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Delitto tentato e danno rilevante: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un tentativo di furto aggravato. La sentenza chiarisce che l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità può essere applicata anche in caso di delitto tentato e danno rilevante, qualora le modalità del fatto, come la meticolosa pianificazione, dimostrino la consapevolezza dell’imputato circa l’ingente valore della merce.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Delitto tentato e danno rilevante: quando l’aggravante si applica

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sulla configurabilità dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità nel contesto di un reato non portato a compimento. Il caso in esame, relativo a un tentativo di furto aggravato, solleva una questione fondamentale: è possibile contestare un danno ingente se il bene non è mai uscito dalla disponibilità della vittima? La Corte ha stabilito che la valutazione deve concentrarsi sulle modalità del fatto e sulla consapevolezza dell’autore del reato. Analizziamo questo caso di delitto tentato e danno rilevante per comprenderne le implicazioni.

I fatti del caso: un furto pianificato nei minimi dettagli

L’imputato era stato condannato per aver tentato di sottrarre un ingente carico di calzature di lusso, del valore di oltre 67.000 euro, da una nota azienda produttrice. Il piano era stato orchestrato con cura: l’uomo si era presentato presso la sede della società a bordo di un furgone con targa contraffatta, spacciandosi per un autista di una famosa ditta di spedizioni incaricato del ritiro della merce.

Tuttavia, il piano è fallito grazie alla prontezza di una segretaria dell’azienda. Insospettita dall’orario anticipato del ritiro, ha effettuato una verifica e, dopo aver ricevuto conferma che il corriere ufficiale sarebbe passato più tardi, ha allertato le forze dell’ordine, che sono intervenute sventando il colpo.

Le questioni portate in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali. Il primo, di natura procedurale, lamentava la mancata concessione della trattazione orale in appello, sostenendo di averne fatto tempestiva richiesta. Il secondo, di natura sostanziale, contestava l’applicazione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità. Secondo il difensore, l’imputato non poteva essere a conoscenza del valore esatto della merce che intendeva sottrarre, e quindi l’aggravante sarebbe stata applicata erroneamente.

L’aggravante nel delitto tentato e danno rilevante

Il punto centrale della questione giuridica risiede proprio nel rapporto tra delitto tentato e danno rilevante. La difesa sosteneva che, non essendosi perfezionato il reato, non si potesse parlare di un danno effettivo e, soprattutto, che non vi fosse prova della consapevolezza dell’imputato riguardo all’enorme valore del carico. L’accusa, al contrario, riteneva che le modalità stesse dell’azione criminosa fossero sufficienti a dimostrare tale consapevolezza.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati.

Sul piano procedurale, i giudici hanno rilevato che la difesa non aveva fornito alcuna prova documentale (come la copia delle PEC di richiesta) a sostegno della propria tesi. In assenza di tale documentazione, la decisione della Corte d’Appello di procedere con la trattazione cartolare è stata ritenuta corretta.

Sul merito, la Corte ha confermato la sussistenza dell’aggravante. Secondo gli Ermellini, la consapevolezza del rilevante valore della merce non deve essere provata in modo diretto, ma può essere desunta logicamente dalle circostanze del fatto. La meticolosa preparazione del colpo – l’acquisizione di informazioni precise sulla società vittima, sullo spedizioniere, sugli orari di ritiro, e il reperimento di un veicolo adeguato con targa falsa – è stata considerata un chiaro indicatore del fatto che l’azione non era casuale, ma mirata a un obiettivo di grande valore economico. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità è configurabile anche nell’ipotesi di delitto tentato, quando le modalità dell’azione criminale sono idonee a fornire indicazioni concrete e univoche sull’entità del pregiudizio che si sarebbe determinato se il reato fosse stato portato a compimento.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza il principio secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’aggravante del danno rilevante, non è necessaria la consumazione del reato né la prova diretta della conoscenza del valore da parte del reo. Ciò che conta è la potenzialità lesiva dell’azione e gli elementi indiziari che, valutati nel loro complesso, dimostrano che l’agente era consapevole di mirare a un bottino di ingente valore. La decisione sottolinea come un’azione criminale ben pianificata e mirata possa, di per sé, rivelare l’intenzione di arrecare un danno economico significativo, giustificando così un aggravamento della pena anche in caso di tentativo.

Può essere applicata l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità se il reato è solo tentato e non consumato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità può essere riconosciuta anche in ipotesi di delitto tentato. È sufficiente che le modalità del fatto criminoso siano idonee a fornire indicazioni concrete sull’entità del pregiudizio che si sarebbe determinato se l’azione fosse stata portata a compimento.

Come può un giudice stabilire che l’imputato era consapevole dell’alto valore della merce che tentava di rubare?
La consapevolezza può essere desunta da elementi indiziari e dalle modalità del fatto. Nel caso di specie, la meticolosa pianificazione del crimine (raccolta di informazioni precise, uso di un veicolo con targa falsa, conoscenza degli orari) è stata ritenuta una prova logica del fatto che l’imputato era consapevole di mirare a un obiettivo di notevole valore economico.

Cosa succede se la difesa sostiene di aver fatto una richiesta processuale via PEC ma non allega la prova al ricorso?
In assenza di documentazione che provi l’invio e la ricezione della richiesta, il motivo di ricorso basato su tale presunta omissione viene respinto. Come nel caso analizzato, l’onere di provare l’avvenuto deposito di un’istanza ricade sulla parte che la presenta; la sua semplice affermazione non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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