il giudizio sulla istantaneità della natura del reato posto in essere. Altri indici rivelatori del finalità gestoria potranno essere la pertinenza, o meno, del rifiuto oggetto di rilascio, all’eventuale circuito produttivo riferibile all’agente, ove questi svol attività imprenditoriale; oppure la reiterata adibizione di un unico sito eventualmente anche promiscuamente utilizzato al medesimo fine pure da altri soggetti, quale punto di rilascio dei rifiuti (Sez. 3, n. 8088 del 2022, cit.).
4.3. Ebbene, proprio questi ultimi due indici sono stati riscontrati nel caso di specie, con accertamento in fatto che il ricorso non contesta.
La Corte di appello, dunque, ha correttamente affermato la natura di durata dell’art. 256, d. Igs. n. 152 del 2006 in rubrica, così riscontrando il mancato decorso del termine di prescrizione alla data della sentenza di secondo grado.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2024
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