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Denuncia smarrimento assegni: quando è calunnia?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per calunnia. L’uomo aveva effettuato una falsa denuncia di smarrimento assegni dopo averli consegnati a un’altra persona per saldare un debito. La Corte ha confermato che tale condotta integra il reato di calunnia, poiché accusa implicitamente il possessore del titolo di furto o ricettazione. Sono stati respinti anche i motivi relativi alla prescrizione, calcolata in un termine più lungo a causa della recidiva reiterata e specifica dell’imputato.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Denuncia smarrimento assegni: quando diventa reato di calunnia?

La pratica di effettuare una denuncia smarrimento assegni dopo averli utilizzati per un pagamento è una questione delicata con importanti risvolti penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini tra una legittima denuncia e il grave reato di calunnia, previsto dall’art. 368 del codice penale. Questo provvedimento offre spunti cruciali per comprendere come la giustizia valuti la condotta di chi tenta di sottrarsi ai propri obblighi attraverso una falsa dichiarazione alle autorità.

Il caso esaminato riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per calunnia, per aver denunciato come smarriti alcuni assegni bancari che, in realtà, aveva consegnato a un’altra persona come pagamento. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi: l’avvenuta prescrizione del reato, l’errata valutazione della sua responsabilità penale e l’illegittimità del trattamento sanzionatorio.

I Fatti del Caso

I fatti risalgono al dicembre 2011, quando l’imputato, dopo aver consegnato degli assegni bancari per adempiere a un’obbligazione, ne denunciava falsamente lo smarrimento. Questa azione metteva di fatto il prenditore degli assegni nella posizione di potenziale indagato per reati come furto o ricettazione, essendo il negoziatore del titolo. La persona offesa ha dichiarato di aver ricevuto regolarmente i titoli in pagamento, versione ritenuta attendibile dai giudici di merito.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni suo punto, confermando la condanna. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive, chiarendo principi fondamentali in materia di calunnia, prescrizione e recidiva.

La questione della denuncia smarrimento assegni e la calunnia

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la falsa denuncia smarrimento assegni, presentata dopo averli volontariamente consegnati a terzi, integra pienamente il reato di calunnia. Sebbene la denuncia non contenga un’accusa diretta e nominativa, essa è idonea a innescare un procedimento penale a carico di una persona determinata o facilmente determinabile: il soggetto che presenterà l’assegno per l’incasso. L’elemento psicologico del dolo è stato confermato, poiché l’imputato era pienamente consapevole dell’innocenza dell’accusato, non potendo ragionevolmente dubitare della liceità della condotta del creditore.

Prescrizione e Recidiva: il calcolo del tempo

Uno dei motivi principali del ricorso riguardava la prescrizione. La difesa sosteneva che il reato fosse estinto per il decorso del tempo. La Cassazione ha respinto questa tesi, spiegando dettagliatamente il calcolo. Il termine ordinario di sei anni (art. 157 c.p.) è stato aumentato della metà, arrivando a nove anni, a causa della recidiva reiterata e specifica contestata all’imputato. A questo termine si è aggiunto un ulteriore incremento della metà per gli atti interruttivi (art. 161 c.p.), portando il tempo complessivo necessario a prescrivere a tredici anni e sei mesi. Tale termine non era ancora decorso né al momento della sentenza d’appello né al momento della decisione della Cassazione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica giuridica rigorosa. In primo luogo, i motivi del ricorso sono stati giudicati come una mera riproposizione di censure già adeguatamente respinte dalla Corte d’Appello, e quindi inammissibili. Nel merito, la Corte ha sottolineato che la valutazione delle prove, come la credibilità del testimone (la persona offesa), è prerogativa del giudice di merito e non può essere ridiscussa in sede di legittimità se la motivazione è, come in questo caso, logica e coerente. Sul piano giuridico, la qualificazione del fatto come calunnia è stata ritenuta corretta, in linea con la giurisprudenza costante. Infine, anche il trattamento sanzionatorio è stato confermato, evidenziando che la ‘pregnante pericolosità’ dell’imputato, desunta dai suoi precedenti penali, giustificava pienamente il riconoscimento della recidiva qualificata. Inoltre, la legge (art. 69, comma 4, c.p.) impedisce che le circostanze attenuanti generiche possano prevalere su tale tipo di recidiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito sulle conseguenze della falsa denuncia smarrimento assegni. La Corte di Cassazione conferma che non è necessario accusare esplicitamente qualcuno per commettere calunnia; è sufficiente creare le premesse, con una denuncia mendace, perché l’autorità giudiziaria possa avviare indagini contro una persona innocente. La decisione sottolinea inoltre la severità con cui l’ordinamento tratta la recidiva, specialmente quando qualificata, considerandola un indice di maggiore pericolosità sociale che incide sia sui termini di prescrizione sia sulla possibilità di bilanciare le circostanze del reato. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, vedendo così definitivamente chiusa la sua vicenda processuale.

Perché una falsa denuncia di smarrimento di un assegno è considerata calunnia?
Perché, anche senza accusare direttamente una persona, tale denuncia è idonea a far avviare un procedimento penale per furto o ricettazione a carico di chi presenterà l’assegno per l’incasso, persona che il denunciante sa essere innocente in quanto legittimo possessore del titolo.

Come incide la recidiva sul termine di prescrizione del reato?
La recidiva reiterata e specifica, come nel caso di specie, comporta un aumento della metà del tempo di prescrizione ordinario. Se intervengono anche atti interruttivi del processo, questo termine già aumentato subisce un ulteriore incremento, allungando significativamente il tempo necessario per l’estinzione del reato.

Le circostanze attenuanti generiche possono prevalere sulla recidiva qualificata?
No. Secondo l’art. 69, comma 4, del codice penale, è vietato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva qualificata (reiterata). Di conseguenza, la pena non può essere ridotta per effetto delle attenuanti in presenza di tale aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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