Delitto tentato: quando gli atti preparatori sono reato?
Il confine tra la semplice preparazione di un reato, non punibile, e l’inizio della sua esecuzione, che configura un delitto tentato, è uno degli argomenti più dibattuti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara su quando gli atti preparatori diventano penalmente rilevanti, specialmente quando l’azione viene interrotta da fattori esterni. Esaminiamo il caso per capire i principi applicati dai giudici.
I Fatti del Caso
Due individui sono stati accusati di tentata rapina. Secondo la ricostruzione, i due si stavano dirigendo verso l’ingresso di un supermercato, pronti a indossare dei passamontagna con fori per gli occhi che avevano con sé. La loro azione è stata però interrotta dall’intervento tempestivo del personale di Polizia, che li ha fermati prima che potessero entrare nell’esercizio commerciale e portare a termine il loro piano. Condannati in appello, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione.
I Motivi del Ricorso in Cassazione e il delitto tentato
La difesa degli imputati ha basato il ricorso su due argomenti principali. In primo luogo, ha sostenuto che le azioni compiute si fossero fermate a un livello di meri atti preparatori, e quindi non punibili. A loro avviso, non era ancora iniziata la vera e propria esecuzione del reato. In secondo luogo, hanno prospettato la possibilità di una desistenza volontaria, ovvero l’abbandono volontario del proposito criminale.
La difesa ha inoltre contestato la ricostruzione dei fatti, sostenendo che la condotta non fosse univocamente diretta a commettere una rapina, elemento essenziale per configurare il delitto tentato.
Le motivazioni della decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli una semplice riproposizione di argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello con motivazioni logiche e congrue. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di delitto tentato.
1. Atti Preparatori e Univocità
La Corte ha chiarito che anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile. La condizione è che tali atti siano ‘univoci’, cioè che, considerati nel loro contesto, per la loro natura e secondo le normali regole di esperienza (‘id quod plerumque accidit’), rivelino in modo chiaro e inequivocabile il fine perseguito dall’agente. Nel caso di specie, dirigersi verso l’obiettivo (il supermercato) con passamontagna pronti all’uso è stato considerato un insieme di atti che, nel loro complesso, manifestavano senza dubbi l’intenzione di commettere una rapina.
2. Tentativo e Desistenza Volontaria
Un punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra tentativo e desistenza volontaria. La Corte ha specificato che si ha delitto tentato (e non desistenza) quando la condotta criminale si arresta non per una scelta volontaria dell’agente, ma a causa di fattori esterni che impediscono la prosecuzione dell’azione o la rendono vana. L’intervento delle forze dell’ordine è l’esempio classico di un fattore esterno che interrompe l’iter criminoso. Poiché gli imputati sono stati fermati dalla Polizia, non si può parlare di una loro libera scelta di abbandonare il piano, ma di un tentativo fallito per cause indipendenti dalla loro volontà.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato della giurisprudenza: il passaggio dalla fase preparatoria non punibile a quella del tentativo punibile avviene quando gli atti, pur non essendo ancora l’inizio formale dell’esecuzione, sono così strettamente collegati al reato da non lasciare dubbi sull’intenzione criminale. Inoltre, per beneficiare della non punibilità prevista per la desistenza volontaria, è necessario che l’interruzione dell’azione sia frutto di una libera e autonoma decisione dell’agente, e non imposta da circostanze esterne come l’arrivo della polizia. La decisione sottolinea quindi l’importanza del contesto e della concatenazione logica delle azioni per valutare la sussistenza del delitto tentato.
Quando un atto preparatorio diventa un delitto tentato punibile?
Un atto preparatorio diventa un delitto tentato punibile quando è ‘univoco’, ovvero quando, analizzato nel suo contesto e secondo le norme di esperienza, rivela in modo inequivocabile l’intenzione dell’agente di commettere un determinato reato.
Qual è la differenza tra delitto tentato e desistenza volontaria?
Si ha delitto tentato quando l’azione criminale non viene portata a termine a causa di fattori esterni che la impediscono (es. l’intervento della polizia). Si ha desistenza volontaria, non punibile per il tentativo, solo quando è l’agente stesso a decidere volontariamente di interrompere l’azione.
Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano una mera ripetizione di quelle già respinte dalla Corte d’Appello e perché i motivi erano considerati non specifici. La Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse correttamente applicato i principi di diritto sul delitto tentato, escludendo sia la natura di meri atti preparatori non punibili sia la desistenza volontaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44910 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44910 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a CALTAGIRONE il 26/07/1984 NOME nato a CALTAGIRONE il 31/01/1968
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME;
considerato che la difesa dell’imputato COGNOME ha dedotto con tre motivi di ricorso violazioni di legge con riguardo all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di tentata rapina osservando che l’azione sarebbe rimasta a mero livello di atti preparatori non punibili e che, al più, sarebbe comunque configurabile una desistenza volontaria ex art. 56, comma 3, cod. pen., nonché vizi di motivazione in relazione ad una possibile ed alternativa ricostruzione dei fatti;
considerato che la difesa dell’imputato COGNOME ha dedotto anch’essa violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla configurabilità del reato di tentata rapina sostenendo che nel caso in esame difetterebbero gli elementi dell’univocità della condotta e dell’inequivoca direzionalità della stessa a commettere il reato de quo;
considerato che i motivi contenuti in entrambi i ricorsi risultano indeducibili perché fondati su argomentazioni che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito con motivazione congrua, logica e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia, dovendosi pertanto detti motivi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che in tema di delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile, purché univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e rid quod plerumque accidit”, del fine perseguito dall’agente (ex ceteris: Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285566 – 01);
che è configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento non per volontaria iniziativa dell’agente ma per fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (Sez. 2, n. 51514 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258076 – 01) come è avvenuto nel caso in esame per effetto dell’intervento del personale di Polizia mentre gli imputati si stavano dirigendo verso l’ingresso di un supermercato pronti ad indossare dei passamontagna con dei fori praticati per gli occhi;
rilevato, pertanto, che entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, quanto a ciascuno di essi, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 novembre 2024.