Denuncia smarrimento assegni: quando diventa reato di calunnia?
La pratica di effettuare una denuncia smarrimento assegni dopo averli utilizzati per un pagamento è una questione delicata con importanti risvolti penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini tra una legittima denuncia e il grave reato di calunnia, previsto dall’art. 368 del codice penale. Questo provvedimento offre spunti cruciali per comprendere come la giustizia valuti la condotta di chi tenta di sottrarsi ai propri obblighi attraverso una falsa dichiarazione alle autorità.
Il caso esaminato riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per calunnia, per aver denunciato come smarriti alcuni assegni bancari che, in realtà, aveva consegnato a un’altra persona come pagamento. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi: l’avvenuta prescrizione del reato, l’errata valutazione della sua responsabilità penale e l’illegittimità del trattamento sanzionatorio.
I Fatti del Caso
I fatti risalgono al dicembre 2011, quando l’imputato, dopo aver consegnato degli assegni bancari per adempiere a un’obbligazione, ne denunciava falsamente lo smarrimento. Questa azione metteva di fatto il prenditore degli assegni nella posizione di potenziale indagato per reati come furto o ricettazione, essendo il negoziatore del titolo. La persona offesa ha dichiarato di aver ricevuto regolarmente i titoli in pagamento, versione ritenuta attendibile dai giudici di merito.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni suo punto, confermando la condanna. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive, chiarendo principi fondamentali in materia di calunnia, prescrizione e recidiva.
La questione della denuncia smarrimento assegni e la calunnia
La Corte ha ribadito un principio consolidato: la falsa denuncia smarrimento assegni, presentata dopo averli volontariamente consegnati a terzi, integra pienamente il reato di calunnia. Sebbene la denuncia non contenga un’accusa diretta e nominativa, essa è idonea a innescare un procedimento penale a carico di una persona determinata o facilmente determinabile: il soggetto che presenterà l’assegno per l’incasso. L’elemento psicologico del dolo è stato confermato, poiché l’imputato era pienamente consapevole dell’innocenza dell’accusato, non potendo ragionevolmente dubitare della liceità della condotta del creditore.
Prescrizione e Recidiva: il calcolo del tempo
Uno dei motivi principali del ricorso riguardava la prescrizione. La difesa sosteneva che il reato fosse estinto per il decorso del tempo. La Cassazione ha respinto questa tesi, spiegando dettagliatamente il calcolo. Il termine ordinario di sei anni (art. 157 c.p.) è stato aumentato della metà, arrivando a nove anni, a causa della recidiva reiterata e specifica contestata all’imputato. A questo termine si è aggiunto un ulteriore incremento della metà per gli atti interruttivi (art. 161 c.p.), portando il tempo complessivo necessario a prescrivere a tredici anni e sei mesi. Tale termine non era ancora decorso né al momento della sentenza d’appello né al momento della decisione della Cassazione.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su una logica giuridica rigorosa. In primo luogo, i motivi del ricorso sono stati giudicati come una mera riproposizione di censure già adeguatamente respinte dalla Corte d’Appello, e quindi inammissibili. Nel merito, la Corte ha sottolineato che la valutazione delle prove, come la credibilità del testimone (la persona offesa), è prerogativa del giudice di merito e non può essere ridiscussa in sede di legittimità se la motivazione è, come in questo caso, logica e coerente. Sul piano giuridico, la qualificazione del fatto come calunnia è stata ritenuta corretta, in linea con la giurisprudenza costante. Infine, anche il trattamento sanzionatorio è stato confermato, evidenziando che la ‘pregnante pericolosità’ dell’imputato, desunta dai suoi precedenti penali, giustificava pienamente il riconoscimento della recidiva qualificata. Inoltre, la legge (art. 69, comma 4, c.p.) impedisce che le circostanze attenuanti generiche possano prevalere su tale tipo di recidiva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito sulle conseguenze della falsa denuncia smarrimento assegni. La Corte di Cassazione conferma che non è necessario accusare esplicitamente qualcuno per commettere calunnia; è sufficiente creare le premesse, con una denuncia mendace, perché l’autorità giudiziaria possa avviare indagini contro una persona innocente. La decisione sottolinea inoltre la severità con cui l’ordinamento tratta la recidiva, specialmente quando qualificata, considerandola un indice di maggiore pericolosità sociale che incide sia sui termini di prescrizione sia sulla possibilità di bilanciare le circostanze del reato. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, vedendo così definitivamente chiusa la sua vicenda processuale.
Perché una falsa denuncia di smarrimento di un assegno è considerata calunnia?
Perché, anche senza accusare direttamente una persona, tale denuncia è idonea a far avviare un procedimento penale per furto o ricettazione a carico di chi presenterà l’assegno per l’incasso, persona che il denunciante sa essere innocente in quanto legittimo possessore del titolo.
Come incide la recidiva sul termine di prescrizione del reato?
La recidiva reiterata e specifica, come nel caso di specie, comporta un aumento della metà del tempo di prescrizione ordinario. Se intervengono anche atti interruttivi del processo, questo termine già aumentato subisce un ulteriore incremento, allungando significativamente il tempo necessario per l’estinzione del reato.
Le circostanze attenuanti generiche possono prevalere sulla recidiva qualificata?
No. Secondo l’art. 69, comma 4, del codice penale, è vietato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva qualificata (reiterata). Di conseguenza, la pena non può essere ridotta per effetto delle attenuanti in presenza di tale aggravante.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8481 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8481 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 10/04/1965
avverso la sentenza del 23/04/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
esaminati i motivi del ricorso di COGNOME NOME e letta la memoria depositata dal difensore dell’imputato, nella quale si insiste per l’accoglimento del ricorso;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, afferenti alla condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 368 cod. pen., sono inammissibili in quanto reiterativi di analoghe censure formulate in appello, alle quali la sentenza impugnata ha fornito adeguata risposta, e comunque manifestamente infondati;
Considerato, invero, che il primo motivo, nel quale si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato prima della pronuncia della sentenza impugnata, risulta manifestamente infondato; invero i fatti contestati risalgono al dicembre del 2011 e a carico dell’imputato è stata ritenuta la recidiva reiterata e specifica: pertanto, l’ordinario tempo di prescrizione ex art. 157 cod. pen. (sei anni) deve esser aumentato della metà e al termine di nove anni, così determinato, deve aggiungersi, per gli atti interruttivi, un ulteriore incremento della metà ai sensi dell’art. 161 cod. pen., pervenendosi così al termine complessivo di tredici anni e sei mesi dalla data dei commessi reati, termine non decorso al momento della sentenza della Corte di appello e neppure alla data odierna;
Rilevato che inammissibile risulta anche il secondo motivo, relativo all’affermazione di penale responsabilità del ricorrente. Con motivazione non illogica, la Corte di appello ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dalla persona offesa COGNOME COGNOME che ha riferito di avere ricevuto in pagamento dall’imputato gli assegni poi denunciati smarriti da quest’ultimo; al riguardo le doglianze del ricorrente risultano aspecifiche e volte a introdurre una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in questa sede. Sotto il profilo della qualificazione giuridica – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente integra pienamente la fattispecie di calunnia la falsa denuncia di smarrimento di assegni bancari, presentata da un soggetto dopo averli
consegnati ad altra persona in adempimento di un’obbligazione, atteso che essa, sebbene non contenga un’accusa diretta concernente uno specifico reato, è idonea a determinare ragionevolmente l’apertura di un procedimento penale, per un fatto procedibile d’ufficio – il delitto di furto o ricettazione carico di persona determinata, ossia il negoziatore del titolo (Sez. 6, n. 7573 del 27/01/2023. COGNOME, Rv. 284241 – 01). In riferimento all’elemento psicologico del reato, è poi pacifico che in tema di calunnia la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato, presupposto del dolo, è esclusa solo qualora la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020, Abbondanza, Rv. 278753 – 01); situazione, questa, che la Corte territoriale con motivazione del tutto congrua (basata sia sul valore assai rilevante dei titoli che sulle modalità dell’avvenuta consegna degli stessi e dei pregressi rapporti tra le parti) ha escluso;
Ritenuto infine che inammissibile risulta anche il terzo motivo, avente a oggetto la dedotta illegittimità del trattamento sanzionatorio; la statuizione in ordine alla ritenuta recidiva qualificata è stata confermata in ragione della “pregnante pericolosità dell’imputato” già ritenuta dal Tribunale, alla luce dei considerevoli precedenti penali a carico e, in particolare, per la condanna per il delitto di favoreggiamento personale aggravato, divenuta irrevocabile circa cinque anni prima la commissione dei reati per cui è processo; elementi dai quali – secondo la congrua argomentazione dei Giudici di merito – emerge una progressione criminosa e una maggiore pericolosità sociale, presupposto per l’applicazione della recidiva (così, sentenza di primo grado, pag. 12); l’invocato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva qualificata è impedito ex lege ai sensi dell’art. 69, comma 4, cod. pen.;
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/02/2025