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Delitto tentato: quando gli atti preparatori bastano

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati condannati per tentata rapina. La Corte ha stabilito che anche gli atti preparatori, come dirigersi verso un supermercato con passamontagna pronti all’uso, configurano un delitto tentato se sono univoci e diretti a commettere il reato. L’interruzione dell’azione da parte della polizia esclude la desistenza volontaria, rendendo la condotta penalmente rilevante.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Delitto tentato: quando gli atti preparatori sono reato?

Il confine tra la semplice preparazione di un reato, non punibile, e l’inizio della sua esecuzione, che configura un delitto tentato, è uno degli argomenti più dibattuti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara su quando gli atti preparatori diventano penalmente rilevanti, specialmente quando l’azione viene interrotta da fattori esterni. Esaminiamo il caso per capire i principi applicati dai giudici.

I Fatti del Caso

Due individui sono stati accusati di tentata rapina. Secondo la ricostruzione, i due si stavano dirigendo verso l’ingresso di un supermercato, pronti a indossare dei passamontagna con fori per gli occhi che avevano con sé. La loro azione è stata però interrotta dall’intervento tempestivo del personale di Polizia, che li ha fermati prima che potessero entrare nell’esercizio commerciale e portare a termine il loro piano. Condannati in appello, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione e il delitto tentato

La difesa degli imputati ha basato il ricorso su due argomenti principali. In primo luogo, ha sostenuto che le azioni compiute si fossero fermate a un livello di meri atti preparatori, e quindi non punibili. A loro avviso, non era ancora iniziata la vera e propria esecuzione del reato. In secondo luogo, hanno prospettato la possibilità di una desistenza volontaria, ovvero l’abbandono volontario del proposito criminale.

La difesa ha inoltre contestato la ricostruzione dei fatti, sostenendo che la condotta non fosse univocamente diretta a commettere una rapina, elemento essenziale per configurare il delitto tentato.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli una semplice riproposizione di argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello con motivazioni logiche e congrue. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di delitto tentato.

1. Atti Preparatori e Univocità

La Corte ha chiarito che anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile. La condizione è che tali atti siano ‘univoci’, cioè che, considerati nel loro contesto, per la loro natura e secondo le normali regole di esperienza (‘id quod plerumque accidit’), rivelino in modo chiaro e inequivocabile il fine perseguito dall’agente. Nel caso di specie, dirigersi verso l’obiettivo (il supermercato) con passamontagna pronti all’uso è stato considerato un insieme di atti che, nel loro complesso, manifestavano senza dubbi l’intenzione di commettere una rapina.

2. Tentativo e Desistenza Volontaria

Un punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra tentativo e desistenza volontaria. La Corte ha specificato che si ha delitto tentato (e non desistenza) quando la condotta criminale si arresta non per una scelta volontaria dell’agente, ma a causa di fattori esterni che impediscono la prosecuzione dell’azione o la rendono vana. L’intervento delle forze dell’ordine è l’esempio classico di un fattore esterno che interrompe l’iter criminoso. Poiché gli imputati sono stati fermati dalla Polizia, non si può parlare di una loro libera scelta di abbandonare il piano, ma di un tentativo fallito per cause indipendenti dalla loro volontà.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento consolidato della giurisprudenza: il passaggio dalla fase preparatoria non punibile a quella del tentativo punibile avviene quando gli atti, pur non essendo ancora l’inizio formale dell’esecuzione, sono così strettamente collegati al reato da non lasciare dubbi sull’intenzione criminale. Inoltre, per beneficiare della non punibilità prevista per la desistenza volontaria, è necessario che l’interruzione dell’azione sia frutto di una libera e autonoma decisione dell’agente, e non imposta da circostanze esterne come l’arrivo della polizia. La decisione sottolinea quindi l’importanza del contesto e della concatenazione logica delle azioni per valutare la sussistenza del delitto tentato.

Quando un atto preparatorio diventa un delitto tentato punibile?
Un atto preparatorio diventa un delitto tentato punibile quando è ‘univoco’, ovvero quando, analizzato nel suo contesto e secondo le norme di esperienza, rivela in modo inequivocabile l’intenzione dell’agente di commettere un determinato reato.

Qual è la differenza tra delitto tentato e desistenza volontaria?
Si ha delitto tentato quando l’azione criminale non viene portata a termine a causa di fattori esterni che la impediscono (es. l’intervento della polizia). Si ha desistenza volontaria, non punibile per il tentativo, solo quando è l’agente stesso a decidere volontariamente di interrompere l’azione.

Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano una mera ripetizione di quelle già respinte dalla Corte d’Appello e perché i motivi erano considerati non specifici. La Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse correttamente applicato i principi di diritto sul delitto tentato, escludendo sia la natura di meri atti preparatori non punibili sia la desistenza volontaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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