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Depenalizzazione danneggiamento: motivazione apparente

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava la revoca di una condanna per danneggiamento a seguito della sua parziale depenalizzazione. La Corte ha stabilito che la motivazione del giudice di merito era meramente apparente, in quanto non aveva analizzato in concreto i fatti per verificare se rientrassero ancora nell’ipotesi di reato, come richiesto dalla nuova normativa sulla depenalizzazione danneggiamento. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Depenalizzazione Danneggiamento: La Cassazione Annulla per Motivazione Apparente

Con la sentenza n. 6231 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale legato agli effetti della depenalizzazione danneggiamento, introdotta dal D.Lgs. n. 7 del 2016. Questa pronuncia sottolinea un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’obbligo per il giudice di fornire una motivazione concreta e non meramente assertiva, specialmente quando si tratta di decidere sulla libertà e sullo status giuridico di una persona. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti di Causa: La Richiesta di Revoca delle Condanne

Il caso nasce dal ricorso di un cittadino che, a seguito della parziale depenalizzazione del reato di danneggiamento, aveva chiesto al Tribunale, in qualità di Giudice dell’esecuzione, di revocare alcune sue precedenti condanne irrevocabili. La tesi difensiva era semplice: i reati per cui era stato condannato rientravano nella fattispecie di danneggiamento “semplice”, quella che il legislatore del 2016 ha trasformato da illecito penale a illecito civile. Di conseguenza, secondo il ricorrente, quelle sentenze avrebbero dovuto essere revocate per abolitio criminis.

La Decisione del Tribunale e le Lacune Motivazionali

Il Tribunale di Macerata, tuttavia, aveva respinto l’istanza. Secondo il giudice dell’esecuzione, i fatti contestati non rientravano nell’ambito della depenalizzazione. La motivazione addotta era estremamente sintetica e generica: si affermava che si trattava di fattispecie delittuose aventi ad oggetto “edifici pubblici ovvero beni esposti per necessità o consuetudine alla pubblica fede”. Queste categorie, infatti, sono escluse dalla depenalizzazione e continuano a costituire reato ai sensi del nuovo articolo 635 del codice penale. Il problema, sollevato dal ricorrente e accolto dalla Cassazione, è che il Tribunale non aveva specificato quali fossero i beni danneggiati né aveva fatto riferimento ai procedimenti penali originari per giustificare tale conclusione.

La Sentenza della Cassazione e l’Analisi sulla Depenalizzazione Danneggiamento

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale e rinviando la questione per un nuovo giudizio. Il cuore della decisione risiede nel concetto di “motivazione apparente”.

L’Obbligo di un’Analisi Specifica e non Generica

Il Giudice dell’esecuzione, per valutare se applicare la depenalizzazione danneggiamento, deve compiere una verifica puntuale e analitica. Non può limitarsi a enunciazioni di principio o a formule generiche. Deve, al contrario, esaminare le sentenze di condanna originarie e individuare con precisione la natura dei beni danneggiati. Solo attraverso questa analisi concreta è possibile stabilire se la condotta rientri nell’ipotesi base depenalizzata o in una delle fattispecie aggravate che conservano rilevanza penale (ad esempio, il danneggiamento con violenza alla persona o su beni specifici come quelli pubblici).

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha evidenziato come il provvedimento impugnato fosse totalmente carente sotto questo profilo. Il Tribunale si era limitato a un’affermazione assertiva, senza fornire alcun elemento concreto a sostegno della sua tesi. Non era stato chiarito quali beni fossero stati oggetto del danneggiamento né perché dovessero essere qualificati come “pubblici” o “esposti alla pubblica fede”. Questa mancanza di un percorso argomentativo verificabile rende la motivazione, di fatto, inesistente. Citando un proprio precedente, la Corte ribadisce che una motivazione è “apparente” quando è “tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche”. In altre parole, quando il ragionamento del giudice è solo fittizio e non si ancora ai fatti del processo.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di garanzia fondamentale. Quando una legge interviene a depenalizzare un reato, il cittadino ha il diritto di ottenere una revisione delle proprie condanne passate. Il giudice incaricato di questa revisione non può negare tale diritto sulla base di affermazioni generiche. Deve, invece, condurre un’indagine scrupolosa e trasparente, spiegando nel dettaglio perché, nonostante la nuova legge, quella specifica condotta conserva ancora il suo carattere di reato. La decisione della Cassazione, annullando l’ordinanza e imponendo un nuovo giudizio, riafferma che la giustizia non può basarsi su formule di stile, ma richiede un’analisi approfondita e ancorata ai fatti concreti di ogni singolo caso.

Quando una motivazione di un provvedimento giudiziario è considerata “apparente”?
Secondo la Corte, una motivazione è apparente quando è basata su argomentazioni generiche, affermazioni assertive o proposizioni prive di efficacia dimostrativa, risultando così slegata dalle risultanze processuali e sostanzialmente inesistente.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione per decidere su una richiesta di revoca per la depenalizzazione del danneggiamento?
Deve compiere una verifica giurisdizionale analitica, enucleando le specifiche condotte di danneggiamento per cui è intervenuta la condanna. È indispensabile identificare la natura dei beni danneggiati per valutare se i comportamenti rientrino nell’ambito della depenalizzazione o se, invece, ricadano nelle ipotesi aggravate che sono rimaste reato.

Qual è l’effetto di una sentenza della Cassazione che annulla un’ordinanza per motivazione apparente?
L’ordinanza impugnata viene annullata e la questione viene rinviata al giudice che l’ha emessa per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione, fornendo quindi una motivazione completa e adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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