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Depistaggio e falso: no al ricorso del comandante

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un ufficiale dei Carabinieri, confermando la misura della sospensione dal servizio. L’ufficiale era accusato di falso ideologico e depistaggio per aver omesso, in atti ufficiali, il coinvolgimento di un altro carabiniere in un reato. La Corte ha ritenuto solido il quadro indiziario basato su intercettazioni e testimonianze, sottolineando che la responsabilità personale non può essere esclusa invocando regolamenti interni o la potenziale corresponsabilità di un superiore.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Depistaggio e Falso Ideologico: La Cassazione Conferma la Sospensione di un Comandante

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso delicato di depistaggio e falso ideologico che coinvolge un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri. La pronuncia, respingendo il ricorso dell’indagato, conferma la misura della sospensione dal pubblico ufficio e ribadisce principi fondamentali sulla responsabilità penale individuale all’interno delle gerarchie, anche di quelle militari. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni della Corte.

I Fatti: Le Accuse di Falso e Depistaggio

Il caso riguarda un comandante del Nucleo Operativo e Radiomobile dei Carabinieri, accusato di aver commesso, in concorso con i suoi sottoposti, i reati di falso ideologico e depistaggio. Nello specifico, l’ufficiale avrebbe redatto un’annotazione di servizio e un verbale di spontanee dichiarazioni omettendo deliberatamente di menzionare il coinvolgimento di un altro carabiniere nella simulazione di un reato. Successivamente, avrebbe redatto una relazione di servizio ideologicamente falsa destinata all’autorità giudiziaria.

Secondo l’accusa, queste condotte erano finalizzate a impedire, ostacolare e sviare le indagini. Per questi fatti, il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della sospensione dal pubblico ufficio per otto mesi, decisione poi confermata dal Tribunale del riesame.

Le Argomentazioni Difensive nel Ricorso

La difesa dell’ufficiale ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Mancanza di gravità indiziaria: Secondo la difesa, le prove raccolte (intercettazioni, dichiarazioni dei co-indagati e di un superiore) sarebbero state valutate in modo errato e non sarebbero state sufficienti a sostenere l’accusa. In particolare, si contestava il valore probatorio di una conversazione intercettata e l’attendibilità delle dichiarazioni degli altri carabinieri coinvolti.
2. Violazione di legge: Si sosteneva che il regolamento interno dell’Arma imponesse al comandante solo un obbligo di segnalazione informale al proprio superiore, adempimento che era stato assolto. La responsabilità di ulteriori verifiche e rapporti formali sarebbe spettata, quindi, al superiore gerarchico, escludendo la rilevanza penale della condotta dell’indagato.
3. Vizio processuale: La difesa lamentava la mancata valutazione di documenti, come la disciplina normativa interna, che avrebbero supportato la tesi della correttezza del suo operato.

La Decisione della Corte: il Depistaggio e la Responsabilità Personale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati o inammissibili tutti i motivi proposti.

La Solidità del Quadro Indiziario

La Corte ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la logicità e la correttezza giuridica della motivazione del giudice di merito. In questo caso, il Tribunale del riesame aveva fornito una ricostruzione completa e solida del quadro indiziario. Le intercettazioni telefoniche indicavano chiaramente la consapevolezza del comandante del coinvolgimento del collega e la sua volontà di “risolvere il problema all’interno dell’Arma”, senza informare l’autorità giudiziaria. Queste prove erano corroborate dalle dichiarazioni di altri carabinieri, i quali avevano confermato di aver agito su indicazione del loro comandante.

L’Irrilevanza dei Regolamenti Interni ai Fini Penali

Particolarmente significativa è la risposta della Corte al secondo e terzo motivo di ricorso. I giudici hanno stabilito che l’eventuale omissione o concorso del superiore gerarchico non esclude in alcun modo la responsabilità penale del comandante. Quest’ultimo, infatti, è accusato di aver dato indicazioni illecite ai suoi sottoposti e di aver redatto personalmente una falsa annotazione di servizio indirizzata all’autorità giudiziaria. Si tratta di condotte penalmente rilevanti a titolo personale, che non possono essere giustificate o schermate da eventuali procedure interne o dalla condotta di altri.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del diritto penale: la responsabilità personale. I giudici hanno sottolineato che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del riesame, senza confrontarsi criticamente con la motivazione di quest’ultimo. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato che l’obbligo di lealtà verso l’istituzione non può mai tradursi in una copertura illecita a danno della giustizia. Il reato di depistaggio è posto a tutela del corretto funzionamento dell’attività giudiziaria e la condotta dell’ufficiale, dando istruzioni per omettere fatti cruciali e redigendo atti falsi, ha integrato pienamente la fattispecie criminosa contestata.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza che nessun regolamento interno o ordine gerarchico può giustificare la commissione di un reato. In particolare, quando un pubblico ufficiale, specialmente se appartenente alle forze dell’ordine, compie azioni volte a sviare le indagini, commette un grave illecito penale. La responsabilità di aver dato istruzioni per falsificare atti e di averli redatti personalmente ricade interamente su di lui, indipendentemente dal comportamento o dalle responsabilità di altri superiori. Un monito chiaro sull’importanza della legalità e della trasparenza nell’operato di chi è chiamato a servire lo Stato.

Un ufficiale può giustificare la falsificazione di un atto sostenendo di aver solo seguito le procedure interne informando un superiore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’eventuale adempimento di un obbligo di segnalazione interna a un superiore non esclude la responsabilità penale per aver dato istruzioni illecite ai propri sottoposti e per aver redatto una falsa annotazione di servizio destinata all’autorità giudiziaria.

Come valuta la Corte di Cassazione le prove come le intercettazioni in un ricorso per una misura cautelare?
La Corte di Cassazione non effettua una nuova valutazione del merito delle prove, ma si limita a verificare se la motivazione del giudice precedente (in questo caso, il Tribunale del riesame) sia logica, coerente e non viziata da errori di diritto. L’apprezzamento del contenuto delle intercettazioni è di competenza del giudice di merito e non è sindacabile in Cassazione se non è manifestamente illogico.

Perché alcuni motivi del ricorso dell’ufficiale sono stati considerati inammissibili?
Perché erano una mera riproposizione di argomenti già presentati e motivatamente respinti dal Tribunale del riesame. In sede di legittimità, non è sufficiente ripetere le stesse doglianze, ma è necessario confrontarsi specificamente con le ragioni esposte nella decisione impugnata, cosa che la difesa non aveva fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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