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Demolizione abusiva: no stop con interesse generico

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che revocava un ordine di demolizione per un immobile abusivo. La decisione del Comune di conservare l’edificio per ‘edilizia sociale’ è stata ritenuta troppo generica. La Corte ha ribadito che per fermare una demolizione abusiva, l’interesse pubblico deve essere specifico, concreto e attuale, non un vago proposito futuro. Il giudice dell’esecuzione ha il dovere di verificare in modo approfondito queste condizioni, non limitandosi a un controllo formale dell’atto amministrativo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Demolizione abusiva: No allo Stop con un Generico Interesse Pubblico

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta sulla possibilità dei Comuni di salvare un immobile illegale dalla demolizione. La pronuncia chiarisce che non basta una semplice delibera consiliare che invoca un generico interesse pubblico, come la destinazione a ‘edilizia sociale’, per bloccare una demolizione abusiva ordinata da un giudice. L’interesse pubblico deve essere concreto, attuale e specifico, e il giudice ha il dovere di verificarlo attentamente.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce da una condanna penale nei confronti di due fratelli per aver realizzato un manufatto abusivo. La sentenza, divenuta definitiva, prevedeva, oltre alla pena, anche l’ordine di demolizione dell’opera. Anni dopo, il Sindaco del Comune interessato presentava un’istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, per chiedere la revoca di tale ordine. La richiesta si basava su delibere del Consiglio Comunale che dichiaravano la sussistenza di un ‘prevalente interesse pubblico’ alla conservazione dell’immobile, destinandolo al soddisfacimento di esigenze di edilizia residenziale sociale, in conformità con una legge regionale. Il Tribunale accoglieva l’istanza e revocava la demolizione.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione, lamentando che il Tribunale si era limitato a un controllo formale, senza esaminare nel merito la reale sussistenza delle condizioni per fermare la demolizione.

Il Principio della Demolizione Abusiva come Regola

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, annullando la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito un principio fondamentale, già sancito anche dalla Corte Costituzionale: la demolizione è l’esito ‘normale’ e la sanzione principale per gli abusi edilizi. La conservazione di un immobile abusivo acquisito al patrimonio comunale rappresenta un’eccezione che deve essere giustificata da ragioni solide e rigorosamente accertate.

Questo approccio serve a non vanificare l’efficacia deterrente della sanzione demolitoria. Permettere una facile ‘sanatoria’ di fatto attraverso delibere comunali generiche creerebbe un’inammissibile via di fuga per gli autori degli illeciti, che finirebbero per consolidare il vantaggio ottenuto con il reato.

Le Motivazioni della Cassazione

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella critica al ragionamento del giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo, infatti, non può limitarsi a prendere atto dell’esistenza di una delibera comunale. Ha il potere-dovere di esercitare un ‘sindacato’ sull’atto amministrativo, verificando che non sia stato emesso in assenza delle condizioni sostanziali previste dalla legge.

Secondo la Corte, per poter legittimamente revocare un ordine di demolizione, l’interesse pubblico dichiarato dal Comune deve possedere tre caratteristiche essenziali:

1. Specificità: Non è sufficiente un generico riferimento a finalità di ‘edilizia sociale’ o al richiamo di una legge regionale. La delibera deve individuare una precisa esigenza abitativa da soddisfare.
2. Concretezza: L’interesse non può essere solo un’ipotesi o un programma futuro. Deve essere dimostrato che quello specifico immobile è necessario e sarà effettivamente utilizzato per la finalità pubblica dichiarata.
3. Attualità: L’esigenza pubblica deve esistere al momento della decisione e non essere una mera eventualità futura.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva omesso questa verifica approfondita, accontentandosi della conformità formale della delibera comunale alla legge regionale. Non aveva controllato se, al di là delle dichiarazioni, vi fosse un progetto concreto di assegnazione dell’immobile, né aveva considerato altri elementi, come la staticità effettiva del fabbricato, che il Procuratore contestava.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per le amministrazioni comunali e per i giudici dell’esecuzione. Non è possibile utilizzare lo strumento della dichiarazione di pubblico interesse come un mezzo per eludere sistematicamente gli ordini di demolizione. La conservazione dell’immobile abusivo rimane un’ipotesi eccezionale, subordinata a una rigorosa dimostrazione della prevalenza di un interesse pubblico concreto e attuale rispetto all’interesse generale al ripristino della legalità violata. Per i cittadini, questo significa che la strada per sanare un abuso edilizio attraverso un intervento del Comune dopo la condanna definitiva è estremamente stretta e richiede motivazioni ben più solide di un semplice richiamo a finalità sociali.

Un Comune può sempre bloccare un ordine di demolizione per un immobile abusivo dichiarando un interesse pubblico?
No, non sempre. La conservazione dell’immobile è un’ipotesi eccezionale. La delibera comunale che dichiara l’interesse pubblico non è sufficiente da sola e deve essere attentamente vagliata dal giudice dell’esecuzione.

Quali sono le condizioni che un Comune deve rispettare per giustificare la conservazione di un immobile abusivo?
L’interesse pubblico dichiarato dal Comune deve essere prevalente, specifico, concreto e attuale. Non può basarsi su un generico riferimento a future finalità di edilizia sociale, ma deve dimostrare che quello specifico immobile serve a soddisfare una precisa ed esistente esigenza abitativa.

Cosa ha sbagliato il Tribunale nella sua prima decisione secondo la Corte di Cassazione?
Il Tribunale ha sbagliato perché si è limitato a un controllo puramente formale, verificando solo che la delibera comunale fosse conforme a una legge regionale. Ha omesso di esercitare il suo potere-dovere di sindacato sulla sostanza dell’atto, non verificando la reale esistenza di un interesse pubblico specifico, concreto e attuale che giustificasse la revoca della demolizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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