Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11169 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11169 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a MANDATORICCIO il 19/12/1958
COGNOME NOME nato a FORCHIA il 19/05/1949
avverso l’ordinanza del 25/06/2024 del TRIBUNALE di SANTA MARIA COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG nel senso del rigetto
RITENUTO IN FATTO
A seguito della sentenza nr. 23311/23 emessa dalla Corte di cassazione il 28/4/2023, di annullamento con rinvio per nuovo esame dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 1/02/2023 di revoca dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza emessa il 3.12.1997 dal Pretore di Caserta, Sezione distaccata di Marcianise, i ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnano la nuova ordinanza di rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione emessa dal giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 25/06/2024.
La lunga e articolata vicenda che si sviluppa dal 1965, intrecciata tra iter processuale penale, interventi del giudice amministrativo e della pubblica amministrazione,nonché interventi legislativi volti a consentire l’autorizzazione in sanatoria di immobili abusivi, necessita di una ricostruzione storica.
Con la sentenza del 3/12/1997 per i reati di cui agli artt. 20 I. 28 febbraio 1985, n. 47, già alla I. 3 febbraio 1974, n. 64 e art. 2 L. Regione Campania. n. 9 del 1983, avendo realizzato in Recale, INDIRIZZO una piccola abitazione in muratura delle dimensioni di m. 10,80×7,30×4,00 h, i ricorrenti erano condannati alla pena di mesi quattro, giorni venti di reclusione e lire 300.000 di multa, nonché alla demolizione dell’opera abusiva.
Il 17/2/1999 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria C.V. ingiungeva ai condannati la demolizione dell’immobile abusivo, dopo che agli stessi era stata già ingiunta la demolizione con ordinanza comunale dell’11/3/1998. Il 21/2/2021 l’amministrazione comunale, quale seguito alle precedenti ordinanze n. 10/1996 e 7/1998, notificava l’ordinanza n. 2/21 per lo sgombero dell’immobile e, previa acquisizione al patrimonio comunale, l’immissione in possesso in favore del Comune.
Da qui si snodano una serie di interventi giudiziari e amministrativi:
GLYPH avverso quest’ultima ordinanza veniva presentato ricorso al TAR Campania che, con ordinanza n. 805 del 28/4/2021, disponeva la sospensione cautelare del provvedimento di sgombero e di acquisizione al patrimonio comunale;
-intanto, in data 26/1/2021 veniva presentata, da parte della signora NOME, istanza per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria;
-in conseguenza di ciò, ed in considerazione dell’astratta possibilità di accoglimento della pratica in sanatoria, in data 10/3/2022, veniva emessa dall’ente comunale l’ordinanza n. 3, prot. 3364, con cui era revocata la dichiarazione di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera
abusiva, con trascrizione di detto ultimo provvedimento nei pubblici registri immobiliari;
ai fini della regolarizzazione dell’opera veniva richiesto da parte del Comune l’abbattimento del sottotetto con rifacimento della copertura inaccessibile dell’immobile;
-a tale ordine veniva dato seguito con lavori iniziati su presentazione di regolare SCIA del 22/7/2021, terminati il 15/11/2021, con comunicazione inoltrata al Comune in pari data;
-attesa la regolarità dell’iter amministrativo finalizzato al rilascio del titolo abilitativo, in data 13/10/2022 veniva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 35/2022;
-successivamente, in data 16/12/2022, il TAR, dopo aver in un primo momento sospeso l’efficacia del provvedimento di sgombero e di acquisizione al patrimonio comunale, emetteva la sentenza n. 7849/22 con la quale, dichiarava improcedibile il ricorso per cessata materia del contendere in virtù dei due provvedimenti emessi dal Comune nel corso del tempo, e segnatamente l’ordinanza del 10/03/2022, con la quale il Comune aveva revocato in autotutela l’ordinanza di sgombero ed acquisizione al patrimonio pubblico, e, soprattutto, il permesso di costruire in sanatoria n. 35/2022;
il giudice dell’esecuzione emetteva, in data 01/2/2023, ordinanza con la quale, in accoglimento dell’istanza, revocava l’ordine di demolizione disposto don la sentenza di condanna n. 350/97 emessa dal Pretore di Caserta, Sez. Dist. di Marcianise;
-quest’ultima ordinanza veniva impugnata dalla Procura della Repubblica che veniva annullata dalla Terza sezione della Corte di cassazione, con la citata sentenza n. 23311 del 28/03/2023, depositata il 29/05/2023, ritenendo non sufficientemente approfondito e verificato, da parte del giudice dell’esecuzione, il requisito della c.d. doppia conformità, di cui all’art. 36 D.P.R. 380/01. In questo modo, secondo la Corte, il giudice dell’esecuzione si era sottratto al potere/dovere di controllo della legittimità del permesso di costruire in sanatoria n. 35/22, e pertanto rinviava ad altro giudice affinché fosse meglio verificata la legittimità del titolo abilitativo sotto il profilo del rispetto d presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio e la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione;
-nel frattempo il 2/3/2023, il Comune di Recale, con ordinanza n. 9, prot. n. 2664, annullava il predetto permesso di costruire in sanatoria per
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mancato rispetto, nei tempi previsti, delle prescrizioni imposte con lo stesso permesso, ed in special modo per il mancato deposito del progetto presso il Genio Civile di Caserta e per la mancata produzione di documentazione attestante l’agibilità dell’immobile;
-avverso tale ultima ordinanza veniva presentato nuovo ricorso al TAR Campania, che con ordinanza cautelare del giorno 08/06/2023, sospendeva l’ordinanza comunale n. 9 del 2/3/2023;
-infine, il nuovo giudice dell’esecuzione, nelle more della decisione del TAR sulla revoca/annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 35, a conclusione dell’udienza del 15/5/2024, riservava la decisione ed in data 25/6/2024 emetteva ordinanza con la quale rigettava l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione.
I ricorrenti impugnano tale ultima decisione perché ritenuta viziata per i seguenti motivi.
Con un primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. per inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e vizio di motivazione sul punto.
Evidenziano i ricorrenti che il giudice dell’esecuzione, nel dare seguito alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte di cassazione, al fine di approfondire il tema della c.d. doppia conformità, ha ritenuto necessario ascoltare il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Recale firmatario del permesso di costruire in sanatoria, architetto NOME COGNOME la quale all’udienza dei 14/2/2024, ha chiarito due aspetti fondamentali:
-il primo, che il titolo abilitativo in sanatoria era stato revocato poiché non realizzati dai richiedenti alcuni adempimenti che, per quanto successivi al rilascio del permesso, erano stati previsti come necessari, quali la certificazione di agibilità dell’immobile, la relazione geologica e il deposito dei calcoli strutturali al Genio Civile. Quest’ultimo necessario per garantire il controllo sulla stabilità statica dell’immobile posto che l’opera era stata realizzata in area sottoposta al vincolo sismico.
-il secondo, che l’ente comunale aveva rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria ritenendo sussistente la conformità dell’opera ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, vale a dire sia al momento della sua realizzazione sia al momento della richiesta del permesso di costruire in sanatoria (doppia conformità).
GLYPH In particolare, chiariva l’architetto COGNOME che l’opera al momento della sua realizzazione era sicuramente conforme allo strumento urbanistico del
Comune di Recale (che all’epoca era il cd. “Piano di Fabbricazione”), tant’è che nel lontano 1965 era stata rilasciata ad una precedente proprietaria del terreno (signora COGNOME NOME), poi acquistato dai coniugi NOMENOME e dove insisteva la casa oggetto della procedura, un’autorizzazione edilizia registrata con il numero 263/65 che prevedeva la realizzazione di un manufatto delle dimensioni interne in pianta di metri 8,00×8.00 ed esterne di 9.00×9.00, dunque, di dimensioni anche maggiori posseduteal manufatto oggetto di sanatoria. Inoltre, all’atto di acquisto fatto dalla signora NOME dai coniugi COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, era allegato l’attestato urbanistico comunale rilasciato in data 01/07/1992, nel quale era espressamente previsto che sul terreno in questione, avente destinazione agricola, potevano essere realizzati fabbricati seppur a determinate condizioni, come ad esempio non più di un piano fuori terra e con altezza ridotta fino a metri 3.30 per il piano terra e metri 2.80 per i piani superiori.
Sul punto della doppia conformità l’architetto COGNOME su specifica domanda della difesa, testualmente rispondeva: “nel 1965 vigeva un piano di fabbricazione e la concessione edilizia n. 263 era conforme a quello strumento urbanistico, nel 2022 vigeva invece il PUC approvato nel 2021 e il lotto sanato con il permesso di costruire in questione aveva conformità urbanistica rispetto a quelle che erano le condizioni che si erano venute a creare in quel momento, cioè mi spiego non c’erano gli abusi perché erano stati demoliti con una SCIA, quindi, la mia valutazione è stata fatta su un immobile privo di abusi…Nel 1965 era stata rilasciata una concessione edilizia per la costruzione in quel lotto di due manufatti con un volume che adesso a memoria non ricordo. Nel 2022 quando io rilascio il permesso di costruire in sanatoria e vado a fare il confronto della volumetria assentita nel 1965 e quella che si va a sanare nel 2022 effettivamente mi trovo con dei metri cubi addirittura inferiori, quello che si va a sanare nel 2022 è la posizione nel lotto.., quindi, la posizione l’abbiamo sancita con il permesso di costruire in sanatoria ovviamente nei limiti della volumetria assentita nel 1965, anzi al di sotto…quindi …la conformità nel 1965 c’era, nel 2022 lo stesso c’era”.
10. Sempre GLYPH all’udienza GLYPH del GLYPH 14/2/2024, GLYPH la GLYPH difesa GLYPH depositava documentazione afferente l’avvenuto accatastamento dell’immobile in favore della signora NOME e una Relazione Tecnica Generale allegata alla pratica relativa ai calcoli strutturali depositati al Genio Civile per l’ottenimento dell’autorizzazione sismica in sanatoria. Pratica inoltrata al Comune il 9/5/2023. Documentazione quest’ultima mostrata all’architetto NOME all’udienza del 14/2/2024 e dalla stessa riconosciuta come valida e presente nella pratica depositata al Comune.
Infine, all’udienza del 14/4/2024 la difesa depositava anche la “Segnalazione Certificata di Agibilità” con la quale veniva certificata dal tecnico abilitato l’agibilità dell’immobile (pratica inoltrata al Comune il 29/3/2024).
Evidenzia la difesa dei ricorrenti che nonostante tutto questo il giudice ha rigettato l’istanza di revoca dell’ordine di abbattimento ritenendo non sussistente il requisito della c.d. doppia conformità, come disciplinato dagli artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, poiché tale requisito deve ritenersi automaticamente escluso in caso di edificazioni eseguite in zona sismica senza la preventiva autorizzazione.
Atteso che il giudice, richiamando quanto sancito nella sentenza n. 2357 del 14/12/2022, dep. il 20/01/2023, dalla Terza Sezione Penale della Corte di cassazione, ha ritenuto che non sussiste il requisito della doppia conformità in tutti quei casi, come quello in esame, in cui l’autorizzazione sismica GLYPH sopraggiunge GLYPH successivamente GLYPH alla GLYPH realizzazione GLYPH dell’opera (autorizzazione sismica in sanatoria che non produce l’effetto estintivo del reato sismico), a parere dei ricorrenti gli argomenti esposti nel provvedimento impugnato non sono totalmente in linea con i principi espressi dalla Suprema Corte nella richiamata sentenza, e, soprattutto, perché degli stessi il giudice ha fatto una lettura parziale, non adeguandoli fino in fondo al caso in esame.
In particolare – evidenzia la difesa – nella citata sentenza n. 2357 del 2023 la Suprema Corte, pur chiarendo che effettivamente il c.d. reato sismico non prevede sanatoria e nessun effetto estintivo è possibile, derivandone da ciò l’impossibilità di ritenere sussistente il requisito della doppia conformità, ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in caso di violazioni della disciplina sismica, ciò nonostante non vi è alcun automatismo tra il mancato riconoscimento del requisito della doppia conformità e l’ordine di abbattimento, nel senso che non è affatto detto che, pur non potendo ottenere un formale provvedimento di sanatoria sismica, un immobile debba sempre e comunque essere demolito.
Al riguardo, anzi, la Suprema Corte chiarisce che, pur non prevedendo la normativa antisismica alcuna forma di autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, in ogni caso, secondo quanto si ricava chiaramente dall’art. 98 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è possibile mantenere un immobile realizzato senza preventiva autorizzazione sismica, se viene accertata la sua conformità ai parametri imposti dalla normativa antisismica così che venga garantita la stabilità e la sicurezza dell’opera, consentendo, se del caso, anche interventi successivi Cp.ihfinalizzati ad una riconduzione a conformità postuma.
Ritengono i ricorrenti che la demolizione di un’opera realizzata senza preventiva autorizzazione può essere evitata, o perché già rientrante nei parametri previsti dalla normativa di riferimento ,o perché sono possibili opere per un adeguamento postumo, sempreché siano effettuate specifiche verifiche di natura tecnica che accertino la stabilità dell’immobile.
Del resto, non può neanche essere trascurata l’ulteriore circostanza secondo la quale nel caso in questione, oltre alle valutazioni effettuate dall’ufficio tecnico comunale circa la sussistenza del requisito della doppia conformità, in virtù delle quali per l’ente l’immobile non doveva essere più abbattuto, vi sono state anche le valutazioni favorevoli del giudice amministrativo che, più volte chiamato a decidere sulla regolarità dei provvedimenti emessi dall’ente comunale, non ha mai messo in dubbio la legittimità del permesso di costruire in sanatoria n. 35 del 2022, anche sotto il profilo della doppia conformità, nonostante fosse chiaro che l’opera era stata realizzata in zona sismica senza la preventiva autorizzazione.
Di tutto questo – lamenta la difesa – il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto, limitandosi (tra l’altro utilizzando un argomento del tutto nuovo, fino a quel momento non considerato e, quindi, non approfondito) a concludere per il rigetto dell’istanza di revoca dell’ordine di demolizione quale conseguenza automatica e necessaria, attesa la mancanza del requisito della “doppia conformità” derivante dall’assenza di preventiva autorizzazione sismica, senza Prendere in considerazione, proprio secondo le indicazioni offerte nella sentenza della Suprema Corte più volte richiamata, la possibilità che l’immobile potesse essere salvato in presenza di tutte le circostanze del caso concreto, quali sono emerse con chiarezza dalla testimonianza dell’architetto NOME e dalla documentazione prodotta dalla difesa.
Ed invero, trattasi di un immobile di piccole dimensioni, realizzato nei limiti della volumetria già assentita con l’autorizzazione edilizia n. 263 del 1965, anzi per un volume inferiore, che esiste ed è abitato dal lontano 1996/97. E’ stato, inoltre, destinatario di un intervento di adeguamento con lavori regolarmente assentiti, ha ottenuto l’agibilità, ed infine ha, seppur in ritardo, ottenuto la sanatoria sismica sulla base dei calcoli strutturali che hanno verificato la sua sicurezza statica.
Vi erano, pertanto, a parere della difesa, tutte le condizioni affinché il giudice dell’esecuzione, pur volendo aderire all’interpretazione più rigorosa secondo la quale la mancanza di preventiva autorizzazione sismica comporta sempre il venir meno del requisito della doppia conformità, accogliesse la richiesta di revoca dell’ordine di abbattimento o, quanto meno, approfondisse e valutasse meglio la sussistenza o meno delle condizioni per evitarlo. Aspetto,
invece, non preso proprio in considerazione dal giudice con inevitabile conseguente totale mancanza di motivazione sul punto.
Con un secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pem per inosservanza e/o erronea applicazione di norme giuridiche e, in particolare, dell’art. 8 CEDU nonché totale mancanza di motivazione sul punto.
Ritengono i ricorrenti che il giudice dell’esecuzione ha totalmente omesso la motivazione circa la compatibilità tra l’ordine di demolizione valutato alla luce degli accadimenti successivi all’emanazione dello stesso, quali sono stati dettagliatamente descritti nel precedente motivo di gravame – con il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e del proprio domicilio sancito dall’art. 8 della CEDU, a mente del quale “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.
Al riguardo la difesa richiama la sentenza della Corte EDU n. 46577/15 del 21/04/2016 (Ivanova e COGNOME contro Bulgaria), secondo la quale la demolizione dell’opera abusiva può legittimamente avvenire solo se il condannato abbia a disposizione altro alloggio oppure lo Stato abbia provveduto a concedergli un alloggio. In assenza di tali condizioni, la demolizione violerebbe il . diritto all’abitazione riconosciuto, appunto, dall’art. 8 della CEDU.
Secondo il nostro ordinamento, sostiene la difesa dei ricorrenti, se è vero che l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva ma assolve ad una funzione ripristinatoria del bene tutelato, è altrettanto vero che questo, di fatto, incide irrevocabilmente sul diritto all’abitazione di ogni individuo. Tale esito obbliga il giudice dell’esecuzione, investito della procedura, ad una verifica sulla proporzionalità tra l’ingerenza dell’autorità pubblica rispetto alle condizioni personali ed economiche dei ricorrenti che vivono ormai da anni nella loro dimora.
In breve, sostiene la difesa, l’interpretazione secondo cui la demolizione ha IO scopo di garantire l’effettiva attuazione delle norme che impediscono la realizzazione di abitazioni senza autorizzazione, fa salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato da valutare caso per caso.
Il giudice dell’esecuzione – sostiene la difesa – non ha minimamente approfondito e valutato questi aspetti, non ha tenuto conto della consistenza dell’abuso, di tutti i lavori di adeguamento successivamente realizzati e di tutte le autorizzazioni poi ottenute, non ha tenuto conto delle condizioni personali e familiari dei ricorrenti e non ha effettuato alcun bilanciamento tra l’interesse pubblico alla demolizione che deve essere, comunque, attuale e concreto ed il
diritto dei coniugi NOME/NOME di veder fatto salvo il proprio immobile, alla luce di tutte le circostanze oggettive e soggettive che caratterizzavano la vicenda e che già emergevano dagli atti.
Il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ritiene fondato e, quindi, da accogliere il primo motivo di ricorso sotto i profili di seguito esposti.
Premesso che i ricorrenti condividono in parte la non sussistenza della c.d. doppia conformità, sebbene al momento del rilascio della concessione edilizia nel 1965 vigeva un piano di fabbricazione e che la concessione edilizia era conforme a tale strumento, si deve rilevare che nel 2022, invece, vigeva il PUC (piano urbanistico comunale) approvato nel 2021, rispetto al quale il manufatto era conforme dopo l’eliminazione degli abusi mediante la SCIA trasmessa il 22.07.2021; abusi consistenti nell’innalzamento del muro perimetrale e del sottotetto. Addirittura, dopo l’eliminazione degli stessi, raffrontando la volumetria di cui alla licenza del 1965 e quella oggetto del permesso in sanatoria, si riscontravano alcuni metri cubi inferiori rispetto al passato. Il tecnico visionava l’autorizzazione sismica ottenuta successivamente in sanatoria (di cui al protocollo n. 5326 del 09.05.2023) e la documentazione relativa all’accatastamento dell’immobile.
Ciò premesso, in linea con quanto già ritenuto dai giudici della terza sezione, anche questo Collegio ritiene che, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rispetto del requisito della c.d. doppia conformità delle opere (cioè in relazione sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione, sia a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione), è escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell’autorizzazione sismica (Cass. n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284058).
4. GLYPH Gli artt. 93 e ss d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 prevedono che tale verifica debba precedere l’esecuzione dei lavori, e non è rintracciabile una procedura ex post disciplinata dalla legge, né sarebbe adattabile quella prevista per il rilascio dell’autorizzazione sismica “ordinaria”, atteso che il rilascio dell’autorizzazione antisismica postuma, effettuato adattando il procedimento ordinario, non prevede, a differenza di quanto stabilito dall’art. 36, alcun
pagamento di somme a titolo di oblazione, né termini specifici decorsi i quali si perfeziona il silenzio-rifiuto.
Da tale condiviso principio il provvedimento impugnato non si è allontanato e si deve pertanto evidenziare il principio per cui “in materia di violazioni della disciplina antisismica, in coerenza con la finalità di tutela della incolumità pubblica e con la natura preventiva del controllo esercitato dall’amministrazione competente per gli interventi nelle zone sismiche, non vi sono disposizioni che prevedano espressamente la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità sismica . iné sono previsti effetti estintivi del reato conseguenti alla regolarizzazione postuma”.
Pertanto, nella vicenda in esame, il rispetto del requisito della “doppia conformità” è senz’altro escluso dalla violazione della disciplina antisismica ‘non éssendo sufficiente un’autorizzazione antisismica postuma, come quella intervenuta nella pratica n. 5326 del 9/5/23.
Il Collegio, però, osserva che sulla base di tale assunto, la motivazione effettua un vero e proprio salto logico, laddove sinteticamente conclude ritenendo, “alla stregua dei condivisibili principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in linea con la ratio della normativa antisismica e tenuto conto anche delle ulteriori criticità poste in evidenza dal firmatario del permesso in sanatoria (fondanti la revoca dello stesso), nella fattispecie in esame deve escludersi la legittimità del titolo postumo, che risulta, dunque, inidoneo a determinare la revoca dell’ordine di demolizione”.
La considerazione che effettivamente il cd. reato sismico non prevede sanatoria e che non è possibile nessun effetto estintivo, derivandone da ciò l’impossibilità di ritenere sussistente il requisito della doppia conformità, ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 1981, n. 380, in caso di violazioni della disciplina sismica, non consente di ritenere automatica l’emissione dell’ordine di abbattimento dell’immobile. Nella disciplina non si rintraccia un siffatto automatismo, di talché, non potendo ottenere un formale provvedimento di sanatoria sismica, un immobile debba sempre e comunque essere demolito.
Invero, l’art. 98 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dedica espressamente úna disciplina speciale del procedimento penale per i reati in materia di disciplina edilizia antisismica prevedendo obblighi specifici per il pubblico ministero (che ove ravvisi la necessità di ulteriori accertamenti tecnici, deve nominare uno o più consulenti, scegliendoli fra i componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici o tra tecnici laureati appartenenti ai ruoli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o di altre amministrazioni statali), per il giudice del dibattimento (ove deve essere in ogni caso citato il dirigente del competente ufficio tecnico della regione, il quale può delegare un funzionario
dipendente che sia al corrente dei fatti) e infine per ogni giudice che in caso di condanna “ordina la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità alle norme del presente capo o dei decreti interministeriali di cui agli articoli 52 e 83, ovvero impartisce le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine.”.
Indubbiamente, pur non prevedendo la normativa antisismica alcuna (orma di autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, in ogni caso, secondo quanto si ricava chiaramente dall’art. 98 cit., è prevista un’alternativa all’ordine di demolizione di un immobile realizzato senza preventiva autorizzazione sismica se viene accertata ex post la sua conformità ai parametri imposti dalla normativa antisismica, sempre che venga garantita la stabilità e la sicurezza dell’opera, e consentendo eventualmente anche interventi successivi finalizzati a ricondurre l’immobile a una conformità antisismica postuma.
La disposizione dell’art. 98 cit. è applicabile anche in sede di esecuzione, come nel caso di specie, e obbliga il giudice ad una valutazione discrezionale tra due diversi esiti processuali: l’ordine anche parziale di demolizione,”ovvero”dettare le necessarie prescrizioni per conformare le opere entro un certo termine. È ovvio che la valutazione di discrezionalità tecnica sulla conformità antisismica o sugli interventi che possono conseguirla, deve precedere la delibera dell’ordine di demolizione che costituisce l’extrema ratio potendosi ipotizzare sul piano logico che prima si valuti la possibilità di mantenere l’immobile in sicurezza antisismica ed eventualmente, in caso negativo, di ordinarne la demolizione.
Da ciò può desumersi il principio per cui “in materia di violazioni della normativa antisismica ai sensi dell’art. 98 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il giudice nel caso in cui ritenga l’assenza di doppia conformità non può emettere automaticamente l’ordine di demolizione ma è tenuto a valutare se, previe acquisizioni tecniche che non siano già agli atti, è tecnicamente possibile conformare le opere alle prescrizioni antisismiche ed eventualmente deve indicare con quali interventi necessari ed effettivamente praticabili, se già non realizzati”. GLYPH
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In tali termini il giudice è tenuto alt i4n – à-VraTataztui50 se / incaso di condanna per violazione della normativa antisismica, si possa, in luogo della demolizione e laddove possibile, ordinare l’adeguamento dell’opera realizzata senza la preventiva autorizzazione! alle norme antisismiche ed ai parametri in essa previsti, impartendo le necessarie prescrizioni.
In secondo luogo, si evidenziche il giudice ha il potere-dovere di ordinare la demolizione dell’opera, eretta in violazione della disciplina delle
costruzioni in zona sismica, ai sensi dell’art. 98, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, in caso di condanna per i reati previsti dalla relativa normativa, soltanto con riferimento alle violazioni sostanziali, ovvero per l’inosservanza delle norme tecniche, e non anche per le violazioni meramente formali. (Sez. 3, n. 6371 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258899-01; Sez. 3, n. 37322 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 237843-01; Sez. 3, n. 40985 del 07/11/2006, Rigano, Rv. 235411 – 01; vedi anche Sez. 3, n. 22580 del 15/01/2019, COGNOME, Rv. 275966 – 01).
Il giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con il provvedimento impugnato non si è allineato a tali principi, non avendo effettuato alcuna valutazione, innanzi tutto, sulla natura formale o sostanziale della violazione e, in quest’ultima ipotesi, non avendo individuato se e quali possono essere gli interventi – oltre quelli già eseguiti abbattendo nel 2021 il sottotetto, eseguendo adempimenti parziali su disposizione dell’autorità amministrativa, anche in materia di calcolo strutturale e di sicurezza statica, in un fabbricato che già dal 1965 era dotato di autorizzazione – per riportare l’opera a conformità antisismica ai sensi dell’art. 98, comma 3, ultima parte, d.P.R. n. 380 del 2001.
Il primo motivo di ricorso deve essere, quindi, accolto e il secondo può ritenersi totalmente assorbito dalla decisione atteso il carattere evidentemente subordinato dello stesso. Si dispone, GLYPH pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2024
Il Consigliere estensore