Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20857 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 30/06/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30/06/2023, il Tribunale di Napoli, giudice dell’esecuzione, rigetta l’istanza proposta da NOME COGNOME per la declaratoria di inesistenza giuridica o di null inefficacia della ingiunzione a demolire n. 830/2008, con conseguente inammissibilità dell’azio esecutiva intrapresa dal pubblico ministero.
Avverso il provvedimento ricorre la COGNOME, lamentando, con un unico motivo, la violazione del principio di proporzionalità nella confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il profilo di censura invocato è infatti manifestamente infondato.
Come chiarito più volte da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368 e Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024), in tema di reati edilizi, l’esecuzione dell’or di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita pri familiare e del domicilio di cui all’art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” a occupare un immobile, anche se abusivo, sol perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a v proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimu lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urban edilizio violato.
Più di recente, è stato altresì affermato (cfr. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 28295 Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270) che il giudice, nel dare attuazio all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzio nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e COGNOME c. Bulgaria del 21/04/2016 e COGNOME c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell’interessato, di un t sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile o per risolvere, con dili le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un t indipendente, l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altr diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l’eventu consapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria, consapevolezza nel caso di spe è stata ritenuta sussistente dal giudice dell’esecuzione all’esito di un percorso argomentativo manifestamente illogico e dunque non sindacabile in sede di legittimità.
Ed infatti, l’ordinanza precisa in proposito che «il soggetto istante ha dimostrato di e altamente e pienamente consapevole dell’illiceità del proprio agire ben prima della condanna penale. COGNOME NOME ha commesso abusi edilizi e violazioni di sigilli realizzando d appartamenti (rispettivamente di circa 120 mq e 100 mq) pressoché completi. Né può sostenersi seriamente che ella non abbia avuto tempo sufficiente, essendo trascorsi 13 anni dall’emission dell’ordine di demolizione, per adeguarsi alle normative ed agli ordini dell’autorità, reinse il proprio agire in un percorso di legalità e promuovendo azioni finalizzate a trovare una soluz alternativa è lecita alle proprie esigenze abitative».
Il provvedimento pertanto fa buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza questa Corte, che il Collegio ribadisce.
Il ricorso non può dunque che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’on delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 61 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/05/2024.