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Depistaggio: annullata la misura cautelare

Un ex ufficiale dei Carabinieri era stato posto agli arresti domiciliari per il reato di depistaggio, accusato di aver fornito false dichiarazioni in un’indagine su stragi di mafia. La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza, riscontrando una grave carenza di motivazione sia sull’intenzione di sviare le indagini (elemento soggettivo del reato di depistaggio) sia sulla concreta esistenza di attuali esigenze cautelari, come il pericolo di reiterazione del reato o di inquinamento probatorio.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Depistaggio: quando la misura cautelare viene annullata

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7300/2024) offre importanti chiarimenti sul grave reato di depistaggio e sui rigorosi presupposti necessari per l’applicazione di misure cautelari come gli arresti domiciliari. La Corte ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un ex ufficiale dei Carabinieri, evidenziando la carenza di prove sull’intenzione di sviare le indagini e sull’esistenza di un pericolo concreto e attuale.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un ex appartenente all’Arma dei Carabinieri, indagato per i reati di depistaggio (art. 375 c.p.) e calunnia (art. 368 c.p.). L’accusa si basava su dichiarazioni che l’uomo avrebbe reso nel corso di complesse indagini relative alle stragi di mafia del 1992. Nello specifico, egli sosteneva di aver ricevuto, prima degli attentati, informazioni cruciali da un confidente riguardo al ruolo di autista del boss mafioso e a movimenti sospetti che preannunciavano un grave delitto.

Queste informazioni, secondo l’accusa, erano false e finalizzate a sviare le indagini in corso. Il Tribunale del riesame, accogliendo l’appello della Procura, aveva applicato all’indagato la misura degli arresti domiciliari. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando tre vizi principali: l’inutilizzabilità delle dichiarazioni, la mancanza di prova sull’intenzione di depistare e l’insussistenza delle esigenze cautelari.

L’Analisi della Cassazione sul Depistaggio e le sue prove

La Corte di Cassazione ha esaminato attentamente i motivi del ricorso, giungendo a conclusioni di grande rilevanza giuridica.

1. Utilizzabilità delle dichiarazioni: La difesa sosteneva che le dichiarazioni fossero inutilizzabili perché, già al momento dell’interrogatorio, esistevano indizi di reità a carico del dichiarante, che avrebbe dovuto essere assistito da un difensore. La Corte ha rigettato questa tesi, chiarendo un principio fondamentale: le garanzie previste per l’indagato non si applicano quando le dichiarazioni non sono una confessione di un reato già commesso, ma costituiscono esse stesse il corpo del reato. In altre parole, il reato di depistaggio si consuma proprio nel momento in cui vengono rese le false dichiarazioni. Non si può invocare il diritto a non auto-accusarsi per un reato che si sta commettendo in quel preciso istante.

2. L’elemento soggettivo del depistaggio: Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo di ricorso. Per configurare il reato di depistaggio, non è sufficiente accertare che le informazioni fornite siano false (elemento oggettivo). È indispensabile dimostrare l’elemento soggettivo, ovvero il ‘dolo specifico’: la volontà cosciente e la finalità precisa di impedire, ostacolare o sviare l’indagine. La Corte ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del riesame fosse gravemente carente su questo punto. Il semplice fatto di insistere in una versione dei fatti, anche se mendace, non prova automaticamente l’intenzione di inquinare l’attività investigativa. Mancava, nell’ordinanza impugnata, un’analisi concreta delle ragioni per cui l’indagato avrebbe voluto sviare proprio quella specifica indagine.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione di annullamento, in via definitiva e senza rinvio, principalmente sul terzo motivo di ricorso, relativo all’insussistenza delle esigenze cautelari.

Il Tribunale del riesame aveva giustificato gli arresti domiciliari sulla base del pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio. Tuttavia, la Cassazione ha smontato questa argomentazione, definendola assertiva e priva di fondamento concreto.

Per quanto riguarda il rischio di reiterazione, la Corte ha osservato che l’indagato, una volta formalmente indagato, ha il diritto di non rispondere, rendendo impossibile la commissione di un analogo reato di depistaggio tramite dichiarazioni. Non è stato dimostrato un pericolo attuale e concreto che potesse commettere altri delitti della stessa indole.

In merito al pericolo di inquinamento probatorio, il Tribunale aveva valorizzato alcune conversazioni dell’indagato con ex colleghi. La Cassazione ha ritenuto che il semplice confronto su fatti risalenti a trent’anni prima, in assenza di prove di pressioni o minacce, rientri nella normale dialettica e non costituisca un tentativo di inquinare le prove. La motivazione mancava di indicare quali specifiche ed inderogabili esigenze investigative fossero minacciate.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce due principi cardine del nostro sistema processuale penale. In primo luogo, l’accusa di depistaggio richiede una prova rigorosa non solo della falsità delle dichiarazioni, ma anche e soprattutto della specifica intenzione di ingannare gli investigatori. In secondo luogo, le misure cautelari che limitano la libertà personale possono essere applicate solo in presenza di esigenze concrete, attuali e specificamente motivate, non sulla base di mere supposizioni o di una generica valutazione della personalità dell’indagato. L’annullamento senza rinvio dell’ordinanza cautelare sottolinea come, in assenza di questi solidi presupposti, la restrizione della libertà personale sia illegittima.

Quando le dichiarazioni false rese a un magistrato diventano inutilizzabili?
Secondo la sentenza, le dichiarazioni non sono inutilizzabili se costituiscono esse stesse il reato (come nel depistaggio). Le garanzie per l’indagato si attivano quando emergono indizi di colpevolezza per un reato commesso in precedenza, non per quello che si sta realizzando con la dichiarazione stessa.

Cosa è necessario per provare il reato di depistaggio?
Non basta dimostrare che le dichiarazioni sono false. L’accusa deve provare l’elemento soggettivo, cioè il ‘dolo specifico’: la volontà mirata e consapevole del dichiarante di impedire, ostacolare o sviare una determinata indagine penale.

Perché la misura degli arresti domiciliari è stata annullata in questo caso di depistaggio?
La Corte di Cassazione ha annullato la misura perché ha ritenuto la motivazione del giudice del tutto insufficiente riguardo alle esigenze cautelari. Non è stato dimostrato un pericolo concreto e attuale né di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove, requisiti indispensabili per giustificare una restrizione della libertà personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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